MV Agusta 500-3 Evoluzione

MV Agusta 500-3 Evoluzione

Redazione - @InMoto_it

01.10.2012 ( Aggiornata il 01.10.2012 14:14 )

Non abbiamo sbagliato a scrivere “special”: questo servizio non riguarda una moto d’epoca, anzi la moto da corsa italiana forse più famosa e ammirata di tutte. Si tratta in effetti di una replica che può anche essere considerata originale. Viene consegnata personalmente dal suo pilota   L’incredibile voce che esce dai tre megafoni della MV Agusta 500 tre cilindri va ascoltata in prima persona per poter capire la potenza e la maestosità musicale espressa da quella che molti considerano una delle migliori moto di tutti i tempi. Sicuramente è stata una delle più vincenti, anche se molti obiettano come in quel periodo MV Agusta e Giacomo Agostini non avessero reali avversari. In realtà, i leggendari duelli a cui Agostini e il suo più “miglior nemico”, l’hondista Mike Hailwood, hanno dato vita negli anni precedenti, per non parlare della strenua difesa contro l’offensiva delle 2 tempi, hanno comunque consolidato la fama della 500-3 nell’empireo del motociclismo. Il che rende fortunatissimo chiunque abbia le risorse economiche per procurarsene una, soprattutto se si tratta di un esemplare nuovissimo e realmente utilizzabile in pista, realizzato in questi giorni da MV Agusta stessa sui progetti originali ma in versione evoluzione, ovvero usando materiali moderni per migliorare la robustezza. Metteteci poi che la moto si acquista nientepopodimeno che da Giacomo Agostini stesso, partner del compianto Claudio Castiglioni in questa impresa assieme al leggendario Ezio Mascheroni. Il risultato è una serie limitatissima, e quindi inevitabilmente costosissima, di repliche della tre cilindri 500 di Agostini. Sei sono stati gli esemplari ultimati prima della triste scomparsa di Claudio; io sono stato abbastanza fortunato da assistere alla consegna, da parte di Ago stesso, dell’ultima moto al fortunato proprietario, Roberto Ziletti, sul circuito di Varano de’ Melegari. Ziletti è l’uomo che aveva resuscitato il marchio Mondial dieci anni fa, con la Piega spinta dal bicilindrico della Honda Superbike. Per seguire meglio l’azienda di famiglia, poi, Ziletti è stato costretto a disinvestire, e limitarsi a sfogare la sua passione motociclistica guidando qualcuno dei gioielli contenuti dal suo garage, fra cui brilla un’Aprilia RSW250 da GP. Nel suo caso, la MV 500-3 andrà a far compagnia alla coppia di Cagiva 500 che già possiede, ma Roberto – un amico fin dai tempi dell’avventura Mondial – ha chiesto la mia consulenza data la sua scarsa esperienza su mezzi tecnicamente tanto vecchi. Il mio compito? Quello di verificare che tutto fosse a posto, e che non ci fosse nulla da sistemare prima di prendere in consegna la tre cilindri. Verifica da assolversi con una bella giornata in pista a fianco del mio idolo, Giacomo Agostini. È bello avere amici come Roberto… 12229mui Creato dal motorista Mario Rossi nel 1964, il tre cilindri MV è cambiato pochissimo nei dieci anni successivi, pur raggranellando sei titoli nella 350 e sette nella 500 nelle mani di Giacomo Agostini (più uno in 500 con Phil Read) prima di venire pensionato dal quadricilindrico. Quando Castiglioni decise di realizzare questa evoluzione (non “replica”, dopotutto viene costruita nello stesso stabilimento MV di Varese…), Ezio Mascheroni decise di partire dalla base della 500 a tre cilindri con cui Read vinse l’ultimo titolo, nel 1973. L’esperienza di Mascheroni è incredibile: progettista originale dell’Aermacchi 250/350 ad aste e bilancieri portato in gara da tanti privati negli anni ’60, creò poi i 250 e 350 H-D a 2 tempi che fruttarono a Walter Villa quattro titoli mondiali verso la metà degli anni ’70 prima di dedicarsi ai V4 della Cagiva 500 che Eddie Lawson e John Kocinski portarono alla vittoria. Di recente, Ezio si è occupato del nuovo tre cilindri della MV Agusta F3; cosa ve ne pare come curriculum? Elemento fondamentale nella competitività della tricilindrica MV era la leggerezza: solo 128 kg a secco, di cui 55 di motore grazie a carter monolitici in magnesio fusi in terra, con raffreddamento ad aria e olio; pare che proprio da questo motore abbiano tratto ispirazione gli ingegneri Suzuki che realizzarono il GSX-R 750 nel 1985, che ne mutuarono anche l’alettatura ridotta del blocco cilindri inclinato di 10°. Il comando distribuzione ad ingranaggi, che prende il moto dall’albero (fasato a 120°) è collocato sulla destra, all’interno delle puntine per l’accensione – il tre cilindri MV non è mai stato dotato di accensione elettronica – e sormontato da una curiosa torre che sembra contenere una coppia conica, ma che invece ospita un meccanismo di recupero del gioco della distribuzione. La testata monoblocco in alluminio ospita inserti in bronzo contenenti le camere di scoppio di ciascun cilindro, con quattro guide valvole che circondano la singola candela centrale. Le quattro valvole hanno angolo compreso di 73°; l’alimentazione è con carburatori Dell’Orto E154 di 37 mm Ø con collettori d’aspirazione cortissimi: fino a soli 35 mm, a seconda dei circuiti. I pistoni sono Borgo forgiati, a due segmenti, che riducono gli attriti senza causare problemi di blow-by. Altrettanto avanguardistico il cambio estraibile a sette rapporti, che MV aveva già usato negli anni ’50 sulle sue 125 e 250, ora considerato un must su qualunque moto da corsa. Allora, la scelta fra ben cinque serie di rapporti dava ad Agostini un grande vantaggio sulle più veloci Honda di Hailwood, che non disponevano di questa soluzione e costringevano i meccanici ad aprire il motore per cambiare i rapporti. Le misure caratteristiche sono di 62 x 55 mm, con un rapporto di compressione di 11:1 che frutta 78 CV a 12.000 giri (al cambio), molti più dei 50 delle migliori Norton Manx, e anche ad esempio dei 58 delle bicilindriche Paton a due valvole. Nonostante l’elevata potenza, la tre cilindri MV era molto affidabile. Gli alberi duravano 800-900 km prima che i cuscinetti del piede di biella alzassero bandiera bianca, e anche se parti di poco conto quali molle e distanziali vari venivano cambiate ad ogni gara, le valvole in sé erano indistruttibili e non venivano quasi mai sostituite. I pistoni avevano una vita utile di otto/nove ore, anche se i segmenti venivano cambiati ad ogni gara. Tutto considerato – soprattutto gli elevati regimi raggiungibili – la MV-3 era un progetto molto robusto, cosa che sicuramente farà piacere a clienti come Ziletti, che hanno in animo di usare questa Evoluzione in pista, invece di metterla su un piedistallo in salotto… La robustezza si estende al telaio a doppia culla in acciaio, e visto che Ago cadeva molto poco, a suo tempo duravano un’intera stagione o quasi. Si tratta dell’interpretazione italiana dello schema Norton Featherbed, ma con la possibilità di smontarne la parte inferiore per estrarre rapidamente il motore. La versione utilizzata qui è l’ultima, quella del 1972, che disponeva di un attacco motore supplementare e di un traversino sopra la batteria per irrigidire il complesso. Il forcellone scatolato è regolabile tramite eccentrico, soluzione comune oggigiorno sulle MotoGP, ma vera e propria magia all’epoca. L’interasse di 1.310 mm era incredibile già all’epoca: le ben successive 125 due tempi Honda erano più lunghe. Il comparto freni si affida a tamburi Ceriani (anteriore a quattro ganasce di 230 mm Ø, posteriore a due di 220) per consentirne l’impiego nel massimo numero di serie agonistiche del panorama mondiale; la forcella è una Ceriani di 35 mm Ø regolabile in estensione, ospitata da una piastra di sterzo realizzata su specifiche indicazioni di Agostini. I cerchi a raggi sono Borrani, con gomme Avon Roadmaster AM20 (90/90-18” all’avantreno, 110/80-18” al retrotreno). 12229my5 Comprando una moto da Agostini si acquista un servizio completo. Mauro, suo socio e amico, consegna direttamente la moto con il suo Mercedes Viano – in questo caso al circuito – e con l’aiuto di Ago e Roberto scarica la moto dal furgone. “Mino” si rimbocca le maniche e inizia a controllare la pressione delle gomme, i tubi della benzina, i collegamenti elettrici... insomma, non sembra nemmeno un pluricampione del mondo, almeno finché non si tratta di autografare il serbatoio e posare per le foto di rito. Ma sono solo cinque minuti, poi Ago si ritrasforma in un meccanico e avvia a spinta la moto con la nonchalance di chi l’ha fatto un milione di volte. Poi scalda il motore passeggiando per il paddock di Varano, mentre la gente resta sbalordita dalla voce del tre cilindri solleticato da sapienti colpetti d’acceleratore. L’olio è finalmente caldo, è il mio turno. E non nascondo che sono molto emozionato… Ho avuto il privilegio di guidare tantissime splendide moto da corsa durante questi anni, dalla Ducati di Fogarty alla Yamaha M1 di Rossi, e diverse classiche. Ma nessuna è stata capace di farmi battere il cuore come la tricilindrica MV Agusta, perché nessun’altra moto è stata capace di ipnotizzarmi altrettanto profondamente con la sua voce. Pur piccolissima, la tre cilindri è un po’ più grande della quattro cilindri, che avevo già provato. Ma pur essendo un po’ più larga delle monocilindriche inglesi contro cui correva, è molto più corta, con un interasse che sembra eliminarne completamente il senso di massa e peso. La posizione di guida accoglie anche – di misura – piloti alti un metro e ottanta come il sottoscritto; la carenatura è larga quel tanto che basta da essere efficiente, coprendo con il suo largo cupolino le spalle quando il pilota abbraccia il serbatoio da 16 litri, con gli occhi fissi sul contagiri Veglia graduato fino a 18.000 giri, montato sulla piastra superiore della forcella. Il cannotto di sterzo incorpora un ammortizzatore a frenatura, e non si sente il bisogno di un’unità più moderna, nonostante la potenza e la compattezza del mezzo. L’avviamento è un gioco da ragazzi: tre passi, mollo la frizione e mi preparo al muro di rumore che mi avvolge anche con un casco integrale. Non c’è da stupirsi del fatto che Agostini abbia dominato tante gare fin dalla partenza, a quei tempi fatti di partenza a spinta: probabilmente era già in terza mentre i mono britannici e i due tempi giapponesi dovevano ancora prendere vita. La MV-3 è la civiltà fatta moto: esce pulita dalle chicane di Varano fin dai 6.000 giri senza nemmeno dover sfiorare la frizione, con il ruggito che si trasforma in ululato quando i giri si avvicinano a quei 10.500 che Ago ha stabilito come limite per il rodaggio. Normalmente si può arrivare ai 12.000, limite che ho sfiorato durante l’ultimo giro notando, in effetti, una bella iniezione di cavalli… Fondamentale in questo pacchetto risulta l’azione del cambio, ultrapreciso e rapido, che non richiede l’uso della frizione, con leva sul lato destro, e l’azzeccata rapportatura delle sette marce. Il motore, così, gira sereno fra gli 8.000 e i 10.500 giri su tutta la pista, accompagnato dallo sferragliare tipico della frizione a secco. Anche agli alti regimi, il tricilindrico è privo di vibrazioni, grazie all’albero motore fasato a 120°, garanzia di coppia ai medi e pulizia d’erogazione. Serve però una tecnica di guida molto particolare a causa dell’acceleratore molto brusco: si capisce in fretta come ci sia bisogno di mollare presto i freni e puntare di nuovo il gas, per poter poi accelerare dentro la curva e scaricare la risposta del motore a moto ancora relativamente dritta. La ciclistica è facile almeno quanto il motore, e nonostante la compattezza è anche molto stabile sul veloce, come il curvone a sinistra davanti ai box. I freni Ceriani mi erano sembrati molto fiacchi, ma dopo un po’ di rodaggio hanno preso vigore; la compattezza si dimostra poi un pregio sullo stretto, dove la MV cambia direzione velocissima e senza problemi di luce a terra nemmeno con le moderne Avon da gara. Si percepisce il perfetto posizionamento del motore nel telaio: il team aveva stabilito dove piazzare l’albero motore rispetto ai perni ruota, per poi disegnare i tubi del telaio di conseguenza. La distribuzione dei pesi è perfetta, e la stabilità in frenata incredibile: in fondo al rettilineo si scalano tre marce con cattiveria, accompagnati dall’incredibile sottofondo musicale del motore che ulula… 12229mun  

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