Van Veen OCR 1000 Rotary

Van Veen OCR 1000 Rotary

Redazione - @InMoto_it

01.08.2012 ( Aggiornata il 01.08.2012 12:24 )

Il motore rotativo ogni tanto torna in vita e anche questa volta lo fa su una moto molto particolare destinata all’uso stradale più schietto. Non è una replica, è solo il proseguire una produzione di tanti anni fa, e senza neanche eliminarne i difetti   Esattamente 20 anni fa, nel 1992, la Norton RC 588 conquistò il risultato migliore e più prestigioso per una moto spinta da propulsore Wankel vincendo il Senior TT all’Isola di Man con il compianto Steve Hislop. In un duello che molti fan hanno votato come la più grande gara mai corsa sul Mountain Course, lo scozzese sfruttò la potenza e la guidabilità del motore rotativo per sconfiggere il futuro quattro volte iridato SBK Carl Fogarty e la sua Yamaha di soli 4”4 dopo ben 226 miglia di gara, stabilendo nel contempo la media record di 121,38 miglia all’ora. La Norton F1 Sport di serie, però, non fece in tempo a beneficiare della pubblicità: la Casa finì in bancarotta poco dopo, segnando la fine dell’ultima motocicletta Wankel in produzione. Ma oggi è di nuovo possibile comprare una moto spinta da un propulsore rotativo come quello concepito dall’ingegnere tedesco Felix Wankel nel 1957 per spingere un’auto NSU (se volete capire come funziona, puntate il browser all’indirizzo www.animatedengines.com/wankel.html) anche se non dalla risorta Norton, nonostante il prototipo schierato al TT debba, un giorno, dare vita ad un modello di serie. Si tratta invece di una moto realizzata in Olanda da OCR Motors, il cui proprietario Andries Wielinga e il collega Dirk Knip hanno fatto rivivere una vera e propria icona del passato. Nel 1970, infatti, il mecenate del motociclismo Hendrik Van Veen produsse quella che era di gran lunga la moto di serie più potente e costosa sul mercato, spinta dallo stesso propulsore birotore da 100 CV della NSU Ro80 del 1967. La Van Veen OCR 1000, venduta in 38 esemplari a un prezzo equivalente a 40.000 Euro di oggi, prima che nel 1981 la Casa venisse chiusa. Una moto eccessiva come l’epoca in cui visse, che oggi torna a nascere in dieci, perfette, repliche, aggiudicabili a… soli 85.000 € più tasse. La Van Veen è nata negli anni ’60 e ’70 come importatrice Kreidler, moto che superavano i 100.000 esemplari venduti in Olanda nel 1971 e che finirono schierate nel mondiale 50 (con le Kreidler Van Veen, appunto) vincendo quattro titoli iridati inaugurati lo stesso anno con Jan de Vries. Il 1971 segnò anche la nascita della prima maximoto Van Veen, creata inserendo un propulsore rotativo Mazda Cosmo, completo di trasmissione finale ad albero, in una ciclistica Moto Guzzi V7. Il risultato era esteticamente molto discutibile, ma le prestazioni erano talmente impressionati per l’epoca (la Kawasaki Z1, appena nata, aveva “solo” 82 CV) che si decise di metterla in produzione con il propulsore NSU, realizzato in Lussemburgo da Comotor. Jos Schurgers, ventiquattrenne pilota e tecnico, la realizzò in tempo per il Salone di Colonia del 1974 di cui divenne la regina, mettendo in ombra nientemeno che BMW (che non la prese affatto bene) e la prima Honda Gold Wing 1000 a quattro cilindri. In un mondo che si doveva ancora riprendere dall’embargo petrolifero del 1973 che aveva portato al quadruplicarsi del prezzo del carburante, una moto del genere sembrava insensata. Van Veen continuò però ad inseguire il suo sogno, creando una fabbrica per produrre la OCR1000 a Duderstadt, a due passi dal confine con la Germania Est, e nel 1976 pochi eletti poterono provare l’esemplare di preserie spinto da un propulsore sviluppato in collaborazione fra NSU e Citroen. Nonostante i 292 kg a secco della OCR, le prestazioni erano impressionanti (0-100 in 3”6, 224 km/h di velocità massima) e l’erogazione favolosa: a 3.000 giri erano già disponibili 60 CV. Le lamentele riguardarono cambio, risposta all’acceleratore ma soprattutto freni, un aspetto critico su una moto tanto pesante e veloce, dotata tra l’altro di pochissimo freno motore per costituzione stessa del Wankel. I problemi vennero risolti per l’anno successivo, quando la OCR 1000 entrò in produzione. I 2.000 esemplari che costituivano l’obiettivo di Van Veen sembravano ottimistici già allora, ben prima che Comotor chiudesse i battenti e smettesse di fornire propulsori oltre i 50 del primo lotto. 12167kj0 Citroen aveva fermato la produzione della sua GS birotore dopo 847 esemplari, NSU era stata comprata da VolksWagen chiudendo la linea della Ro80 nel 1977, e i problemi tecnici (soprattutto ai segmenti di tenuta, criticità storica del motore Wankel risolta solo anni dopo da Mazda) fecero sì che la produzione della Van Veen si fermasse a soli 38 esemplari. La Van Veen è tornata in produzione, trent’anni dopo, in buona parte grazie a Ger Van Rootselaar, amante del motore rotativo a tal punto da aver acquistato l’intero stock di pezzi rimasti quando la fabbrica di Duderstadt ha chiuso. Partendo da questi, ha assemblato la OCR 1000 numero 39 per se stesso, senza avere intenzione di realizzarne altre fino all’incontro con Andries Wielinga, restauratore di Citroen classiche fra cui, ovviamente, la rarissima GS birotore. L’incontro fra i due ha portato alla digitalizzazione di tutti i progetti originali, da cui è stato possibile ricostruire le parti necessarie (il più delle volte appoggiandosi ancora ai fornitori del tempo) per mettere insieme dieci esemplari. La moto è di fatto identica a quella di trent’anni fa fin nei minimi dettagli come le fascette speciali per i cavi acceleratore. Ci sono voluti due mesi di ricerche per rintracciare il fornitore originario, ma alla fine la missione ha avuto successo. Il telaio, un doppia culla in tubi d’acciaio, viene realizzato dallo specialista Nico Bakker sulla base dei progetti originali, mentre le gomme sono le moderne Michelin Macadam. A parte questo, la moto è completamente identica al modello di fine anni ’70: non proprio una replica, dunque, quanto invece una continuazione di quella produzione interrotta negli anni ’80. Le parti, dunque, sono tutte quelle originali, compresi i cerchi in alluminio Ronal prodotti da un fornitore Mercedes Benz/BMW auto, un elemento a dir poco futuristico allora, quando tutte le altre moto usavano ancora cerchi a raggi. Altrettanto all’avanguardia per l’epoca era la forcella telescopica Van Veen (con idraulica Koni) con steli nella misura “attuale” di 42 mm Ø, o il doppio ammortizzatore posteriore pressurizzato con regolazione del precarico su tre posizioni, e il trio di dischi Brembo in ghisa di 280 mm Ø lavorati da pinze Brembo a due pistoncini che risolvevano i problemi riscontrati sull’impianto in acciaio del modello originale. Soluzioni che adesso fanno un po’ sorridere, ma che a fine anni ’70 erano lo stato dell’arte, e giustificavano almeno in parte il prezzo fuori scala della OCR 1000. La Van Veen è disponibile nella sola colorazione nera e verde, in omaggio alle Kreidler Van Veen che correvano nel mondiale, e prevede un tempo di consegna di tre mesi dall’ordine, con due anni di garanzia a chilometraggio illimitato, esattamente come offriva Van Veen 30 anni fa. Ne verranno fatte solo dieci, di cui due hanno già trovato casa, secondo la disponibilità del propulsore Comotor birotore da quasi 1.700 cm3, valore corretto secondo il fattore imposto dalla Federazione, che equipara i suoi 996 cm3 a un bicilindrico di quella cubatura. Il motore, in cui i due rotori sono lubrificati a carter umido e raffreddati ad olio (mentre i carter ad acqua, da cui la necessità dell’ampio radiatore), viene assemblato da Van Rotselaar stesso, con segmenti riveduti e corretti secondo l’esempio Mazda. La potenza massima si assesta appena oltre i 100 cavalli a 6.500 giri, ma è la coppia a stupire, con i suoi 13,8 kgm a soli 3.500 giri, valore che, soprattutto nella sua distanza dal regime di potenza massima, basta a dare un’idea della splendida erogazione del rotativo Comotor. Il cambio a quattro rapporti, con primaria ad ingranaggi, finale cardanica e frizione bidisco a diaframma a secco con comando idraulico è stato sviluppato e prodotto per Van Veen da Porsche, nel rispetto del profilo della moto… Ho usato diversi motori rotativi nel corso della mia carriera – per lo più Norton – che hanno un’erogazione a dir poco seducente e una notevole compattezza. Anche nel caso della OCR, nonostante la cilindrata a dir poco mostruosa nel suo valore “corretto”. Il motore prende vita con un tocco del pulsante d’avviamento e si assesta rapidamente ad un elevato – ma privo di vibrazioni – regime di minimo a 1300 giri, accompagnato dal tipico rumore del Wankel che unisce il ringhio acuto del due tempi al borbottare cupo del quattro. Non essendo mai andato oltre i 588 cm3 del birotore Norton, non ero preparato per le prestazioni del motore Van Veen, di cilindrata quasi doppia e con accelerazione corrispondente nonostante il peso notevole. Basta innestare la prima (il cambio è a sinistra, con schema stradale, cosa niente affatto scontata per i tempi) per sentire la OCR spingere pulita fin dal minimo, con un’accelerazione impressionante dai 2.000 giri in su. Il rischio di impennate è scongiurato dai 1.550 mm d’interasse e dalla collocazione del motore (pesante a causa dei rotori in ghisa) avanti e in basso. Il propulsore spinge forte e prende giri rapidamente con un’erogazione regolarissima fino ai 6.500 giri della linea rossa, spingendosi anche un po’ oltre. Non c’è limitatore di giri, e forse sarebbe il caso di montarlo, visto che in diversi casi mi sono accorto di essere andato ben oltre i 7.000 senza avvertire cali di potenza. Un motore davvero delizioso, capace di esprimere vere e proprie ondate di coppia a ogni cambio marcia per spingervi immediatamente a “baciare” la zona rossa. I 160 all’ora in quarta si toccano a 4.200 giri, i 100 a soli 2.500. In entrambi i casi, il birotore ha ampia riserva prestazionale da sfruttare con una totale assenza di vibrazioni. Una moto dunque molto facile e poco stancante anche tenendo ritmi elevati, nonostante peso, cilindrata e dimensioni; il cambio non è male, considerando la trasmissione cardanica, pur se rumoroso nel passaggio prima-seconda. La folle, per contro, è facilissima da trovare, e la frizione a comando idraulico è comoda e precisa, pur se meno morbida di quanto mi aspettassi. La posizione di guida fa molto anni ’70: rialzata ma abbastanza comoda, almeno finché non si passano i 140, quando si inizia a doversi attaccare al manubrio. Fastidiosa la posizione della pedana destra – il carter frizione interferisce con la caviglia destra, rendendo difficile poggiare il piede sulla pedana stessa e raggiungere il pedale del freno. E vista la totale assenza di freno motore, è necessario agire sui comandi con molta forza. Le Koni erano il non plus ultra dell’era del doppio ammortizzatore, ma mentre il telaio Bakker è irreprensibile com’è sempre stato a dispetto di notevoli valori di interasse e inclinazione cannotto, la sospensione posteriore è decisamente troppo rigida nella componente elastica, probabilmente per contrastare i trasferimenti di carico dovuti alla generosa coppia del motore. La forcella, non regolabile, è relativamente rudimentale, e anch’essa troppo rigida e poco scorrevole. La OCR non ama quindi le buche, nonostante il peso la renda comunque rapida nell’assestarsi. Ma non si sente per nulla cosa faccia la Michelin anteriore, fattore non da poco su una moto da 85.000 Euro che si vorrebbe riportare a casa tutta d’un pezzo. Compito non sempre facile, vista la snellezza dei cerchi da 18” e tutto il peso che devono gestire. Non riesco a non pensare che Wiesinga abbia perso un’ottima occasione: una moto con prestazioni del genere, oggigiorno, si merita freni e sospensioni di tutt’altro livello per garantire la giusta sicurezza nello sfruttamento delle prestazioni. Ohlins e Brembo radiali, visto il prezzo, sarebbero sicuramente gradite a tutti i clienti, che invece vedono penalizzato un motore dalle prestazioni moderne a causa di componentistica non all’altezza della situazione. Riprodurre la moto originale è una cosa, ma non correggere difetti dell’epoca facilmente risolvibili è un errore. 12167kok

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