20.000 Pieghe, la prima volta di Nicolò: il racconto

20.000 Pieghe, la prima volta di Nicolò: il racconto

Abbiamo chiesto ai partecipanti della manifestazione di raccontarci come hanno vissuto quest'avventura su due ruote. Abbiamo scelto l'esperienza di Nicolò Bertaccini, che ci ha fatto capire bene le sensazioni che si possono provare in sella a una moto 

Redazione - @InMoto_it

22.08.2019 ( Aggiornata il 22.08.2019 14:06 )

La 20.000 Pieghe è un evento che raccoglie ogni anno diversi appassionati di motociclismo e li fa sfidare in una serie di prove su due ruote, ma soprattutto li fa correre all'interno di scenari bellissimi. Quest'anno il punto di partenza è stato Arta Terme, in Friuli Venezia-Giulia, ma i piloti hanno toccato anche il Veneto, l'Austria e la Slovenia. "Vi racconto la mia 20.000 Pieghe" è il nome dell'iniziativa che abbiamo portato avanti, invitando i partecipanti a raccontare la loro esperienza nella manifestazione. Il vincitore si chiama Nicolò Bertaccini, e questo è il suo racconto.

ALLORA, il 20.000 Pieghe è uno di quegli eventi che inseguivo da tempo, rimandandolo ogni anno per mille motivi. Quest’anno l’irrequietezza dei 41 anni mi ha spinto a coinvolgere un paio di amici e a formare una squadra per la partecipazione. Anche perché il Friuli è una di quelle Regioni che mi incuriosivano, una sorta di ripasso di nozioni di storia, geografia e geologia, se solo ricordassi qualcosa che vada oltre le guerre puniche. Mentre passo il Tagliamento e il Piave mi riecheggiano imprese della Grande Guerra, arrivare in Carnia mi fa riemergere qualche ricordo di geologia. Insomma, sono in un territorio denso di contenuti. Arrivato ad Arta Terme mi rendo subito conto di due cose: il livello dell’organizzazione è eccellente, e io sono inadeguato come un terrapiattista al planetario. Quando nella busta vedo il primo roadbook vorrei piangere, mentre quando tiro fuori il fratino col numero capisco le parole di un caro amico, appassionato di corse, che una volta mi disse: «Ok le corsette in gruppo ma ogni tanto metti un numero e competi, vedrai». Il road-book, dicevo, è un delirio. Non riuscirò mai a mettere in fila tutto. Sono tentato di andare da Kiddo, l’addetto stampa, e chiedergli se in alternativa posso conquistare 20 territori oppure distruggere le armate verdi o se c’è un dado a 20 facce da tirare. Per fortuna il clima dell’evento non è (ancora) competitivo e si formano crocchi spontanei dove partecipanti senior alleviano il terrore in noi novellini con fare affettuoso, come fossimo giovani leoncini alle prese con le prime battute di caccia. «Non ti preoccupare, un problema alla volta», queste le parole che mi convincono a rilassarmi e ordinare uno spritz. Che poi capirò di dover chiamare “Aperol Spritz”: sono arrivato da meno di mezz’ora e ho già imparato qualcosa.

IL PRIMO briefing mi tranquillizza ulteriormente: Daniele, il boss, ha una voce rilassata, romana e sorridente. Arriviamo in albergo e ancora una volta mi rendo conto che l’organizzazione è importante e ha pensato a tutto. Molto bene. Fra una battuta e uno scherzo si fa il primo giorno. Partiamo con il giudice di gara che ci saluta e stringe la mano uno ad uno: mi sento all’avvio della Dakar, ma quella africana, sia ben chiaro. Metto la prima, passo sotto l’arco rosso della partenza e ci sono, il 20.000 Pieghe è iniziato. Sento l’emozione, prima, seconda e poi mi fermo. Devo attendere gli altri due compagni di squadra che partono un minuto dopo. Fortunatamente in squadra con me c’è il Gaucho che è un mix fra Magellano, Waldseemüller e un indiano guida della tribù dei Sioux. Insomma, io mi perdo dalla mia camera da letto al bagno, lui si orienta guardando le stelle, anche di giorno. Nel giro di pochi incroci la sua leggenda si diffonde e scopriamo l’esistenza dei succhia-traccia, ovvero di quelli che si mettono a seguire chi si muove con piglio deciso, come il Gaucho. La prima indicazione ci porta in Austria, dove tatticamente decidiamo di fare un rabbocco di benzina.

LA GARA prevede che si debbano mandare ogni giorno dei selfie da degli spot prestabiliti per dimostrare il passaggio. Bene, sono cintura nera di selfie, questo è un compito che mi sento di poter assolvere, il senso di inadeguatezza iniziale viene pian piano scalfito. Il primo selfie bisogna farlo sotto il cartello del rientro in Italia. Anche se siamo in Austria da meno di un’ora sotto al cartello sembriamo un po’ tutti immigrati che fanno il rientro nell’amata patria, al posto delle valigie di cartone abbiamo borse in alluminio attaccate alle moto. Manca solo che qualcuno intoni “L’Italiano” di Toto Cotugno. Lo ammetto, io nel casco l’ho cantata. Con gli occhi umidi. Comunque, il primo giorno vien via bene, ci orientiamo, vediamo bei posti, facciamo strade che non avremmo mai fatto, vediamo paesaggi bellissimi. Insomma, avevo qualche perplessità ma devo dire che mi sto divertendo, sia a prepararmi per il giro che a guidarlo. Poi arriva la prova speciale. Ecco, lì torno di nuovo a sentirmi inadeguato. La prova speciale consiste nel fare un tragitto rispettando un tempo preciso. Parliamo di 14 km in una ventina di minuti. Per dare l’idea. Da un lato ci sono partecipanti con zavorrine dotate di cronometri, altri con navigatori satellitari che misurano i miliardesimi di secondo, alcuni hanno un cronometro fissato sul manubrio, i più attenti hanno due cronometri. Io ho il cronometro dello smartphone in tasca e quando parto mi scordo di azzerare il parziale dei km, per dire. Se usassi l’ombra dello specchietto come meridiana sarei più preciso. Faccio gli ultimi 300 metri che sembro un paramedico impegnato con una rianimazione “mille e uno, mille e due, mille e tre”. Con queste premesse, fare risultato è impensabile. E infatti sbaglio di un mezzo calendario. La sera siamo lo stesso soddisfatti, abbiamo il road-book, il Gaucho scrive, mentre Flames e io facciamo girare degli Aperol Spritz. Cominciamo anche a riconoscere gli altri partecipanti nella hall, scambiamo battute, alludiamo a passaggi del percorso come studenti col compito di matematica, del tipo: ma a te quanto viene il risultato del secondo passaggio del primo problema? Ovviamente noi abbiamo la faccia di chi non si è accorto ci fosse un secondo passaggio nel problema.

POI IL CLIMA rilassato e ridanciano della sala viene turbato. Un vecchio adagio recita che la prima competizione fra moto partì quando la seconda moto uscì dalla linea di produzione. Appena in sala arrivano i fogli con la classifica tutto cambia. Tutti si avvicinano con la foga che avevamo da ragazzi quando uscivano i quadri scolastici, per capire quale estate avessimo davanti a noi. Partono commenti, rimostranze e giustificazioni. Ok, c’è anche una gara, eccome se c’è. In fin dei conti è vero che siamo qui per divertirci ma come diceva Alberto Tomba: «Sono Alberto e se non vinco non mi diverto». Il secondo e il terzo giorno continuano con lo stesso schema, percorsi da tracciare, controlli orari, selfie, persone da seguire, persone che ci seguono, belle strade, luoghi incredibili, bei paesaggi e oltre 160 motociclisti che creano un clima veramente divertente. Nonostante la gara sia via via più sentita.

CERTO, c’è una classifica finale. Io sono arrivato ventinovesimo, assieme a tanti altri. Però, dato che ho frequentato qualche gara amatoriale di ciclismo, verifico subito che sono anche: primo di categoria fra quelli che hanno un Multistrada 950 (i maligni dicono che non ci fosse un altro Multi-950 ma sono invidiosi); primo di categoria fra quelli nati il mio stesso anno e che hanno una laurea in psicologia; primo di categoria fra quelli che partivano dalla Romagna e che ogni giorno cantavano nel casco almeno quaranta diverse canzoni. Insomma, ventinovesimo assoluto ma primo di categoria in diverse categorie. Non male. Passati un paio di giorni mi ritrovo a pensare a quale parte dell’evento mi sia piaciuta di più, se la preparazione della traccia, cercando di far sbagliare Gaucho fra alcol e patatine, la parte in cui abbiamo guidato, fra curve, incroci, paesaggi, o la sera, quando ci siamo confrontati con gli altri partecipanti, abbiamo stretto belle amicizie, scherzato, cantato e commentato. Insomma, ogni istante del 20.000 Pieghe è seriamente divertente.

IN DEFINITIVA, è stata un’esperienza positiva, migliore di quel che mi attendessi, supportata da un’organizzazione eccellente. Temevo un evento con poca moto, in cui essere sempre fermi, in fila, in corteo, in gruppo. Invece, è vero che incontri sempre moto con sopra il numero e piloti con il fratino del 20.000 Pieghe, però si guida, si gira, ci si diverte. E ci si diverte in ogni attività. Adesso che sono tornato da un paio di giorni la mattina continuo a mandare un selfie al numero whatsapp, solo per non smettere di esserci, ancora per un po’. Mentre la sera faccio un sogno ricorrente, il Presidente con la sua voce romana, pacata e decisa che mi dice: «Nicolò, quest’anno sei te il Magnifico, ‘taccitua». Infine grazie: agli organizzatori, ai Piegatori e ai miei fantastici compagni di team, Flames e Gaucho.

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