L'Africa Twin può cambiare la Honda

L'Africa Twin può cambiare la Honda
L'Africa Twin non è solo un progetto importante ma anche un esperimento che potrebbe cambiare il sistema produttivo della Honda

Redazione - @InMoto_it

21.12.2015 ( Aggiornata il 21.12.2015 13:05 )

di Riccardo Piergentili Honda Africa Twin, il ritorno di un mito di cui si è parlato a lungo. Ormai sappiamo come va (leggi quie come è fatta. I veri appassionati di due ruote devono anche sapere che questa nuova bicilindrica, una scommessa dei manager europei, oltre che di quelli giapponesi, potrebbe cambiare il “sistema Honda”, ovvero il modo attraverso il quale il colosso del Sol Levante pensa, progetta e collauda le sue creature. HONDA CAMBIA IL SUO SISTEMA - Modificare il metodo di lavoro di un' azienda delle dimensioni della Honda non è né facile né scontato ma la vera notizia è che, grazie al nuovo sistema, la Honda, che ha perso un po' di quella magia alimentata dalle sue creazioni passate, potrebbe tornare ad essere quella fabbrica di sogni che i motociclisti più esperti ricordano. CHI SOSTIENE LA RIVOLUZIONE - Uno dei sostenitori del nuovo sistema è stato Maurizio Carbonara (supportato dalla R&D europea), un italiano al quale è stato affidato il difficile compito di disegnare le forme di una delle Honda più famose della storia. Carbonara nasce ingegnere, crescendo designer e questo spiega perché il suo approccio allo stile non è solo fantasioso ma anche tecnico. VITA DA DESIGNER - Dopo l’esperienza nella scuola di Car Design, Carbonara ha lavorato in Aprilia: dal 1997 al 2005 ha disegnato la Caponord, la Concept Mana del 2001 e la Pegaso Strada. Nel 2005 Carbonara è passato alla Honda, entrando a far parte dell’Advance Design. Per capire i motivi che hanno spinto degli uomini (tra cui Carbonara) a chiedere alla Honda di cambiare il suo sistema, bisogna innanzitutto parlare di stile... Alla Honda, qual è stato il primo lavoro che ricordi con orgoglio? “Il prototipo della VFR1200F, per la quale ho studiato una soluzione che Honda ha brevettato (ma l’inventore risulta Maurizio Carbonara, ndr). Si tratta del layer costruction, o double layer, la carena a doppio strato. Ho lavorato anche alla Crosstourer, dove però solo la parte anteriore è rimasta molto simile al progetto originale. In seguito ho lavorato a diversi prototipi, per me molto interessanti, che purtroppo non sono stati prodotti a causa della crisi economica. Dopo questa parentesi, sono tornato alla produzione, dove ho seguito gli SH 125 e 150”. Qual è la filosofia stilistica dell’Africa Twin e quali erano gli obiettivi da raggiungere? “L’obiettivo era realizzare qualcosa che doveva restare bello nel tempo. Parti da un presupposto: quello che è complesso invecchia velocemente; quello che è semplice dura nel tempo. Però l’Africa Twin non poteva essere troppo semplice, quindi ho cercato di realizzare qualcosa di complesso che risultasse semplice nel percepito”. Hai preferito le forme “morbide” a quelle spigolse. Perché? “L’Africa Twin si rivolge a un cliente maturo, che non apprezza l’estremizzazione delle linee spigolose ma preferisce la rotondità abbinata alla compattezza e alla muscolosità. E poi, personalmente non amo l’abuso dello spigolo fine a se stesso, perché invecchia velocissimamente. In Aprilia Ivano Beggio mi aveva insegnato che la moto è donna, pertanto bisogna mantenere determinate rotondità per assicurare quel fascino che permette di vivere e scoprire una moto, mese dopo mese, anno dopo anno. Insomma, sì alle superfici tese, che però devono essere giustamente raggiate, anche perché quando si gioca troppo con gli spigoli si enfatizza l’aggressività ma anche la fragilità. L’Africa Twin, invece, doveva esprimere robustezza e per averla bisognava studiare determinate raggiature sulla carrozzeria”. Qual è l'organizzazione dei centri stile all'interno di un colosso come la Honda? “I progetti molto importanti vengono seguiti dall’Advance Design, un reparto che si trova in Giappone e che si interfaccia con le varie R&D della Honda nel resto del mondo. L’Advance Design apre delle vere e proprie “gare di appalto”, in cui tutti i designer preparano i loro sketch. In seguito ci si riunisce in Giappone, di norma a Motegi, dove tutti questi sketch vengono prima discussi poi mostrati agli alti dirigenti. Loro decidono qual è il migliore, quello che diventa l’obiettivo da raggiungere”. A questo punto cosa succede? “Fin quando nel mercato non c’è un reale interesse per un determinato modello… nulla! Fino a oggi, ovvero fino all’arrivo dell'Africa Twin, quando un progetto veniva inserito nella line up, cioè quando si decideva di passare alla fase di produzione, il materiale prodotto passava a un altro team, che si occupava di trasformare il prototipo in una moto di serie. L’Africa Twin rappresenta il primo esempio di una nuova procedura, che ho voluto fortemente insieme a tutta la R&D europea. Noi, infatti, vorremmo seguire anche la fase dell'avvicinamento alla produzione. Anche se la distanza e le differenze linguistiche non ci aiutano, il nuovo sistema sembra funzionare. Grazie a continui scambi di informazioni e disegni 3D con il Giappone, noi possiamo dare a loro delle idee e loro possono darle a noi, chiedendoci anche opinioni sulle modifiche da apportare. Così è possibile seguire il progetto dall’inizio alla fine. Se hai notato, la moto che è stata prodotta è identica al prototipo. Non è un caso… Anche il City ADV è nato con questo stesso metodo, secondo me migliorativo”. Perché sull'Africa Twin questo nuovo approccio alla produzione è stato utile? “Un esempio su tutti… I radiatori dell’Africa Twin sono componenti chiave per spiegare che col nuovo sistema è possibile curare fino in fondo il progetto, senza stravolgerlo e senza rischiare di alterare l’equilibrio di qualcosa che piaceva. I primi radiatori dell’Africa Twin imponevano una modifica importante della parte anteriore della moto, che sarebbe stata meno compatta e muscolosa. Col vecchio sistema di produzione probabilmente sarebbe cambiato il design. Questa volta, invece, noi abbiamo fatto una proposta per miniaturizzare i radiatori senza rinunciare alle esigenze degli ingegneri. In Giappone hanno apprezzato la nostra idea ed alla fine il design della moto è rimasto quello che doveva essere”. Twitter: @Hokutonoken_79

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