20 cinquanta degli anni ’70 – Aspes Super Sport

20 cinquanta degli anni ’70 – Aspes Super Sport
La lombarda Aspes è salita alla ribalta soprattutto per i suoi fuoristrada, ma tra le sue fila ci sono stati anche importanti ed originali modelli sportivi

Redazione - @InMoto_it

01.06.2013 ( Aggiornata il 01.06.2013 11:44 )

Negli anni Settanta un interessante modello va ad aggiungersi alla nutrita schiera dei ciclomotori di stampo sportivo costruiti in Italia in quell’epoca. Viene realizzato a Gallarate (VA) dalla Aspes, un’azienda che si era già ritagliata un posto nel cuore dei quattordicenni con ottimi mezzi da fuoristrada, in particolare il Cross Special 68 e il successivo Cross Special 69. Anche sul fronte degli sportivi la ditta di Teodosio Sorrentino era già della partita, e dopo i vari Sprint e Super Sprint, che sposano le linee più ortodosse dell’epoca, viene varato  il Super Sport – inizialmente denominato semplicemente Competizione – uno dei cinquantini dalla silhouette più intrigante del periodo. Messo in produzione nel 1971 il Super Sport si distingue immediatamente per le sue forme spigolose e per il lunghissimo e snello serbatoio realizzato in vetroresina. Nello stesso materiale è costruito anche il codino monoposto, la cassetta centrale, che la Casa definisce “portanumero”, e l’originale parafango anteriore. Il tutto per un look esclusivo che non passa certo inosservato. Se da un lato la particolare conformazione del serbatoio rende unico il design del Super Sport, dall’altro la scarsa capienza (poco più di 3 litri) ne limita di molto il raggio d’azione. Anche il telaio può contare su un disegno di stampo corsaiolo con tiranti di irrobustimento posizionati nella zona del cannotto di sterzo. Sempre sul telaio sono già presenti gli attacchi per il montaggio dei comandi arretrati che, stando alle pubblicità dell’epoca, erano disponibili come optional. Il motore, come su tanti altri motorini sportivi, è il P4 della Minarelli, azienda con cui l’Aspes ha sempre avuto uno stretto rapporto. Nel caso specifico il P4 viene impiegato nella sua variante S che ha una cilindrata di 49,6 cm³ ottenuta con un alesaggio di 38,8 e una corsa di 42 mm, mentre il rapporto di compressione ha un valore di 9:1. Sui primi esemplari dotati di carburatore Dell’Orto UA19S, poi rimpiazzato dal più “regolare” e mortificante SHA 14/12, la potenza è di circa 4 CV. Cambio a quattro rapporti e frizione con dischi multipli in bagno d’olio completano il quadro delle caratteristiche tecniche del propulsore. Per il resto la dotazione non si discosta molto da quanto presente sui numerosi modelli analoghi realizzati dalla concorrenza. Ruote da 18” con pneumatici da 2 ¼, freni a tamburo, forcella telescopica a molle interne, e così via. Sono presenti i semi-manubri ma mancano sia il doppio freno anteriore che i cerchi in lega, da sempre elementi indispensabili per essere al top. Dopo la prima serie, in cui le tutte le parti in vetroresina erano realizzate in sgargianti colorazioni pastello, arrivarono gli esemplari successivi che si distinguevano per una diversa grafica e per gli “americaneggianti” colori metallizzati a grana grossa che stavano prendendo piede all’epoca (erano molto usati su giostre e autoscontri). Non si trattava infatti di normali verniciature in quanto i brillantini ed il colore venivano miscelati direttamente durante lo stampaggio della vetroresina. Questo lungo e snello 50, proprio per la sua particolare forma, da parte di alcuni dipendenti dell’Aspes era chiamato “la sardina”. Anche oggi ai più pare quasi impossibile che un mezzo del genere fosse realizzato in serie… ma eravamo negli anni ’70, quelli della “fantasia al potere”… aspes

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