Ducati 916 SP, 748 SP, 996 S, 748 R e 998

Ducati 916 SP, 748 SP, 996 S, 748 R e 998

Redazione - @InMoto_it

01.03.2012 ( Aggiornata il 01.03.2012 14:18 )

Dopo l’888 arriva la 916. Sono passati vent’anni e l’animo si turba ancora alla vista e al suono di quella Ducati “eterna”. Che ha parenti stretti ugualmente affascinanti. Quale di più?   Negli anni, sono quasi 20 ormai, tanto si è scritto, tanto si è detto della 916, oggetto che ha turbato, e continua a turbare, tanti motociclisti. La rossa bolognese fu presentata nell’ormai lontano 1993 come versione di punta nel settore delle supersportive e, soprattutto, come arma per continuare, anzi migliorare la tradizione vincente nel mondiale Superbike. La gloriosa 888 cominciava ad avere il fiato corto in pista e su strada. Inoltre, per tanti aspetti, riproponeva la ricetta tipica delle superbike bolognesi: efficacissime ma dure, stabilissime ma ben poco amichevoli e di certo un po’ distanti dall’idea di moto sportive che si andava delineando negli anni ’90. La 916 risolveva questi “problemi” con un deciso cambio di rotta facendo davvero diventare le sportivissime Ducati moto moderne e proiettate verso gli anni a venire. Che il vestito fosse il più bello possibile per una moto non faceva altro che aumentarne il fascino e la conseguente voglia di possederla; che avesse il corposo bicilindrico ormai consolidato nella fama e nella tecnica, sospensioni al massimo livello, dotazione di classe, finiture mai viste in una moto italiana che non fosse una Bimota, un meraviglioso forcellone monobraccio con un cerchio ancor più intrigante, non faceva altro che mettere più sale su un piatto già di suo molto, molto saporito. Di certo quello che metteva d’accordo tutti, anche coloro che non sapevano o non volevano sfruttare fino in fondo la 916, era l’estetica. A partire dalle forme, qui tondeggianti, là più tese, tutte intente a sottolineare quello che c’è sotto, fino ad arrivare al colore: rosso, brillante, profondo, distante dalla moda imperante dell’epoca che proponeva tanti, troppi colori e grafiche “forti”; passando per la scelta di dotarla di un codino monoposto senza possibilità di replica; scarichi sottosella molto innovativi; tutto faceva sì che la Ducati non lasciasse nessuno indifferente. In quegli anni la bellezza della rossa non fu mai messa in dubbio anche se (più o meno) velate somiglianze furono tirate in ballo: possiamo ricordare la Supermono, sorella minore disegnata da Terblanche, oltre alla fantastica Honda RC 30 che condivideva con la bolognese la scelta del monobraccio posteriore; ispirazioni vere o presunte, mode del momento o assolute, vero è che il team capitanato da Tamburini, nel quale, fra gli altri figurava anche Sergio Robbiano, tirò fuori dal cilindro questo capolavoro.   12017drx Oggi, quando gli appassionati discutono di quale sia la moto più bella di sempre, la candidatura della 916 è di certo fra le più autorevoli. Del resto “lei” ha avuto uno sviluppo lunghissimo, portato avanti con cura certosina e chissà quali costi per la Casa, che decise di scegliere il meglio senza badare a spese. Nel corso degli anni il progetto 916 poi è stato declinato per quanto riguarda le moto stradali in quattro cilindrate (748, 916, 996 e 998) e in una mezza dozzina di versioni: E, monoposto, biposto, S, SP SPS ed R, oltre a qualche serie speciale come la Matrix o la Neiman Marcus per la 748, fino alla pregiata, anche se sopravvalutata, versione Senna. Mettendo in conto gli anni di produzione complessivi, si ottiene un numero di versioni che di certo accontenta ogni tipo di appassionato. 12017dsr Vi presentiamo cinque varianti della creatura del CRC, che ricordiamo è l’acronimo di Centro Ricerche Cagiva. In ordine di apparizione sul mercato: 916 SP, 748 SP, 996 S, 748 R e 998. Vediamole da vicino, partendo dalla più anziana: la 916 SP. Come, falsamente, recita il vecchio adagio coniato negli anni ‘70 “Ducati soldi buttati”, la cosa, per quanto riguarda questa serie, può avere un fondo di verità solo se consideriamo un acquisto sulle ali dell’entusiasmo: il mercato è davvero pieno di queste moto, dato che gli esemplari prodotti complessivamente arrivano a cavallo delle 70.000 unità e quindi non c’è che l’imbarazzo della scelta. Va detto che nella moltitudine di versioni alcune sono rare, altre rarissime, altre ancora molto comuni. Saranno dunque soldi buttati se compriamo una versione spacciata per un’altra o a cui sono stati riverniciati cerchi e telaio. Se ne troviamo una su cui dobbiamo fare interventi importanti, o che magari ha visto come meccanico solamente l’amico dopolavorista che lavora in cantina. Tanti problemi delle 916 e famiglia sono legate a scarsa o cattiva manutenzione, un po’ come accade con tutte le moto, qui un po’ di più... Le caratteristiche tecniche e costruttive portano alla necessità di controlli accurati da parte di personale preparato: si pensi al tensionamento della cinghia della distribuzione, facile solo per chi lo sa fare; la regolazione del gioco delle valvole richiede mani capaci; perfino un banale cambio di gomma al posteriore può portare a sgradite sorprese. In definitiva i problemi di affidabilità delle rosse sono della stessa portata di tante altre motociclette: possiamo qui citare i regolatori di tensione e i bilancieri della distribuzione, ma nulla per bollare di inaffidabilità una moto che in fondo richiede solo attenzioni. 12017dqt Oggi tutta una serie di categorie di motociclisti si sta interessando alla 916: chi non l’ha avuta per età, chi l’ha venduta e la rivuole, chi cerca il pezzo pregiato, chi la vuole in salotto perfetta e intonsa, chi ama ancora una vera e pura sportiva e, perché no, chi si vorrebbe mettere in garage a rimirarla. Ce ne sono tante e senza voler dare cifre a sproposito, con pochi Euro, al prezzo di uno scooter, nemmeno costoso, ci si può mettere in casa una versione base, che sia 996 o 748; salendo troviamo le prime 916 biposto, e poi ancora 748 SP, SPS poi R, 996 S e 998 e così via fino ad arrivare all’esclusiva 996 R, forse la più ambita dagli intenditori ancor più della Senna, prodotta in tre versioni, che in fondo è una base con una diversa cosmesi ed equipaggiamento. Una scelta decisa dovrebbe portare a preferire una versione monoposto, praticamente a richiesta lo erano tutte, non fosse altro per una coerenza assoluta con la filosofia della moto. Usare oggi una di queste motociclette è ancora una sensazione meravigliosa che l’evoluzione della tecnica non ha annacquato: senza troppe partigianerie, mettersi in sella ad una qualsiasi di queste serie dà ancora il gusto della guida sportiva, della sicurezza di un avantreno solidissimo e insuperato, una frenata che nelle versioni SP ed R è al di sopra di ogni incertezza e di un motore che ha ancora parecchie frecce al suo arco. Se queste sono le moto d’epoca da venire, evviva il vintage in tutte le sue declinazioni... 12017dr1

  • Link copiato

Commenti

InMoto in abbonamento