Mondo Custom

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Redazione - @InMoto_it

01.03.2013 ( Aggiornata il 01.03.2013 17:32 )

Era il 1995 quando nacque il Chopper & Custom Show, la fiera italiana del custom, che si è evoluta fino all’attuale Motor Bike Expo. Ma le origini del fenomeno risalgono a molto prima: ecco un breve excursus storico delle tendenze principali     Come avete letto nel servizio precedente, il Motor Bike Expo di oggi si occupa di tutto l’ambiente motociclistico, dal fuoristrada alla pista e dalle conferenze a tema ai prodotti editoriali, ma per molti l’esibizione veronese è semplicemente ancora la fiera del custom e delle special. Questo non va inteso in senso riduttivo, al contrario, è la piattaforma di settore più importante sul nostro territorio – in grado di catalizzare interesse e visitatori anche in un periodo buio come l’attuale – a cui, in questo caso, tutto l’ambiente motociclistico tradizionale fa da corollario. A Verona ci sono stati: bike show, contest, nomi di spicco, gallerie d’arte e fotografiche ispirate sia alla Kustom Culture che all’ambiente motociclistico e meccanico, esibizioni all’esterno e varie conferenze a tema. Marchi di primaria importanza con l’intera gamma 2013 e presentazioni di nuove moto, sia di serie – come la Hypermotard motorizzata Testastretta – sia quelle più esclusive come le novità di Headbangers o di Asso Special Bike. Parata di ospiti famosi, sia dall’America che dall’Europa, in alcuni casi presenti a promuovere solo i propri accessori senza special al seguito (sono quelle che i visitatori paganti si aspettano di vedere...), quando non solamente a vendere magliette con il proprio logo. Fantastica la PainTTless della tedesca Thunderbike. Motorizzata con uno Sportster Ironhead 1000 del 1984. Nel 2012 ha vinto a Sturgis il titolo mondiale costruttori AMD nella categoria Freestyle. Niente di più meritato per un gioiello che ha richiesto otto mesi di dedizione e il cui valore è indicato in 150.000 Euro. Anche l’Italia ha mostrato special e, soprattutto, costruttori in grado di competere ai vertici del contesto mondiale: Abnormal Cycles, Garage 65, Ironborne sono solo alcuni dei nomi che ci rappresentano al meglio nel panorama internazionale. Va detto che un buon numero delle più impegnative special esposte le avevamo già viste, ma non mancavano realizzazioni nuove di ottimo livello. Come rovescio della medaglia erano presenti anche moto che sembravano quasi pubblicizzare la recessione, realizzate su basi povere, senza spesa e senza fantasia. cus4 Analizzando le tendenze attuali, va premessa una considerazione: una moto con i manubri bassi e gli scarichi inclinati non diventa necessariamente una café racer, anche con il numero 59 o il logo dell’Ace Cafe appiccicato da qualche parte, così come una monocilindrica, magari rigida, con le gomme tassellate non è proprio una concept bike... Custom oggi è un termine comune nell’ambiente motociclistico e sta ad indicare quelle che un tempo erano additate come moto stile “yankee” o “americaneggianti”. Capisaldi di questo stile erano sopra ogni altra cosa le grosse Electra e le snelle Sportster della Harley-Davidson, ma l’invasione di questo genere dilagò in Italia all’inizio degli anni ’80, con l’arrivo delle prime custom giapponesi plurifrazionate. Le Honda CB 650 e 750 furono tra le prime, seguirono poi le VF 750 e 1100, ma ben presto tutte le Case del Sol Levante, unitamente ad alcuni marchi italiani, si orientarono verso il bicilindrico a V, imitando la celebre Harley che con gli anni ’90 tornò ad essere più che mai l’incontrastata regina del settore. La leggenda vuole che le origini di questo fenomeno risalgano ai primi anni ’50, quando alcuni appassionati motociclisti iniziarono a sostituire la forcella Springer della loro H-D con altre di altre Case o di altre annate, che avevano una lunghezza superiore. Questo dava alla moto un aspetto più aggressivo e imponente e ben presto trovò apprezzamenti tra una nutrita schiera di biker a stelle e strisce. Essendo nata negli USA, la tendenza riguardava principalmente le Harley-Davidson e la prima ad attecchire fu la tendenza bobber. Le moto venivano private dei grossi ed ingombranti parafanghi e di tutto il superfluo, con l’intento di eliminare peso per avere un mezzo più scattante rispetto al modello di serie. Con l’arrivo degli anni ’60 i bobber cedettero il passo ai chopper che dapprima rappresentavano solo una mutazione del precedente contesto, usufruendo di una ruota anteriore più alta e sottile e di un sissy-bar (lo schienale a cui legare il sacco a pelo). I chopper divennero col tempo sempre più definiti ed estremi, assumendo per la fine del decennio connotati precisi, che prevedevano forcelle lunghissime con cannotti di sterzo dall’angolo oltraggiosamente ampio, ruote anteriori striminzite e prive di freno. Inoltre, piccoli serbatoi spesso incastonati nel telaio accoppiati a selle a due piazze che salivano verso lo schienale. La ruota posteriore doveva assolutamente essere massiccia e gli scarichi vistosi e puntati verso l’alto. La PanHead a stelle e strisce di Peter Fonda nel film Easy Rider del 1969 ne è un esempio perfetto. I primi anni ’70 ereditarono questa tendenza evolvendola a stato dell’arte, influenzati anche dalla “Flower Generation” che portò con sé una notevole consistenza di colori psichedelici. L’altezza degli schienali col tempo diminuì e anche selle e scarichi divennero meno vistosi e più accattivanti, le forcelle rimanevano comunque lunghissime, il cromo usato in quantità industriali e i dettagli curati in modo maniacale. Accanto ai chopper negli anni ’70 apparve anche un altro tipo di special denominata digger. Arlen Ness, un vero guru del settore, fu uno dei primi a realizzarne. Questa tipologia si distingueva per un telaio basso e allungato che dava un imponente interasse pur avvalendosi di una forcella corta, un lungo serbatoio a diamante (o comunque dal profilo squadrato) che sembrava montato a rovescio, manubrio pulley-bar che consentiva una guida arretrata e assenza di schienale. I chopper coinvolsero anche marchi d’importazione come Triumph e BSA, e nel periodo in cui rappresentavano il nuovo ci furono anche diverse realizzazioni basate su Honda CB 750. Anche nei chopper però il re incontrastato è stato ed è il marchio americano per eccellenza. cus2 GLI ANNI ’80 videro l’arrivo delle custom giapponesi a quattro cilindri, ma il fenomeno fu di breve durata. Le linee non erano all’altezza (salvo pochi casi come l’Honda VFC) e le potenze eccessive per la posizione di guida di cui disponevano e per il range che erano chiamate a coprire. Inoltre non disponevano del carisma tipico di un bicilindrico a V americano, cosa non di poco conto in un segmento che mette estetica e personalità al di sopra di tutto. Così anche i giapponesi iniziarono a costruire custom bicilindriche, in alcuni casi anche valide, ma sempre con l’handicap di essere delle copie “al ribasso” delle Harley. Peccato: quando non seguono un cliché i giapponesi sanno fare ottimi modelli, non solo nel settore supersport o off-road. Oltre che ad essersi cimentato con i più disparati e fantasiosi tipi di custom, Arlen Ness negli anni ’90 ha anche creato e sviluppato lo stile low ride, le custom definite anche “californian style”. Hanno telai lunghi e forcelle corte come le digger, ma dispongono di forme sinuose e arrotondate, con parafanghi lunghi e avvolgenti e poca luce a terra. Dalla fine degli anni ’90 c’è stata anche una svolta verso estetiche più aggressive, con muscle bike che sembravano quasi streetfighter, manubri drag-bar e pneumatici da camion. Da lì in poi le tendenze si sono mescolate costantemente, dando vita a delle custom e special sempre più articolate ed esclusive, impensabili solo qualche anno prima. Oggi non ci sono più restrizioni o imposizioni di stile. La fantasia e le capacità dei preparatori sono arrivate ai confini più estremi. Ma non c’è solo estetica e voglia di stupire. Oggi sono di gran moda le bagger: Super Tourer con borse e parabrezza, rifinite come opere d’arte. Moto adatte a viaggiare con standard di comodità ed esclusività superiori. Neppure le radici sono state però dimenticate: chopper e bobber vecchio stile sono oggi più presenti che mai, raggruppati sotto una scuola di pensiero denominata Old School, che si ispira agli anni ‘60/70.

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