Che cosa succede...aziono il pedale del cambio (2. puntata)

Che cosa succede...aziono il pedale del cambio (2. puntata)

Redazione - @InMoto_it

01.05.2012 ( Aggiornata il 01.05.2012 14:15 )

Un’operazione assai semplice, come il piccolo movimento del piede sulla leva del cambio, ha conseguenze importanti per gli organi che portano il moto dall’albero a gomiti alla ruota posteriore   Le moto di schema convenzionale sono dotate di un cambio a più rapporti che ha la duplice funzione di moltiplicare la coppia erogata dal motore (in modo da consentire agevoli partenze, brillanti accelerazioni e il superamento di salite anche assai ripide) e di adeguare il regime di rotazione dell’albero a gomiti alla velocità di avanzamento del veicolo. Se il cambio non ci fosse, la trasmissione dal motore alla ruota avverrebbe con un unico rapporto fisso, che invariabilmente non potrebbe soddisfare le diverse esigenze. Se invece di un motore a combustione interna (a pistoni) si impiegasse un motore elettrico, sarebbe in molti casi possibile fare a meno del cambio, come accade per i filobus, i tram e i locomotori ferroviari; sarebbe infatti possibile ottenere una coppia molto elevata ai bassi regimi, o addirittura allo spunto, cioè proprio dove essa serve maggiormente. Nel nostro caso la situazione è ben diversa e occorre impiegare il cambio o, in alternativa, una trasmissione con un variatore o un convertitore di coppia. Un tipico cambio motociclistico è costituito da due alberi paralleli, sui quali sono montati degli ingranaggi che, due a due, sono in presa tra loro. L’albero di entrata, o primario, riceve il moto dal mozzo della frizione; alla estremità dell’albero di uscita, o secondario, è vincolato il pignone della trasmissione finale. Gli ingranaggi sono di tre tipi; quelli fissi sono rigidamente vincolati all’albero sul quale sono montati, devono ruotare assieme ad esso e non possono spostarsi lateralmente. Pure quelli scorrevoli sono obbligati a girare assieme all’albero, sul quale sono montati con un accoppiamento scanalato, ma possono essere spostati assialmente, cioè da un lato o dall’altro, in una certa misura (alcuni millimetri). Infine ci sono gli ingranaggi folli, che possono ruotare liberamente, ma non si possono spostare assialmente; in altre parole, non cambiano mai la loro posizione sull’albero, ma girano indipendentemente da esso. Il principio di funzionamento del cambio è molto semplice e razionale: di ogni coppia di ingranaggi in presa, uno è obbligato a girare assieme al proprio albero, mentre l’altro è montato folle sull’altro albero e quindi è libero nella sua rotazione. Per trasmettere il moto occorre che l’ingranaggio folle venga reso solidale con il suo albero, ovvero risulti obbligato a girare assieme ad esso. Questo si ottiene facendo entrare in presa, tramite i denti frontali, un ingranaggio scorrevole con quello folle. Ciò è possibile facendo spostare lateralmente lungo il suo albero (col quale è obbligato a ruotare, data la presenza di apposite scanalature) l’ingranaggio scorrevole. Tale spostamento viene determinato da una apposita forcella (ce ne è ovviamente una per ogni ingranaggio scorrevole), le cui estremità vanno a inserirsi in una cava ricavata nell’ingranaggio stesso. A sua volta il movimento della forcella viene controllato da un tamburo selettore dotato di cave sagomate, in ognuna delle quali si va ad inserire il grano di guida di una forcella stessa. Ogni volta che si aziona il pedale, il tamburo ruota disponendosi in una nuova posizione, accuratamente prestabilita. Come ovvio, il moto viene trasmesso da una sola coppia di ingranaggi alla volta, alla quale corrisponde una marcia. Il movimento delle forcelle di innesto deve quindi essere accuratamente sincronizzato. L’albero secondario gira sempre, se la moto è in movimento, dato che è collegato alla ruota posteriore. L’albero primario invece gira, con una velocità proporzionale al regime di rotazione del motore (a determinarla è il rapporto della trasmissione primaria), allorché quest’ultimo è in funzione e la frizione è innestata. Quando il cambio è in folle, il motore è acceso e la leva della frizione è in posizione di riposo, l’albero primario gira, e quindi ruotano anche gli ingranaggi scorrevoli e fissi montati su di esso, senza tramettere però il moto all’albero secondario, dato che gli ingranaggi folli sono tutti liberi; di ogni coppia di ingranaggi in presa, cioè, ce ne è uno che gira a vuoto! Lo stesso accade se il motore è spento e si spinge la moto, con il cambio in folle: la ruota posteriore gira e quindi anche il pignone della trasmissione finale e l’albero secondario; il moto però non viene trasmesso al primario. I due alberi del cambio sono supportati da cuscinetti a rotolamento, montati in appositi alloggiamenti praticati nelle pareti del basamento. Gli ingranaggi folli ruotano su bussole o, in certe realizzazioni di particolare raffinatezza, su rullini ingabbiati. 12079gsb Quando si aziona il pedale del cambio, spostandolo verso l’alto o verso il basso rispetto alla posizione di riposo, si fa ruotare il tamburo selettore, che compie uno “scatto” in una direzione o nell’altra, disponendosi nella posizione prefissata immediatamente seguente o precedente rispetto a quella in cui si trovava. Il meccanismo di comando è realizzato in modo da determinare questa rotazione parziale e da tornare poi subito in posizione “neutra”, pronto a ripetere l’operazione in un senso o nell’altro. Dunque, fa compiere al tamburo uno “scatto” alla volta. In genere si impiegano meccanismi ad arpionismo, ma le variazioni sul tema sono numerose. Le posizioni prefissate, nelle quali il tamburo si deve disporre e deve poi essere mantenuto, sono determinate a loro volta da un semplice meccanismo del tipo a molla e puntalino o del tipo a braccio con rullo, anche in questo caso caricato da una molla. Nella periferia del tamburo è praticata una serie di incavi. Ad ogni scatto del tamburo il puntalino va ad inserirsi in un nuovo incavo, nel quale riesce a penetrare grazie alla rotazione effettuata; il tamburo stesso viene quindi tenuto fermo in tale posizione. Allorché si aziona nuovamente il pedale, il meccanismo di comando fa compiere al tamburo una nuova rotazione parziale, vincendo la resistenza offerta dalla molla che agisce sul puntalino. Quando si impiega un braccio fermamarce, invece degli incavi si utilizzano in genere dei grani (o delle spine) e il rullo va ad inserirsi nello spazio esistente tra due di essi. Non di rado le forcelle spostamarce non sono montate su degli assi, ma direttamente sul tamburo selettore, che in tal caso ha la superficie esterna debitamente lavorata (in genere viene finita di rettifica). In passato diverse moto erano dotate, invece del tamburo selettore, di una piastra munita di cave sagomate. Oggi questa soluzione viene adottata di rado, e solo su alcuni modelli “old style”. La rotazione del tamburo determina uno spostamento assiale delle forcelle. Se si esclude la prima, in corrispondenza delle altre marce ne vengono mosse contemporaneamente due; subito dopo che una forcella ha disinnestato un rapporto l’altra provvede a innestare quello immediatamente più alto o più basso. Come detto, gli ingranaggi scorrevoli sono dotati di denti di innesto frontali, ricavati sulle loro superfici laterali, che quando necessario entrano in presa con quelli degli ingranaggi folli adiacenti. Questi ultimi sono talvolta dotati di fori asolati, nei quali vanno ad inserirsi i denti in questione. In passato al posto degli ingranaggi scorrevoli si impiegavano talvolta dei manicotti con denti frontali (il principio di funzionamento era ovviamente lo stesso); oggi questa soluzione viene impiegata assai di rado. I denti frontali molto spesso sono conformati leggermente a coda di rondine, onde ottenere una “presa” più salda all’atto dell’innesto. I costruttori fanno bene attenzione però a non esagerare in questo senso per non rendere difficoltoso il disinnesto. Molto importante è anche la profondità dell’innesto, ovvero “l’entità” della presa tra i denti; questi devono penetrare nei vani o nei fori asolati in misura considerevole, ma non eccessiva. In altre parole, l’estremità di quelli dell’ingranaggio scorrevole non devono arrivare a toccare la superficie laterale dell’ingranaggio folle (cioè, ad arrivare a contatto con la parete di fondo del “vano” in cui si inseriscono). Dunque, i denti frontali devono entrare in presa in misura corretta, ossia né troppo né troppo poco! Analogamente, è importante che, quando non sono in presa, tra i denti frontali dei due ingranaggi (scorrevole e folle) vi sia una adeguata distanza minima di sicurezza. Per ottenere questo, il cambio deve essere accuratamente “spessorato” mediante appositi rasamenti, con i quali si può regolare opportunamente la posizione di lavoro dei diversi ingranaggi. Come logico, le lavorazioni vanno effettuate rispettando tolleranze dimensionali e geometriche molto ristrette. Lo spostamento assiale che gli ingranaggi scorrevoli compiono, all’atto dell’innesto delle diverse marce, è dell’ordine di alcuni millimetri (da 4 a 6, indicativamente) da un lato e dall’altro, rispetto alla posizione di riposo, sicché ciascuno di essi rimane sempre comunque in presa con l’ingranaggio dell’altro albero. I denti di innesto frontali hanno i margini a spigolo vivo. Talvolta, in seguito a una usura anomala, essi possono subire un certo arrotondamento. La cosa è deleteria in quanto tende a causare un disinnesto spontaneo della marcia, e la situazione non può che peggiorare con il passare del tempo. A questo si deve fare bene attenzione all’atto della revisione. Quando la forcella sposta lateralmente l’ingranaggio scorrevole, non è detto che i denti frontali entrino direttamente nei vani dell’ingranaggio folle adiacente. Spesso incontrano le superfici frontali degli altri denti, sulle quali devono scorrere, perché poi possano entrare nei vani e quindi effettuare l’innesto. Per agevolare quest’ultimo è pertanto opportuno che i vani siano estesi e i denti siano pochi. Nelle moto sportive spesso questi ultimi sono soltanto quattro (e talvolta si possono perfino ridurre a tre!), mentre in quelle di impostazione turistica in molti casi sono cinque (ma possono anche essere sei). Questo spiega per quale ragione nell’apri e chiudi, in certe condizioni si avverta chiaramente un “clonk” nella trasmissione, in particolare nelle moto di alte prestazioni. In aggiunta ai cambi in cascata, esistono anche quelli con presa diretta, assai impiegati in passato ma oggi adottati solo su pochissimi modelli di impostazione volutamente old style, come i bicilindrici Harley-Davidson raffreddati ad aria. In questo caso il pignone della trasmissione finale è montato su di un manicotto coassiale con l’albero primario e quindi, nel passaggio attraverso il cambio, il senso di rotazione non viene invertito (come nei cambi in cascata, ovvero di schema usuale) ma rimane invariato. L’albero secondario diventa un albero ausiliario; in tutti i rapporti tranne uno (la quarta o la quinta) il moto lo raggiunge tramite una coppia di ingranaggi, che varia in funzione della marcia innestata, per essere poi trasmesso al manicotto di uscita da un’altra coppia di ingranaggi, che non cambia mai (cioè, rimane sempre la stessa indipendentemente dalla marcia). Lavorano quindi sempre due coppie di ruote dentate. Nella marcia rimanente però non ne lavora nessuna, in quanto il manicotto di uscita viene reso solidale con l’albero primario semplicemente dallo spostamento assiale di un ingranaggio scorrevole munito di denti di innesto frontali: viene cioè innestata la “presa diretta”. Questa soluzione era molto cara ai costruttori inglesi del passato. In Italia le ultime moto che l’hanno impiegata sono state le Laverda 1000 e 1200 a tre cilindri e la grosse bicilindriche Ducati con distribuzione comandata da alberelli e coppie coniche. 12079gs9

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