Sospensioni: istruzioni per l’uso (3° parte)

Sospensioni: istruzioni per l’uso (3° parte)

Prosegue il nostro viaggio nel mondo delle sospensioni, un universo tutto da scoprire sempre in grande fermento

Francesco Gulinelli

19.12.2017 12:58

Nelle puntate precedenti abbiamo capito cosa succede nell'affrontare una buca, oppure un gradino, e qual è l'importanza delle molle nel momento dell'impatto. Adesso, invece di analizzare altre condizioni di guida (lo faremo in seguito), proviamo a capire cosa succede dopo l'impatto, quando cioè l'ostacolo è già superato e la marcia prosegue su asfalto regolare.

IL SUPERAMENTO DELL'OSTACOLO, sia esso positivo o negativo, come abbiamo, visto fa lavorare la sospensione che successivamente dovrebbe tornare in condizione di equilibrio, ovvero con lo stesso affondamento che avevamo prima dell'impatto. In realtà, le cose sono ben diverse. Sul sistema lavorano contemporaneamente le forze di inerzia che dipendono dalle masse in gioco e dalle accelerazioni cui queste masse sono sottoposte; oltre alle forze elastiche delle molle che dipendono dalla posizione delle masse in gioco, ovvero dall'escursione che le molle stanno subendo.

MATEMATICAMENTE È UN PROBLEMA BEN NOTO. Si trova l'equilibrio fra due forze dipendenti da posizione ed accelerazione risolvendo una cosiddetta “equazione differenziale del secondo ordine”, che purtroppo per noi ha sempre e solo un unico tipo di soluzione. La matematica infatti ci dice che il sistema non ritorna in una condizione di equilibrio stabile, ma si mette a oscillare attorno alla posizione di equilibrio.

TRADOTTO IN TERMINI PRATICI la nostra motocicletta, dopo avere affrontato un gradino od una buca, si mette a dondolare su e giù senza fermarsi! Mal di mare assicurato, quote ciclistiche che cambiano a casaccio e soprattutto carico dello pneumatico sull'asfalto, che varia continuamente. Quindi, aderenza che va e viene senza controllo. Una situazione che non può essere assolutamente accettata. Certo tutto questo parlando a livello teorico, in pratica questo ondeggiamento prima o poi è destinato a ridursi fino ad annullarsi, perché ci sono gli attriti (ad esempio quello degli steli della forcella che scorrono su e giù dentro ai foderi). Insomma la moto prima o poi smetterà di ondeggiare, ma dopo quanto tempo?

ANCHE PERCHÉ dobbiamo pensare che durante la marcia non prenderemo un ostacolo e basta. Subito dopo aver affrontato con la forcella, lo stesso ostacolo viene affrontato anche dal posteriore, che a sua volta impone dei movimenti alla motocicletta. Movimenti che possono essere in contro-fase al precedente, oppure in fase e quindi sommarsi. Se invece il tratto di strada si rivela particolarmente sconnesso, altre buche o dossi si inseriscono nel discorso, col risultato che l'ondeggiamento diventerà una cosa assolutamente incontrollabile.

ABBIAMO CAPITO, però, che gli attriti ci possono aiutare a smorzare questo effetto. Allora dobbiamo introdurne altri, ma devono essere quelli che vogliamo noi e devono “attivarsi” quando vogliamo noi. La soluzione più semplice sarebbe quella di aumentare l'attrito ad esempio fra steli e foderi della forcella. La sospensione così risulta indubbiamente frenata, ma lo è sempre con la stessa forza: una cura peggiore del male. Infatti, sulle piccole asperità, alla forza delle molle si aggiunge un contributo molto alto dato dall'attrito, col risultato di sentire la sospensione “dura” con poco comfort e poco feeling perché la ruota non riesce a seguire a dovere l'asfalto (non a caso sulle sospensioni da competizione si lavora tantissimo sulla cosiddetta scorrevolezza proprio per evitare questo problema). Sulle asperità più profonde, invece, quando le molle lavorano tanto, il contributo dell'attrito è percentualmente molto minore e quindi poco influente. A noi invece servirebbe un attrito molto basso quando le sospensioni lavorano poco e molto alto quando le sospensioni lavorano tanto.

LA NOSTRA FORTUNA è che più le sospensioni lavorano come escursione più le velocità di escursione sono alte: possiamo quindi introdurre un attrito che si manifesta proporzionalmente alla velocità di escursione, un attrito viscoso come si dice in linguaggio tecnico. E per ottenerlo, il modo migliore è creare un serbatoio d'olio all'interno del quale si muove un corpo, così che al movimento del corpo è opposta una resistenza che dipende dai seguenti parametri: forma del corpo, velocità di spostamento e viscosità dell'olio. Abbiamo appena inventato l'ammortizzatore idraulico!

SIA ALL'INTERNO DI UNA FORCELLA che di un mono ammortizzatore c'è proprio una situazione come quella appena descritta, ovviamente raffinata in vari modi ed adattata alle precise necessità di ogni singolo veicolo. Per il momento, quello che a noi deve interessare sono alcuni punti chiave: l'ammortizzatore deve fare attrito, adesso possiamo parlare di “frenatura idraulica”, seguendo precise direttive. Quando la sospensione si muove lentamente, deve esserci poca frenatura, crescente all'aumentare della velocità; ma seguendo una progressione che non può essere lineare, altrimenti l'esperienza dimostra che il range diventa troppo alto, quindi troppo libera sui piccoli movimenti e troppo frenata quando le velocità sono alte.

IL FRENO IDRAULICO, inoltre, deve assumere valori diversi in fase di estensione rispetto a quella di compressione, perché le condizioni di funzionamento sono totalmente diverse. Altro aspetto che vedremo meglio. E infine, deve avere un comportamento stabile nel tempo, perché l'attrito genera calore, calore che scalda l'olio e che potenzialmente può cambiare viscosità e quindi l'effetto frenante ostacolo dopo ostacolo. Prossimamente, ancora sul tema!

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