Nelle puntate precedenti abbiamo capito cosa succede nell&#39;affrontare una buca, oppure un gradino, e qual &egrave; l&#39;importanza delle molle nel momento dell&#39;impatto. Adesso, invece di analizzare altre condizioni di guida (lo faremo in seguito), proviamo a capire cosa succede dopo l&#39;impatto, quando cio&egrave; l&#39;ostacolo &egrave; gi&agrave; superato e la marcia prosegue su asfalto regolare.  IL SUPERAMENTO DELL&#39;OSTACOLO, sia esso positivo o negativo, come abbiamo, visto fa lavorare la sospensione che successivamente dovrebbe tornare in condizione di equilibrio, ovvero con lo stesso affondamento che avevamo prima dell&#39;impatto. In realt&agrave;, le cose sono ben diverse. Sul sistema lavorano contemporaneamente le forze di inerzia che dipendono dalle masse in gioco e dalle accelerazioni cui queste masse sono sottoposte; oltre alle forze elastiche delle molle che dipendono dalla posizione delle masse in gioco, ovvero dall&#39;escursione che le molle stanno subendo.  MATEMATICAMENTE &Egrave; UN PROBLEMA BEN NOTO. Si trova l&#39;equilibrio fra due forze dipendenti da posizione ed accelerazione risolvendo una cosiddetta &ldquo;equazione differenziale del secondo ordine&rdquo;, che purtroppo per noi ha sempre e solo un unico tipo di soluzione. La matematica infatti ci dice che il sistema non ritorna in una condizione di equilibrio stabile, ma si mette a oscillare attorno alla posizione di equilibrio.  TRADOTTO IN TERMINI PRATICI la nostra motocicletta, dopo avere affrontato un gradino od una buca, si mette a dondolare su e gi&ugrave; senza fermarsi! Mal di mare assicurato, quote ciclistiche che cambiano a casaccio e soprattutto carico dello pneumatico sull&#39;asfalto, che varia continuamente. Quindi, aderenza che va e viene senza controllo. Una situazione che non pu&ograve; essere assolutamente accettata. Certo tutto questo parlando a livello teorico, in pratica questo ondeggiamento prima o poi &egrave; destinato a ridursi fino ad annullarsi, perch&eacute; ci sono gli attriti (ad esempio quello degli steli della forcella che scorrono su e gi&ugrave; dentro ai foderi). Insomma la moto prima o poi smetter&agrave; di ondeggiare, ma dopo quanto tempo?  ANCHE PERCH&Eacute; dobbiamo pensare che durante la marcia non prenderemo un ostacolo e basta. Subito dopo aver affrontato con la forcella, lo stesso ostacolo viene affrontato anche dal posteriore, che a sua volta impone dei movimenti alla motocicletta. Movimenti che possono essere in contro-fase al precedente, oppure in fase e quindi sommarsi. Se invece il tratto di strada si rivela particolarmente sconnesso, altre buche o dossi si inseriscono nel discorso, col risultato che l&#39;ondeggiamento diventer&agrave; una cosa assolutamente incontrollabile.  ABBIAMO CAPITO, per&ograve;, che gli attriti ci possono aiutare a smorzare questo effetto. Allora dobbiamo introdurne altri, ma devono essere quelli che vogliamo noi e devono &ldquo;attivarsi&rdquo; quando vogliamo noi. La soluzione pi&ugrave; semplice sarebbe quella di aumentare l&#39;attrito ad esempio fra steli e foderi della forcella. La sospensione cos&igrave; risulta indubbiamente frenata, ma lo &egrave; sempre con la stessa forza: una cura peggiore del male. Infatti, sulle piccole asperit&agrave;, alla forza delle molle si aggiunge un contributo molto alto dato dall&#39;attrito, col risultato di sentire la sospensione &ldquo;dura&rdquo; con poco comfort e poco feeling perch&eacute; la ruota non riesce a seguire a dovere l&#39;asfalto (non a caso sulle sospensioni da competizione si lavora tantissimo sulla cosiddetta scorrevolezza proprio per evitare questo problema). Sulle asperit&agrave; pi&ugrave; profonde, invece, quando le molle lavorano tanto, il contributo dell&#39;attrito &egrave; percentualmente molto minore e quindi poco influente. A noi invece servirebbe un attrito molto basso quando le sospensioni lavorano poco e molto alto quando le sospensioni lavorano tanto.  LA NOSTRA FORTUNA &egrave; che pi&ugrave; le sospensioni lavorano come escursione pi&ugrave; le velocit&agrave; di escursione sono alte: possiamo quindi introdurre un attrito che si manifesta proporzionalmente alla velocit&agrave; di escursione, un attrito viscoso come si dice in linguaggio tecnico. E per ottenerlo, il modo migliore &egrave; creare un serbatoio d&#39;olio all&#39;interno del quale si muove un corpo, cos&igrave; che al movimento del corpo &egrave; opposta una resistenza che dipende dai seguenti parametri: forma del corpo, velocit&agrave; di spostamento e viscosit&agrave; dell&#39;olio. Abbiamo appena inventato l&#39;ammortizzatore idraulico!  SIA ALL&#39;INTERNO DI UNA FORCELLA che di un mono ammortizzatore c&#39;&egrave; proprio una situazione come quella appena descritta, ovviamente raffinata in vari modi ed adattata alle precise necessit&agrave; di ogni singolo veicolo. Per il momento, quello che a noi deve interessare sono alcuni punti chiave: l&#39;ammortizzatore deve fare attrito, adesso possiamo parlare di &ldquo;frenatura idraulica&rdquo;, seguendo precise direttive. Quando la sospensione si muove lentamente, deve esserci poca frenatura, crescente all&#39;aumentare della velocit&agrave;; ma seguendo una progressione che non pu&ograve; essere lineare, altrimenti l&#39;esperienza dimostra che il range diventa troppo alto, quindi troppo libera sui piccoli movimenti e troppo frenata quando le velocit&agrave; sono alte.  IL FRENO IDRAULICO, inoltre, deve assumere valori diversi in fase di estensione rispetto a quella di compressione, perch&eacute; le condizioni di funzionamento sono totalmente diverse. Altro aspetto che vedremo meglio. E infine, deve avere un comportamento stabile nel tempo, perch&eacute; l&#39;attrito genera calore, calore che scalda l&#39;olio e che potenzialmente pu&ograve; cambiare viscosit&agrave; e quindi l&#39;effetto frenante ostacolo dopo ostacolo. Prossimamente, ancora sul tema! 

<p>Prosegue il nostro viaggio nel mondo delle sospensioni, un universo tutto da scoprire sempre in grande fermento</p> 

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Sospensioni: istruzioni per l’uso (3° parte)