Bicilindrico raffreddato ad aria e telaio a doppia culla in acciaio: cos&igrave; la Casa di Iwata si lancia all&rsquo;attacco di un segmento finora solo sfiorato. Immagine&nbsp; &ldquo;americana&rdquo; e sostanza giapponese sono i capisaldi della nuova XV 950 che guarda al futuro e ammicca al passato  &nbsp;  &Egrave; un cuore quello, imbrigliato in un intreccio di tubi e sovrastato da una goccia d&rsquo;acciaio, il serbatoio, e attorniato da un piccolo strapuntino dove accomodarsi sopra. Il manubrio, largo e lontano, invita a stendersi avanti. Ma non per andare pi&ugrave; forte, solo per sentire meglio nella pancia lo stantuffare dei due pistoni proprio l&igrave; sotto. E sentire le maniche della giacca svolazzare e il soffio caldo del cilindro sotto la pancia e sulle gambe. L&rsquo;XV 950 &egrave; essenzialit&agrave;, essenza. Acciaio. Un disegno semplice e riuscito, diverso e uguale a molte altre. S&igrave;, quando le linee si giocano su un motore, un serbatoio e un fanale &egrave; proprio difficile fare qualcosa di pi&ugrave; di cos&igrave;. Che qualche analogia con le americane ci sia, &egrave; innegabile. Ma la Casa di Iwata ci ha messo l&rsquo;anima per farla. E anche qualche anno. Presa la mira, non potevano certo sbagliare il colpo. Cos&igrave; eccoci qui, a Venice Beach, California, ad assaggiare la moto del nuovo corso. Piaccia o non piaccia dobbiamo comunque ringraziare la Casa giapponese per aver avuto il coraggio di investire sui gusti occidentali, senza rintanarsi nel mondo delle crescite a doppia cifra dei mercati del far-east. Senza paura dei pregiudizi e di mettersi contro chi ha vissuto secoli a produrre, migliorare, vendere questo genere di moto. Agli appassionati che resistono alla tentazione di mandare a quel paese tutto e tutti, petrolieri e assicuratori in primis, le due ruote piacciono cos&igrave;: semplici, godibili, personalizzabili e durature. Ovvio che una grande Casa come Yamaha doveva lanciarsi, per ora grazie ad un modello declinato in due versioni e tre prezzi: 8.390 Euro per la XV 950 standard, 500 Euro in pi&ugrave; per l&rsquo;ABS o 9.190 Euro per la R, diversa per cromatismi e per dotazione e con l&rsquo;ABS di serie.  Da fermo Yamaha ha elaborato con gusto il tema della semplicit&agrave; creando una moto esteticamente piacevole e curata nei dettagli riuscendo a mantenere un prezzo di acquisto concorrenziale e poco impegnativo. Bellissimo il bicilindrico a V, ovviamente raffreddato ad aria, e incantevole il serbatoio a goccia, in acciaio. I dettagli intorno non fanno che evidenziare questi due caratteristici elementi. Il telaio a doppia culla ha un andamento molto semplice e lineare e pecca solo per qualche saldatura un po&rsquo; troppo porosa; forcella e forcellone sono invece costruiti e rifiniti con molta cura. Bello il singolo proiettore anteriore e il colpo d&rsquo;occhio sul manubrio dove la strumentazione, con un singolo elemento centrale montato a sbalzo, &egrave; protagonista. La sella sagomata segue l&rsquo;andamento del parafango posteriore, anch&rsquo;esso in acciaio, impreziosito da semplici e curatissimi elementi circolari impiegati per l&rsquo;impianto di illuminazione. I particolari meno riusciti sono davvero pochi: alcune saldature porose, come detto, e i blocchetti elettrici, banali. Il resto &egrave; perfettamente intonato allo stile e alla qualit&agrave; cui la Casa giapponese ci ha abituato. Bello il coperchio del filtro dell&rsquo;aria e l&rsquo;alloggiamento del serbatoio della pompa freno posteriore, piacevoli i cerchi a 6 razze sdoppiate e i dischi freno con profilo wave. Anche nei dettagli meno evidenti &egrave; lampante una cura costruttiva superiore alla media. Esempi si trovano facilmente sulla testata del cilindro posteriore, circondata da un sottile tubo di acciaio che limita le possibilit&agrave; di contatto e le conseguenti bruciature, o nel bel tappo del serbatoio, chiuso da serratura, e nella sottile striscia di gomma posizionata proprio sotto quest&rsquo;ultimo che diminuisce lo sbalzo ed evita di lasciarci attaccate le... spiacevoli inconvenienti in caso di incidenti. Difficile, a questo prezzo e con questa qualit&agrave;, pretendere qualcosa in pi&ugrave;. La versione R, arricchisce il tutto con colorazioni a doppio tono ancora pi&ugrave; evocative e una bella coppia di ammortizzatori con serbatoio separato che danno il giusto tocco di grinta a un posteriore che non sfigura affatto sulle spiagge di Malibu e Venice Beach...    In sellaLe piccole dimensioni del piano di seduta diventano un problema gi&agrave; dopo alcuni chilometri a bordo, quando si vorrebbe riposizionare un po&rsquo; il fondoschiena per evitare che i contraccolpi delle sospensioni vadano a battere sempre nel solito punto. Ma la sella &egrave; piccola e il manubrio, pur largo, &egrave; un po&rsquo; lontano: non si scappa. Meglio allora puntare i piedi sulle pedane e sculettare un po&rsquo; in faccia a chi ci segue, e rilassarsi cos&igrave;. Ma non fraintendeteci, la XV 950 non &egrave; scomoda: con i piedi avanti e le braccia larghe si potrebbe fare il giro del mondo. Lo spazio per muoversi &egrave; per&ograve; poco e la sella &egrave; distante non pi&ugrave; di una decina di centimetri dal cilindro posteriore, con ovvie conseguenze in caso di lunga sosta ai semafori, specialmente in estate. Ha una forma triangolare e segue la rotondit&agrave; del parafango posteriore e l&rsquo;imbottitura, morbida ma sottile, non aiuta a filtrare il lavoro della coppia di ammortizzatori che con 70 mm di escursione non possono certo far miracoli. Le pedane sono molto avanzate ma i piedi ci si appoggiano senza problemi e senza alcuna fatica e solo il filtro dell&rsquo;aria, sul lato destro del motore, entra facilmente in contatto con il ginocchio. Poco male: il fastidio &egrave; presto dimenticato con gioie ben pi&ugrave; consistenti, come l&rsquo;andare.  Primo giorno La prima tappa di questa nostra trasferta ci porta a visitare la sede californiana dell&rsquo;atelier di &ldquo;Deus Ex Machina&rdquo;, brand ormai noto anche in Italia per le sue special, spesso su base Yamaha. Pochi chilometri in mezzo a un traffico sostanzioso ma ordinato e qualche semaforo ci aiutano ad individuare i primi punti di forza, e di debolezza, della nuova XV 950. Sella bassa da terra e peso ben bilanciato aiutano a muoversi leggeri fra le auto. Il manubrio &egrave; s&igrave; un po&rsquo; lontano, ma la snellezza d&rsquo;insieme e l&rsquo;ampio braccio di leva offerta aiutano non poco quando si tratta di dribblare le auto incolonnate ai semafori. Bene i comandi: la frizione &egrave; morbida e modulabile e la frenata non &egrave; da meno: le leve tozze non impediscono di entrare subito in confidenza con le reazioni della moto, mai inaspettate. Il nostro esemplare non &egrave; dotato di ABS quindi bisogna fare un po&rsquo; di attenzione avvicinandoci ai semafori dove l&rsquo;asfalto &egrave; spesso scivoloso e unto. Il bicilindrico pulsa educato e la sua presenza &egrave; suggerita pi&ugrave; dalle ventate di calore che salgono verso lo stomaco che dalle poche e piacevoli vibrazioni che trasmette alle manopole e alle pedane. La vicinanza della nostra prima tappa non ci permette di scoprire molto di pi&ugrave; su questa moto, ma entriamo rumoreggianti e fieri nel parcheggio di &ldquo;Deus&rdquo; fra affascinanti e curatissime special (vedi box qui sotto). Tempo di lustrarsi un po&rsquo; gli occhi sulla proposta su base XJR 1300 e di ungersi un po&rsquo; le mani con un succulento taco ed &egrave; gi&agrave; l&rsquo;ora di ripartire alla volta dell&rsquo;officina di Roland Sands, ex pilota, preparatore, designer e autorit&agrave; indiscussa nell&rsquo;allestimento di incredibili special. Puntiamo quindi il fanale verso il centro di Los Angeles e imbocchiamo una Highway trafficata che lambendo i confini urbani ci porter&agrave; dritti dritti in questa Mecca del motociclismo &ldquo;Made in USA&rdquo;. Rimpiangere l&rsquo;asfalto ruvido e drenante delle nostre autostrade &egrave; un attimo: il fondo scivoloso ed imperfetto di quelle americane non offre la sicurezza cui siamo abituati e spesso ci troviamo a remare sui profondi tagli longitudinali che mettono in crisi la ciclistica della nostra moto. Anche le buche si susseguono con un ritmo inaspettato e la coppia di ammortizzatori non riesce ad assorbirne che una piccola parte. Qualche sontuoso calcio nel fondoschiena, se si viaggia qui, &egrave; da mettere in conto. Il paesaggio &egrave; maestoso e lo scivolare leggero dei nostri 52 cavalli riempie gli attimi altrimenti noiosi dell&rsquo;autostrada. Il caldo inizia ad arrostirci il viso e le gambe, ma in qualche manciata di chilometri siamo a bussare alla porta dell&rsquo;officina di Sands, sudati e con un sorriso ebete stampigliato sul volto. Una persona normale non avrebbe mai aperto ad un insieme tanto eterogeneo di stranieri accaldati e rumorosi. Ma Roland vive con e per le moto e non fa una piega: siamo pronti a perderci fra le sue visionarie interpretazioni. Affianco a una XV 950 opportunamente spogliata e pronta ad essere lavorata (seguendo un bozzetto chiaramente ispirato alle moto da dirt-track, che siamo riusciti a fotografare) svettano le due special esibite da Yamaha ai recenti saloni: il TMax spogliato e la VMax trasformata in una cattivissima caf&egrave; racer. Il tempo di lustrarsi gli occhi e siamo di nuovo sulla strada, per oggi ancora dritta.    Secondo giorno La strada che da Venice Beach punta Malibu corre parallela all&rsquo;Oceano e a spiagge quasi infinite, popolate di surfisti. Qualche semaforo, di tanto in tanto, rompe la monotonia di una perfezione quasi disarmante. Brezza fresca, asciutta, asfalto perfetto e opulenza tutt&rsquo;intorno. Lasciamo che il bicilindrico canti la sua canzone centellinando il gas su una quinta marcia che ci fa scivolare soffici sulle 50 miglia orarie imposte come limite massimo. Le manopole ci riportano filtrato lo stantuffare della coppia di cilindri e cos&igrave; fanno anche le pedane e la sella: vibrazioni positive, non ingombranti, non fastidiose, non stancanti. La XV 950 prende le distanze dal modello da cui deriva (la XVS 950 Midnight Star) e compie un significativo passo in avanti. I tecnici e i designer sono infatti riusciti a donare un nuovo appeal a una moto poco apprezzata, almeno nel nostro Paese: le modifiche hanno interessato quasi tutta la struttura, motore, scarico, iniezione, ciclistica, aspetto e hanno portato notevoli benefici alla guida e al piacere della stessa. I 52 cavalli bastano e avanzano per togliersi qualche soddisfazione: merito della coppia, ben distribuita su tutti i giri disponibili e di una ciclistica che &egrave; innanzitutto facile e svelta. Dopo una quarantina di chilometri lasciamo infatti la costa per lanciarci sulle colline che circondano Los Angeles. Il vento che soffia insistente a pochi metri dall&rsquo;oceano lascia posto ad una calura che mozza il fiato e non risparmia nemmeno la vegetazione, secca e bassa e solo saltuariamente intervallata da zone d&rsquo;ombra. Fra le curve la XV 950 &egrave; a suo agio: scende in curva rapida, segue la traiettoria suggerita dal pilota e non si scompone. Anche qui l&rsquo;asfalto non &egrave; sempre perfetto ma la ciclistica digerisce e assorbe quasi tutto: il manubrio largo aiuta a governare una forcella che &egrave; morbida il giusto e i pneumatici si sobbarcano senza alcun tentennamento gli eventuali cedimenti della coppia di ammortizzatori. Le pedane lasciano poco spazio alla fantasia e in un attimo sono a grattare l&rsquo;asfalto. Pace. Pochi cavalli, certo. Ma qui non c&rsquo;&egrave; alcun cronometro e ci godiamo il frullare allegro del bicilindrico che sopporta e risponde a dovere anche qualche tirata di orecchie. Ad affascinare &egrave; per&ograve; la grande elasticit&agrave; che permette di mantenere i rapporti pi&ugrave; alti senza alcuna fatica; merito anche della trasmissione finale a cinghia, precisa e silenziosa, che non sembra soffrire affatto i nostri maltrattamenti e risponde come deve, anche quando i due pistoni a V iniziano a strattonare pi&ugrave; forte.  Emozioni sonore Chi &egrave; abituato a usare moto di questo tipo trover&agrave; il cambio perfettamente in linea con le aspettative, per tutti gli altri sar&agrave; rumoroso e lento. Il passaggio di rapporto va aiutato con un bel colpo di gas: tutto diventa pi&ugrave; morbido e facile. E spassoso, se vi emoziona il bel canto. Fra le curve abbiamo potuto provare la versione R e le differenze sono limitate a pochi dettagli: gli ammortizzatori posteriori con serbatoio separato rispondono con pi&ugrave; precisione alle sbavature dell&rsquo;asfalto e i contraccolpi sono meglio filtrati. La strada che riporta verso la citt&agrave; prosegue tortuosa e ripida dopo una salita piuttosto dolce. L&rsquo;impianto frenante, potente, non sembra per&ograve; soffrire n&eacute; il peso n&eacute; il caldo. Puntiamo ancora una volta il fanale verso Malibu e in un attimo siamo nuovamente sulla costa. Una brezza fresca torna a soffiarci in volto e niente sulla moto offre resistenza. Ma con questa moto non poteva essere che cos&igrave;.

Yamaha XV 950

La Casa francese non rimane insensibile ai richiami del mercato interno, affamato di tre ruote, e lancia la sua personale interpretazione del concetto. Linea dal chiaro sapore automobilistico e rifiniture curate: non manca nulla per fare breccia anche da noi  Per qualche anno la convivenza &egrave; riuscita, poi ai francesi &egrave; saltata la mosca al naso e con un &ldquo;adesso glielo faccio vedere io!&rdquo; i tecnici Peugeot hanno sfornato il Metropolis 400i, tre ruote costruito per piacere ai parigini, consumatori per eccellenza di scooter a triplice ruota. Fortunati, i vicini d&rsquo;oltralpe riescono ad essere profeti in casa loro e il nuovo modello con il leone sullo scudo ha gi&agrave; bruciato tutti i record di vendita: la Casa si &egrave; trovata impreparata all&rsquo;immediato successo e ha dovuto ritardare un po&rsquo; il lancio qui da noi. Alla fine per&ograve; eccolo: il Metropolis ha scavallato le Alpi ed &egrave; qui con tutta la sua barocca ricercatezza. Il prezzo &egrave; in linea con la concorrenza: 7.720 Euro. C&rsquo;&egrave; tanto, tantissimo del mondo auto dietro la carrozzeria di questa nuova creatura Peugeot e il motivo &egrave; pi&ugrave; che nobile: tutto &egrave; nuovo, tutto &egrave; sviluppato internamente. Motore compreso, attenzione: il monocilindrico di 400 cm3 lo hanno fatto loro, proprio come quello che c&rsquo;&egrave; intorno. Finiture, plastiche, strumentazione: il Metropolis parla la lingua che tutti capiscono, quella delle quattro ruote e a bordo ci si trova immediatamente a proprio agio, coccolati al punto che manca solo il tetto sulla testa, l&rsquo;autoradio e poco altro. Obiettivo centrato quindi? S&igrave;, il cliente tipo di questo tipo di mezzo cerca punti fermi e qui non ne manca nessuno. Con il valore aggiunto di una serenit&agrave; ancorata alla certezza di avere solo una ruota in meno del solito.  Da fermo La contaminazione fra mondo auto e mondo moto ha avuto un bel peso anche nella definizione estetica di questo tre ruote ed il risultato &egrave;, senza dubbio, eccellente. Nonostante dimensioni davvero imponenti, l&rsquo;equilibrio generale e la cura riversata nei dettagli rendono il Metropolis 400 estremamente elegante e riuscito, in grado di guadagnarsi un posto di spicco nel panorama dei tre ruote. La linea ricalca gli stilemi delle ultime auto nate in casa Peugeot (208, 308, 5008) e riesce ad adattarsi perfettamente a proporzioni (non del tutto) motociclistiche offrendo un insieme originale e molto curato. A fare per&ograve; la differenza con le proposte della concorrenza &egrave; la cura riservata ai dettagli e l&rsquo;attenzione al particolare. Peugeot ha voglia di distinguersi e lo fa proponendo un mezzo ricercato e ricco: piace la soluzione della luce anteriore, piace il cruscotto automobilistico e il funzionale parabrezza. Il risultato d&rsquo;insieme non far&agrave; certo innamorare i motociclisti vecchio stampo, non &egrave; quello l&rsquo;obiettivo, ma avviciner&agrave; al nostro mondo chi &egrave; abituato a mettersi in viaggio chiudendo la porta. C&rsquo;&egrave; da sperare che ci riesca.    In sella Tecnici e designer hanno lavorato a braccetto per creare uno scooter in grado di mettere immediatamente a proprio agio chiunque grazie a dimensioni importanti ma non oppressive e tanti dettagli per sentirsi subito coccolati e protetti. Sicuri, in una parola. Il fatto che l&igrave; davanti ci siano indubbiamente due ruote allineate &egrave; solo suggerito da una carrozzeria imponente: le sensazioni non sono differenti da quelle provate a bordo di un qualsiasi maxiscooter ben progettato e costruito. Peugeot ha infatti riversato in questo progetto una bella dose della propria tecnologia. Al sofisticato avantreno, dotato di doppio triangolo in alluminio, coppia di assorbitori e singolo ammortizzatore centrale (soluzione differente da quella impiegata sull&rsquo;MP3 Piaggio) ha affiancato un inedito monocilindrico di 400 cm3 in grado di erogare ben 37,2 CV che si adattano perfettamente alle possibilit&agrave; granturistiche del mezzo. Il colpo d&rsquo;occhio sulla strumentazione suggerisce la paternit&agrave;: la continuit&agrave; stilistica e funzionale con il mondo a quattro ruote &egrave; pi&ugrave; che lampante e solo il manubrio motociclistico frena i parallelismi. Bello il ponte di comando, funzionale ed intelligente il parabrezza regolabile: l&rsquo;attenzione per i dettagli salta immediatamente all&rsquo;occhio e la sensazione di trovarsi a bordo di un mezzo studiato con attenzione &egrave; lampante.  Confidenza La posizione di guida &egrave; comoda grazie ad una sella abbastanza morbida e bassa da terra: se non basta il blocco delle ruote e proprio ci tenete a mettere i piedi a terra sar&agrave; solo la pedana a creare qualche imbarazzo, ma la svasatura nella parte posteriore aiuta non poco. Qualche istante bisogna invece spenderlo per prendere confidenza con i comandi, facili ma non immediati. Per ottenere l&rsquo;omologazione come &ldquo;triciclo a motore&rdquo; (guidabile quindi con patente di categoria B) il Metropolis impiega alcune soluzioni ormai dimenticate al mondo degli scooter a due ruote. Se per prendere confidenza con gli ingombri basta un istante, il freno a pedale chiede un minimo di esperienza in pi&ugrave; perch&eacute; fa lo stesso lavoro della leva sinistra (che c&rsquo;&egrave;) ed &egrave; furbamente posizionato proprio dove si vorrebbe. E viene voglia di usarlo. La frenata integrale SBS (Synchro Braking System) viene infatti attivata sia dal pedale che dalla leva sinistra e il sistema di ripartizione fa s&igrave; che l&rsquo;utilizzo di uno tolga potenza all&rsquo;altro e viceversa. Insomma: se si vuole decelerare ci si pu&ograve; affidare al freno anteriore, comandato dalla leva destra, docile e modulabile, se si vuole frenare si deve scegliere fra pedale o leva sinistra e affidarsi ad un ottimo impianto combinato. Non &egrave; ancora pronto l&rsquo;ABS, ma la potenza e la modulabilit&agrave; non invitano ad invocarlo. C&rsquo;&egrave; anche il freno a mano elettrico, all&rsquo;occorrenza. La capienza &egrave; decisamente buona: la pedana piatta (il Metropolis &egrave; l&rsquo;unico mezzo nel suo genere ad offrirla) non offre molto spazio ma &egrave; perfettamente supportata da un sottosella molto capiente e dal doppio accesso. La coppia di ruote che caratterizzano l&rsquo;anteriore infonde subito una grande sicurezza, non c&rsquo;&egrave; dubbio. Basta salire in sella e appoggiare le mani sul manubrio per capire che il Metropolis &egrave; qualcosa in pi&ugrave; di uno scooter. Accomodati sull&rsquo;ampio sellone, i chilometri scorrono senza fatica.    In marcia Chi viene dalle due ruote si trover&agrave; immediatamente a combattere con un avantreno roccioso che richiede qualche chilometro di apprendistato per essere compreso appieno. Nelle manovre da fermo si &ldquo;rema&rdquo; un po&rsquo; e anche in movimento, specie a basse velocit&agrave;, il nuovo Peugeot richiede spinte decise: l&rsquo;agilit&agrave; non &egrave; il suo forte, ma la tenuta di strada &egrave; elevatissima e la sensazione preponderante, anche ad elevate angolature, &egrave; quella di essere alla guida di un mezzo eccezionalmente stabile. Anche se la coppia di ammortizzatori al posteriore sembra andare un po&rsquo; in affanno in percorrenza, tutte le reazioni eccessive vengono filtrate da un avantreno rigido e preciso, anche se pesante. Prendere confidenza &egrave; comunque questione di pochi chilometri, il tempo di capire che &egrave; meglio anticipare un po&rsquo; le curve ed esagerare gli spostamenti di carico. A dare una mano, in uscita dalle curve pi&ugrave; strette c&rsquo;&egrave; un motore che oltre ad essere preciso e silenzioso si &egrave; dimostrato assai potente. E veloce. Il Metropolis non delude affatto sul piano prestazionale e l&rsquo;accelerazione vigorosa e costante &egrave; resa ancora pi&ugrave; gustosa da un perfetto isolamento dalle vibrazioni e da un notevole allungo che permette di viaggiare serenamente a velocit&agrave; autostradali, e oltre. Il parabrezza regolabile in altezza aiuta ad incrementare il comfort a bordo: l&rsquo;isolamento &egrave; ottimo anche nella posizione pi&ugrave; bassa e diventa eccellente sfruttando tutta l&rsquo;escursione. La regolazione avviene tramite una praticissima coppia di tasti e trovare il giusto compromesso &egrave; questione di istanti. Dettagli, certo, che per&ograve; parlano chiaro circa l&rsquo;attenzione riversata in un progetto cos&igrave; ambizioso. Tra le tante particolarit&agrave; di cui il Metropolis si fa vanto troviamo anche un inedito sistema di illuminazione diurno: una fascia verticale di cinque led, posizionata al centro dell&rsquo;avantreno, aiuta a rendersi visibili agli altri utenti e segna un punto in pi&ugrave; sulla sicurezza passiva.  Elettronica amica E non &egrave; questa l&rsquo;unica caratteristica che merita menzione: la chiave elettronica con trasponder che si attiva a due metri di distanza &egrave; un altro piccolo passo in avanti nel mondo scooter, cos&igrave; come il rilevatore di pressione dei pneumatici o il computer di bordo di chiara estrazione automobilistica. La Casa francese sa che i tre ruote faticano a far breccia nel cuore dei motociclisti &ldquo;duri e puri&rdquo;, ma sa anche perfettamente che migliaia di automobilisti permuterebbero volentieri una ruota della loro auto con un po&rsquo; di agilit&agrave; in pi&ugrave;. E il Metropolis strizza l&rsquo;occhio proprio a loro. Questo &egrave; il motivo per cui poco importa se non ha la disinvoltura di un due ruote e la forza di una moto. Ha stile, fascino, e ricercatezza. Offre comfort ed &egrave; in grado di dare risposte sensate anche ai pi&ugrave; viziati automobilisti. Come potersi fermare senza mettere gi&ugrave; il piede o sapere che anche se dietro &egrave; solo una, davanti c&rsquo;&egrave; la solita coppia di ruote. Certo, si poteva fare pi&ugrave; leggero, pi&ugrave; minuto e meno costoso. Ma quelle risposte, Peugeot, le ha gi&agrave; date con il resto della gamma. 

Peugeot Metropolis 400

Lo sportivo, il nudo e due versioni &ldquo;semplici&rdquo; ed economiche: quattro cinquantini non solo per quattordicenni  &nbsp;  &nbsp;  Il mercato dei cinquantini &egrave; in crisi? Yamaha risponde lanciando sul mercato con ben quattro nuovi modelli, dedicati principalmente ai giovanissimi, ma pi&ugrave; in generale a chiunque voglia muoversi agilmente in citt&agrave;. Non a caso le new entry hanno anime diverse: pi&ugrave; sportiveggiante l&rsquo;Aerox R, che nella versione Naked assume un look da &ldquo;monello&rdquo; urbano, pi&ugrave; classico e tranquillo il Neo&rsquo;s Easy, nato per i teenager il BW&rsquo;s Easy. Scorrazzando in mezzo ai murales che decorano le strade del Bicocca Village, nel quartiere universitario di Milano, ci siamo sentiti come i quattordicenni che sperimentano per la prima volta la libert&agrave; in scooter, da sempre simbolo di emancipazione e indipendenza. Emozioni amplificate dal propulsore 2 tempi, che equipaggia tutti e quattro i modelli, con la caratteristica assenza del freno motore, il sound inconfondibile e quel tipico odore di miscela che &egrave; in parte sopravvissuto alle norme antinquinamento. Oggi i &ldquo;cinquantini&rdquo; hanno personalit&agrave; spiccate: si caratterizzano per i dettagli, la scelta dei colori e la variet&agrave; degli optional, per diventare &ldquo;trendy&rdquo; o &ldquo;cool&rdquo;, che dir si voglia. Tutti elementi che Yamaha ha preso in considerazione per mettere gi&ugrave; il suo poker di novit&agrave;. La sfida &egrave; di quelle importanti: i dati diffusi da ANCMA parlano di un calo di vendite del 37,2% nel settore dei ciclomotori nei primi cinque mesi del 2013 rispetto al 2012. La soluzione scelta della Casa dei tre diapason &egrave; intelligente: investire proprio nel settore in crisi, diversificando l&rsquo;offerta e con prezzi concorrenziali anche nei confronti dei prodotti super-economici che arrivano dall&rsquo;Oriente. Mantenendo per&ograve; la qualit&agrave; di un mezzo Yamaha, dal propulsore alle finiture. Con questa filosofia sono state progettate in particolare le versioni Easy del Neo&rsquo;s e del BW&rsquo;s, che costano rispettivamente &euro; 1.490,00 e 1.590,00.  DA FERMO  Aerox R  La sua prima apparizione sul mercato risale al 1997: a distinguerlo fu subito il look da &ldquo;supersport&rdquo;. Da allora &egrave; stato proposto in numerose grafiche, anche dedicate ai piloti che negli anni hanno vestito i colori Yamaha, da Max Biaggi a Valentino Rossi. Attualizzarlo non era facile, per questo i designer dei tre diapason hanno modificato tutto&hellip; senza stravolgere niente! Il cupolino, alleggerito, enfatizza l&rsquo;indole sportiva, sottolineata dal doppio fanale aggressivo, che proietta un fascio luminoso anabbagliante ed abbagliante. Nuove anche le luci posteriori, ispirate al gruppo ottico della YZF-R1. Carenatura minimalista, per contenere i pesi, con alette e deflettori e frontale ribassato per una maggior aerodinamicit&agrave;. Inedita la doppia sella ad apertura contrapposta, in carbon-look con impunture bianche. Sollevando il sellino posteriore si ha accesso al serbatoio della benzina e dell&rsquo;olio, mentre il vano sottosella offre spazio per un casco integrale. Pedane passeggero integrate, cerchi in lega di 13&rdquo; con pneumatici oversize, freni a disco maggiorati. Nuova la strumentazione, completamente digitale. Tre le colorazioni: bianco, blu e grigio. Buona la qualit&agrave; di assemblaggi e finiture.  Aerox R Naked  Look da &ldquo;piccola peste urbana&rdquo; per il nuovo Aerox R Naked, progettato per fare tendenza tra i giovanissimi. La base &egrave; quella dell&rsquo;Aerox R, ma ha un allestimento &ldquo;special&rdquo; di serie. Al primo colpo d&rsquo;occhio si distingue per il manubrio in alluminio lasciato a vista, senza carena, sul quale &egrave; posizionata una strumentazione minimal. Ma non &egrave; tutto: a differenza del fratello carenato, il Naked &egrave; dotato anche di ammortizzatore posteriore con serbatoio separato, che ben si sposa con il carattere sportivo. A caratterizzarlo, anche la colorazione: per esaltarne l&rsquo;indole &ldquo;sfacciata&rdquo;, &egrave; disponibile soltanto in nero opaco, con strisce bianche di serie sul bordo dei cerchi e grafiche dedicate.  BW&rsquo;s Easy Le linee e lo stile sono gli stessi dello scooter che ormai ben 25 anni fa segn&ograve; quasi un&rsquo;epoca: il BW&rsquo;s, infatti, altro non &egrave; che il Booster, ovvero il glorioso due tempi pratico e modaiolo, inizialmente prodotto dalla francese MBK, poi acquisita da Yamaha. Giovane e birichino, privo di fronzoli gi&agrave; nella sua versione originale, ora diventa ancora pi&ugrave; minimalista: per buttare gi&ugrave; i prezzi l&rsquo;avviamento a pedale sostituisce quello elettrico, il freno a tamburo prende il posto del disco anteriore, i cerchi in lega cedono il passo a quelli in acciaio e sul cruscotto campeggia una strumentazione analogica ed essenziale. Nell&rsquo;ottica del contenimento dei costi &egrave; stato eliminato anche lo specchietto retrovisore di destra. Il suo punto di forza, del resto, &egrave; sempre stata la mancanza di sovrastrutture. La versione Easy del BW&rsquo;s costa &euro; 1.590,00 f.c. (con un risparmio di &euro; 650,00 rispetto alla versione standard).  Neo&rsquo;s Easy La stessa filosofia minimalista &egrave; stata applicata anche al Neo&rsquo;s 2T, scooter che in oltre dieci anni di onorata carriera ha saputo conquistare un vasto pubblico di utenti urbani. La versione Easy &egrave; essenziale, ma senza perdere quel look elegante che ben si abbina anche ad un&rsquo;utenza &ldquo;business&rdquo;. La carena mantiene le linee tondeggianti e snelle e il doppio fanale disegna un muso sbarazzino. Nuova la strumentazione analogica, che sostituisce quella digitale. In questa versione i cerchi di 12&rdquo; sono in acciaio verniciato di nero e l&rsquo;avviamento &egrave; a pedale. Anche qui abbiamo un solo specchietto: quello di sinistra. Colorazione unica: nero opaco. Prezzo: &euro; 1.490,00 f.c. (la versione standard costa &euro; 1.890,00).  IN SELLA Aerox R  Snello e compatto, l&rsquo;Aerox R &egrave; pensato per conquistare subito la fiducia dei neofiti e anche delle teen-ager pi&ugrave; esili. La posizione di guida &egrave; quasi &ldquo;motociclistica&rdquo;, con il manubrio ampio che fa mantenere le braccia aperte e il busto eretto. Le ginocchia stanno ad angolo retto: per i piedi, infatti, sono previste due &ldquo;insenature&rdquo; sulla pedana e non c&rsquo;&egrave; spazio per allungare le gambe. L&rsquo;impostazione, del resto, &egrave; sportiva e non da scooter-poltrona, ma i piloti che si avvicinano al metro e ottanta staranno un po&rsquo; stretti, perch&eacute; la pedana &egrave; alta e corta e il manubrio &egrave; basso. D&rsquo;altra parte, se si cerca di arretrare sulla sella monoposto, si &ldquo;inciampa&rdquo; nella punta del sellino (rialzato) riservato al passeggero. In compenso la sella &egrave; confortevole e la visuale alta &egrave; un bel privilegio. L&rsquo;appoggio con i piedi a terra non &egrave; mai difficile, nemmeno per i piloti di statura contenuta. Il feeling &egrave; immediato: l&rsquo;Aerox R &egrave; uno scooter intuitivo e ben bilanciato. La risposta all&rsquo;acceleratore &egrave; pronta e vivace: non si fa fatica a percepire che sotto la sella c&rsquo;&egrave; un propulsore due tempi. Grazie alla trasmissione automatica con cinghia a V, al &ldquo;pronti via&rdquo; l&rsquo;Aerox R &egrave; una scheggia e alla partenza dei semafori ci si toglie velocemente d&rsquo;impaccio. Sempre pronto anche in ripresa, si destreggia bene nel traffico cittadino grazie ai suoi 3,26 cavalli disponibili a 6.750 giri/min, che si rivelano pi&ugrave; che sufficienti in relazione al limite di legge dei 45 km/h. Certo la velocit&agrave; massima &egrave; limitata, e poi ci sono anche le norme sulle emissioni inquinanti da rispettare, quindi non aspettatevi un allungo poderoso: anche se il look &egrave; quasi racing, si tratta pur sempre di un cinquantino! La guida &egrave; fluida, si disegnano traiettorie pulite e si scende in piega con facilit&agrave;. I comandi sono ben disposti e le leve consentono di modulare la frenata, con i dischi anteriori e posteriori da 190 mm che rispondono con efficacia. Equipaggiato con cerchi in lega, &egrave; agile e maneggevole nei repentini cambi di direzione e non mette mai in difficolt&agrave;. Anche la ciclistica &egrave; di impostazione sportiva: ci &egrave; piaciuta la taratura della forcella, che ha un&rsquo;escursione di 80 mm: anche l&rsquo;ammortizzatore fa il suo dovere e grazie alla corsa di 63 mm assorbe pure i dislivelli del pav&eacute; e le buche che abbiamo volutamente &ldquo;centrato&rdquo; per saggiare la risposta dello scooter di Iwata.  Aerox R Naked  Le impressioni di guida sono sovrapponibili a quelle della versione standard e l&rsquo;unica differenza &egrave; nella protezione aerodinamica: il modello Naked, infatti, ha il manubrio &ldquo;nudo&rdquo;, privo del piccolo schermo che campeggia sull&rsquo;Aerox R. Non dimentichiamo, tuttavia, che la velocit&agrave; massima raggiunta &egrave; a norma codice (raramente nella nostra prova abbiamo visto il tachimetro superare i 50 km/h) e, com&rsquo;&egrave; facile immaginare, la mancanza del parabrezza si percepisce a malapena e non crea fastidi alla guida.  BW&rsquo;s Easy  La versione &ldquo;minimal&rdquo; del BW&rsquo;s ha subito solo qualche modifica improntata al contenimento dei costi, e nella versione cos&igrave; spartana assomiglia sempre pi&ugrave; al primo Booster, apparso sul mercato alla fine degli anni Ottanta. Inalterati sia il motore che la ciclistica, che consentono al BW&rsquo;s di mantenere le sue caratteristiche di praticit&agrave; e agilit&agrave;. Il propulsore due tempi si rivela sempre pronto e scattante, aiutato dal peso contenuto del mezzo: soltanto 82 kg in ordine di marcia. La posizione di guida &egrave; comoda, con la sella ampia e lunga che consente ai piloti pi&ugrave; alti di indietreggiare a piacimento (a meno che non si viaggi con il passeggero!) L&rsquo;altezza da terra si mantiene ridotta e regala sicurezza anche ai meno esperti. Le gomme larghe e leggermente tassellate lavorano in sinergia con il reparto sospensioni, assicurando un buon comfort anche sul pav&eacute;. La capacit&agrave; di carico del vano sottosella non fa gridare al miracolo, ma &egrave; in linea con le dimensioni dello scooter, e comunque in compenso c&rsquo;&egrave; la pedana piatta con il gancio portaborse. La frenata &egrave; meno pronta e progressiva rispetto al modello con il freno a disco anteriore: l&rsquo;impianto va sollecitato con forza per ottenere una risposta decisa, ma considerando che la velocit&agrave; massima &egrave; quella consentita dal codice, il ritorno al tamburo non costituisce un problema. La mancanza del retrovisore di destra, invece, ci ha lasciati un po&rsquo; spaesati, perch&eacute; al rientro dopo un sorpasso, o quando si rallenta per svoltare a destra, occorre affidarsi solo ad uno specchietto per verificare la situazione alle nostre spalle.  Neo&rsquo;s Easy  Anche in questo caso alla base c&rsquo;&egrave; un mezzo gi&agrave; collaudato negli anni. Una volta in sella andiamo subito a cercare il classico pulsante sul blocchetto destro&hellip; &egrave; la forza dell&rsquo;abitudine! Ma per contenere i costi, l&rsquo;avviamento &egrave; a pedale, come sul BW&rsquo;s: in entrambi i casi non fa i capricci e il pubblico femminile pu&ograve; azionarlo agevolmente pure se si hanno le scarpe con il tacco alto. La posizione di guida &egrave; confortevole: si sta seduti, con il busto eretto e le ginocchia piegate. La sella &egrave; morbida, e forse si affonda pure un po&rsquo; troppo, ma il Neo&rsquo;s nasce per un pubblico adulto, che sceglie lo scooter come commuter urbano e che spesso si sta avvicinando per la prima volta ad un mezzo a due ruote. Le sospensioni hanno una risposta pi&ugrave; soffice rispetto allo sportiveggiante BW&rsquo;s, ma complessivamente fanno un buon lavoro nelle condizioni pi&ugrave; disparate. Il propulsore di 50 cm3 &egrave; un due tempi raffreddato a liquido, che offre una reazione pronta appena si rotea la manopola dell&rsquo;acceleratore; l&rsquo;erogazione &egrave; lineare in tutto il suo arco di funzionamento, con le dovute limitazioni di legge quanto a velocit&agrave; massima. Anche qui occorre fare un po&rsquo; l&rsquo;abitudine alla sostituzione del freno a disco anteriore con il tamburo, ma tirando bene le leve la frenata &egrave; pi&ugrave; che sufficiente. Il Neo&rsquo;s Easy si conferma uno scooter dalle dimensioni contenute, ma ben rapportato all&rsquo;utilizzo urbano per il quale &egrave; nato.  &nbsp;

Yamaha scooter 50

Numeri da record per la KTM, che presenta le novit&agrave; enduro e cross per il prossimo anno. Telai nuovi e ciclistiche rinnovate su 2T e 4T  &nbsp;  &nbsp;  In un mercato europeo tuttora assediato da una forte recessione, &egrave; proprio dal centro del vecchio continente che la Casa austriaca lavora a pieno ritmo per espandere ulteriormente la propria gi&agrave; schiacciante egemonia nel settore dell&rsquo;off-road a due ruote! Da sempre il fuoristrada &egrave; il pane quotidiano di KTM, ma mai come ora le mire di Mattighofen erano state cos&igrave; ampie e decise. Sicuramente galvanizzati dalle inedite conquiste segnate nel continente americano, con il National 2012, e la Light del Supercross 2013, oltre alle vittorie di Dakar, MX1 e MX2 e mondiali Enduro classe 1 e 3, KTM prosegue la sua strada a tutto vapore, senza alcuna intenzione di sedersi sugli allori. C&rsquo;&egrave; inoltre da considerare che il settore fuoristrada &egrave; quello che ha registrato minori flessioni dall&rsquo;inizio della crisi, tanto che i numeri di vendita KTM del 2012 sono gi&agrave; tornati sui livelli del 2009. Ancora in tema di numeri, la best seller del 2012 in casa KTM &egrave; stata la 350 EXC, di cui sono state vendute quasi 5.000 unit&agrave;.  DA FERMO  A due anni dall&rsquo;ultima versione, i modelli EXC sono quelli che hanno beneficiato delle maggiori novit&agrave;, con in primis l&rsquo;adozione di un nuovo telaio strettamente derivato da quello delle SX e pi&ugrave; leggero sulle 4T grazie a tubi inferiori della culla pi&ugrave; piccoli. Minuziose ricerche sul grado di rigidit&agrave; hanno portato particolari attenzioni anche alle flange di fissaggio della testa al telaio, che a detta dei tecnici sono in grado di modificare nettamente le rigidit&agrave; dell&rsquo;insieme. Ora 250 e 350 4T diventano sempre pi&ugrave; simili tra loro, visto che condividono lo stesso telaio, scelta fatta per montare su entrambe lo stesso basamento motore. Su tutte cambia anche la piastra inferiore della forcella, ma solo per offrire miglior fissaggio al nuovo parafango anteriore. Sempre in tema piastre forcella: piccola ma non poco importante modifica &egrave; quella degli stop di fondocorsa per lo sterzo, ora pi&ugrave; resistenti e durevoli. Il forcellone vede la sostituzione del guidacatena con un nuovo elemento pi&ugrave; resistente agli urti, che gli stessi tecnici dichiarano di aver personalmente testato contro rocce e sassi, mentre il reparto sospensioni, monopolizzato da WP, vede l&rsquo;intramontabile PDS sul forcellone e la forcella rivisitata nell&rsquo;idraulica. Anche qui si assiste alla condivisione tra 250 F e 350 F, con la prima che adotta quelle della 350, abbandonando quelle della 250 2T. Sono nuove anche le pompe di freno e frizione, per le quali si &egrave; cercato di ottimizzare il feeling, ottenere una risposta simile da entrambe e lasciare pi&ugrave; spazio su braccialetti per maggiori possibilit&agrave; di posizionamento sul manubrio, inoltre la mescola delle pastiglie anteriori ora &egrave; leggermente pi&ugrave; &ldquo;aggressiva&rdquo;. Anche i componenti in plastica vantano numerose novit&agrave;, in primis il tappo a scatto del serbatoio, che in passato causava qualche problema di apertura e ora adotta un nuovo meccanismo, pi&ugrave; facile da azionare. In tema di protezione troviamo i paramani totalmente rivisti, fissaggi pi&ugrave; robusti e composti da polimeri a diversa flessibilit&agrave;, mentre il parafango anteriore &egrave; pi&ugrave; protettivo e rigido rispetto al precedente. Anche la mascherina anteriore, totalmente cambiata, &egrave; stata pensata per un migliore passaggio dei cavi e presenta un pi&ugrave; potente fascio luminoso. Le forme sono nuove anche per l&rsquo;air-box, ora pi&ugrave; libero nella respirazione, ma maggiormente protettivo per il filtro aria e dal rumore pi&ugrave; contenuto.  125, 200, 250 e 300 EXC L&rsquo;evoluzione mondiale dei propulsori 2T &egrave; quasi ferma e per un certo verso &egrave; proprio questo a farne la loro fortuna, visto che i costi di produzione e soprattutto di manutenzione restano relativamente bassi. In KTM le vere grandi novit&agrave;, leggi iniezione elettronica, ci sono, ma rimangono ferme nel cassetto a causa dei costi elevati e della complessit&agrave; di un sistema di cui il mercato non sente ancora il bisogno. Le modifiche pi&ugrave; significative hanno toccato la 250 e la 300, che oltre alle nuove lamelle Boyesen ora adottano una nuova testa per migliorare la combustione ed evitare detonazioni, oltre a vantare nuove mappature, frizione irrobustita e batteria a 4 Ah.La piccola 125 riceve solo qualche aggiornamento alla valvola a lamelle Boyesen e al carburatore per renderne pi&ugrave; facile il settaggio, mentre sulla 200 si &egrave; migliorato anche l&rsquo;avviamento elettrico, potenziando motorino e batteria.  250 e 350 EXC-F Non &egrave; un caso che le maggiori attenzioni siano ultimamente rivolte a queste due cilindrate, visto che si stanno sempre pi&ugrave; rivelando come quelle maggiormente apprezzabili dai piloti di ogni livello, inoltre risulta facile immaginare come molta esperienza nata sui modelli cross venga travasata su queste enduro. Simili ma non identiche, dal 2014 condivideranno anche il basamento motore, il telaio e le sospensioni della 350. Su entrambe viene abbandonato il tradizionale silenziatore a camere in favore del pi&ugrave; efficace sistema ad assorbimento, in grado anche di emettere meno dB. La duemmezzo guadagna nuova testa, cilindro e pistone, con alesaggio aumentato da 76 a 78 mm, corsa accorciata di 2,7 mm e valvole pi&ugrave; grandi. Il tutto regala 4 Nm in pi&ugrave; di coppia e una maggior trazione grazie alle masse volaniche aumentate del 5%. Altro fattore molto importante nell&rsquo;enduro &egrave; l&rsquo;aumento dei tempi di servizio sulla biella, che passa da 105 a 135 ore, come anche sulla 350. Alla riduzione di peso delle &ldquo;parti basse&rdquo; ci pensa anche il nuovo basamento, che misura 0,6 kg in meno sulla bilancia. Il cambio, ora a 6 marce, lavora con una frizione opportunamente tarata per la 250, mentre nonostante la presenza del motorino di avviamento, su entrambe le moto resta anche la leva della messa in moto.  450 e 500 EXC-F Le novit&agrave; sono minori sulle due cilindrate maggiori, che per la precisione sono di 449,3 cm3 la prima e 510,4 cm3 la seconda. Nuovi segmenti e raschiaolio del pistone assicurano minori rabbocchi del lubrificante, mentre sono state scelte differenti molle valvole per ridurre gli attriti. Anche qui la frizione risulta nuova e fatta per resistere pi&ugrave; a lungo, mentre gli interventi programmati per la biella e albero motore si allungano a 135 ore.   LA GUIDA  In KTM masticano terra e sassi da una vita e anche se anni addietro potevano peccare su particolari poco raffinati, oggi le moto da fuoristrada le sanno fare dannatamente bene. Quella organizzata nella bellissima cornice della Sardegna &egrave; stata una presentazione internazionale in grande stile e con grande dispiego di mezzi, adatta a presentare una gamma che per le sole enduro conta ben 8 modelli, oltre ai 6 delle cross e i 3 minicross e che ha richiesto il trasporto in loco di pi&ugrave; di 60 moto! Per l&rsquo;occasione siamo stati eccellentemente ospitati tra le strutture di Forte Village e i vigneti e aranceti presso agriturismo e pista di Baccalamanza, a poca distanza da Cagliari. La Sardegna non &egrave; stata scelta a caso, visto che nel prossimo mese di ottobre ospiter&agrave; la 100&deg; Sei Giorni di Enduro, un&rsquo;edizione che si preannuncia epica! Un terreno secco, duro, con tanta roccia e tanto grip e un percorso molto guidato e impegnativo sono stati l&rsquo;ottimo contesto per la nostra prova.  250 e 350 EXC-F Sar&agrave; l&rsquo;influenza del trend attuale o gli uffici progettazione e marketing che le spingono ormai da parecchio tempo, ma nella disputa tra enduristi a 2 e 4 tempi noi stiamo con questi ultimi, visto che con le piccole EXC-F ci siamo trovati davvero bene. &Egrave; vero che le 4T si portano dietro inerzie maggiori, ma con esse si guida veramente di gusto, a prescindere dal livello del pilota. Le nostre preferite sono appunto state la 250 e la 350, con le quali abbiamo trovato il perfetto strumento per guidare rilassati mantenendo pur sempre ritmi vicini al nostro limite. Le loro carte vincenti sono il peso ridotto e un propulsore sempre facile da gestire, ma che all&rsquo;occorrenza &egrave; capace di mostrare i denti e diventare bello aggressivo. Belle e leggere da indirizzare, richiedono poco impegno per essere gestite anche nei passaggi tortuosi, dove rispondono rapide ai comandi senza mai mettere in difficolt&agrave;. Non ci &egrave; parso di sentire evidenti differenze nella ciclistica tra le due, trovando pronta risposta anche alle correzioni impartite all&rsquo;ultimo momento, come quando si &egrave; in cerca del punto migliore dove arrampicarsi in una mulattiera. Il feeling con le sospensioni, che regalano un ottimo setting anche all&rsquo;agonista di medio livello, &egrave; praticamente lo stesso e solo la maneggevolezza &egrave; leggermente a favore della 250. I due monocilindrici sono molto simili nel carattere, con un tiro dolcissimo ai bassi e una progressione molto regolare, che aiuta tantissimo sui punti con scarso grip come le secchissime strade carrabili sarde. La spinta che si ottiene aprendo il gas &egrave; invece nettamente pi&ugrave; corposa sulla 350, che ci &egrave; parsa dotata anche di maggior allungo. Il nuovo propulsore della 250, nonostante la piccola cilindrata, ha invece il pregio di essere sufficientemente pieno sotto per evitare di dover scalare troppo spesso quando si costretti a ridurre la velocit&agrave;. Naturalmente con quest&rsquo;ultimo bisogna aprire con decisione per farlo spingere a dovere.  125, 200, 250 e 300 EXC Sui sassi ben piantati in terra dei percorsi sardi le agili 2 tempi non giocano in casa e risultano nervose e impegnative pi&ugrave; del solito. La loro grande maneggevolezza le fa risultare uniche nella rapidit&agrave; di reazione, rendendole per&ograve; anche molto sensibili alle asperit&agrave;, specialmente quelle rocciose, dove richiedono un&rsquo;altrettanta reattivit&agrave; al pilota. A causa di questo ci sono apparse efficacissime nel breve periodo in cui chi le pilota &egrave; fresco e riposato, per poi diventare sempre meno amichevoli a mano a mano che la stanchezza aumenta. Percorrendo con la 125 l&rsquo;anello lungo (35 min) stanchi a fine giornata ci siamo appunto scoperti troppo lenti per gestire le reazioni una moto leggera ma estremamente reattiva. Con la 125 &egrave; stato come ritornare ai 16 anni, ma non c&rsquo;&egrave; confronto con l&rsquo;estrema prontezza di questo motore, che per essere in 125 &egrave; sorprendentemente pronto ai bassi regimi. Quasi come una bici tra i sassi, in salita &egrave; facile saltare da una cresta all&rsquo;altra e in discesa &egrave; un gioco scendere cercando di frenare il meno possibile! La 200 ci &egrave; parsa un ottimo compromesso tra leggerezza, facilit&agrave; e potenza. Facile come una 125, ma con un tiro in basso sufficiente a trarre d&rsquo;impaccio in situazioni difficili e con un allungo che ricorda molto un 250 di qualche anno fa, la consiglieremmo a chi cerca una moto leggerissima, ma pi&ugrave; affabile di una 125. Piccola e stretta, il suo ottimo rapporto peso/potenza aiuta tantissimo in salita e discesa, dove &egrave; un attimo salire sopra un sasso o cambiare traiettoria per uscire da un canale. Quello che pi&ugrave; stupisce &egrave; la maneggevolezza e l&rsquo;efficacia del freno anteriore. Bellissimo il rumore con la marmitta che risuona entrando in coppia. La pi&ugrave; potente e impegnativa 300 &egrave; dotata di un generosissimo propulsore, che garantisce quel corposo tiro in basso capace di farti scavalcare anche l&rsquo;ostacolo che non penseresti di riuscire a passare. La massa maggiore rispetto alle pi&ugrave; piccole cubature ne aumenta leggermente le inerzie, avvantaggiandola sui terreni molto irregolari e sui sassi. Su tutte le 2 tempi la taratura delle sospensioni ci &egrave; molto piaciuta, con un perfetto equilibrio tra sostegno e morbidezza ne aumenta leggermente le inerzie, avvantaggiandola sui terreni molto irregolari e sui sassi.  450 e 500 EXC-F Le due pi&ugrave; grosse 450 e 500 ci sono invece parse troppo potenti e impegnative per poter essere sfruttate efficacemente da chi non si allena regolarmente e con metodo. Tanta, anzi, troppa! Questo &egrave; stato il primo pensiero che abbiamo avuto salendo su entrambe. Le pi&ugrave; grosse e pesanti, ma soprattutto le pi&ugrave; potenti delle EXC-F impongono da subito da subito il proprio carattere, regalando cattiveria pura ad ogni decisa apertura del gas. Immediatamente appaiono pi&ugrave; dure da direzionare quando richiedono maggior impegno per impostare le traiettorie, specialmente a bassa andatura. Pi&ugrave; che il peso, sono le maggiori masse volaniche dei propulsori a richiedere pi&ugrave; impegno al pilota, che deve agire con decisione su manubrio e pedane per indirizzarle, anticipando un po&rsquo; tutte le manovre, senza contare la maggior attenzione che si deve mettere nelle gestione del gas, specialmente nelle salite con fondo molto sconnesso. Ci siamo trovati a guidarle per la maggior parte del tempo a bassi regimi, sfruttando la coppia esagerata che permette di non perdere mai l&rsquo;abbrivio nei tratti pi&ugrave; sconnessi. Quando per&ograve; il percorso di fa pi&ugrave; scorrevole basta una manciata di gas per sentirsi catapultati in avanti e dimenticare ogni fatica!    &nbsp;

KTM off-road 2014

Arriva finalmente la FJR 1300 AS, prima giapponese con controllo elettronico delle sospensioni. Tante novit&agrave; anche nel cambio servoassistito, ancora pi&ugrave; facile e piacevole. Costa un po&rsquo; cara ma offre tanto  &nbsp;  &nbsp;  Chiaro che la mano sinistra si allunghi verso una leva che non c&rsquo;&egrave;. Ma &egrave; questione di un istante perch&eacute; con i piccoli tasti posizionati al manubrio si entra subito in confidenza e non serve molto altro per divertirsi alla guida di questa moto. Certo &egrave; caruccia: 19.690 Euro sono un bell&rsquo;investimento, ma vanno considerati a lungo termine. La FJR non ha n&eacute; l&rsquo;aspetto n&eacute; la sostanza delle cose che passano di moda. Linea moderna ma non futurista, finiture curate e materiali non leggeri ma duraturi e piacevoli. Su questa versione &ldquo;top&rdquo; debuttano anche le sospensioni a controllo elettronico, per la prima volta su una moto giapponese. Le opzioni sono tantissime grazie alla possibilit&agrave; di regolare sia il precarico che l&rsquo;idraulica e affinare ulteriormente la taratura con una registrazione fine. Insomma non manca nulla per l&rsquo;uso turistico a lungo raggio: la FJR sopporta senza alcun problema le grandi distanze unendo alle due gi&agrave; citate novit&agrave; un indubbio equilibrio complessivo, ora migliorato grazie al perfetto connubio fra cuore e muscoli, motore e strutture.  Il comodo sellone &egrave; praticamente esente da punti deboli: morbido quanto basta per offrire sostegno senza togliere sensibilit&agrave; di guida, basso da terra per arrivare saldamente al suolo con entrambi i piedi (e l&rsquo;altezza &egrave; regolabile) e piuttosto stretto nella zona del serbatoio. Il risultato &egrave; pi&ugrave; che positivo: nonostante il peso la FJR si manovra facilmente e non stanca, anche nella guida in citt&agrave;. Il manubrio (anch&rsquo;esso regolabile) offre un ottimo controllo sull&rsquo;avantreno e le nuove sospensioni elettroniche hanno migliorato il rendimento di guida, proprio dove la precedente versione mostrava le sue pi&ugrave; evidenti lacune. Il quattro cilindri gira senza incertezze e senza trasferire alcuna vibrazione, condendo il tutto con un suono ovattato e dolce che diventa aggressivo solo quando si va a lambire la parte alte del contagiri. La dotazione di bordo &egrave; ricchissima: il parabrezza &egrave; regolabile elettronicamente tramite un comodo tasto sul blocchetto elettrico sinistro, il cruise control permette di lasciar correre il motore senza nemmeno fare la fatica di ruotare il gas, le sospensioni si regolano con un pulsante e non manca la doppia mappatura, per meglio adattare il comportamento della moto alle proprie esigenze. &Egrave; per&ograve; proprio questa abbondanza di accessori e regolazioni a rendere un po&rsquo; difficile la navigazione attraverso le funzioni della strumentazione.  L&rsquo;imbarazzo dura poco Prendere confidenza con i comandi del cambio &egrave; invece un attimo. L&rsquo;assenza della leva della frizione pu&ograve; creare qualche imbarazzo ma &egrave; questione di istanti: una volta in movimento il feeling &egrave; immediato e ci si trova subito a proprio agio anche con i tasti del cambio marcia (riposizionati rispetto alla precedente versione AS). La leva del cambio a pedale diventa in un attimo superflua e ci si trova ad usarla solo in sparute occasioni, quasi solamente per non dimenticarne la remota funzione.  DA FERMO  La FJR 1300 AS &egrave; una moto costruita per affrontare indenne lo scorrere del tempo e dei chilometri, per durare a lungo e non stancare mai. Questi motivi hanno spinto i designer a non arrampicarsi su alcuno specchio, rinvigorendo solo qua e l&agrave; un progetto che, sebbene non pi&ugrave; freschissimo, ha ancora tanto da dire e dare. Un profilo classico, movimentato da qualche taglio un po&rsquo; pi&ugrave; deciso, e proporzioni pi&ugrave; rassicuranti che aggressive. Questa granturismo gioca sull&rsquo;eleganza e su una qualit&agrave; a cui non si pu&ograve; muovere alcun appunto. Le finiture sono curate e l&rsquo;uso di plastiche e materiali di prima scelta rendono giustizia anche al tatto. Belle le verniciature e bella la coppia di scarichi cromati che scorrono quasi paralleli al suolo a un&rsquo;altezza che comunque non vi fermer&agrave; da concedervi qualche sostanziosa piega. Le prese d&rsquo;aria sul fianco della carenatura movimentano un po&rsquo; la vista laterale e permettono di deviare il flusso d&rsquo;aria calda proveniente dal motore verso (o oltre se si viaggia in estate) le gambe del pilota. Piacevole anche la verniciatura del motore e di tutta la meccanica: un bel grigio chiaro facile da pulire che sottolinea la tanta sostanza celata dalle sovrastrutture. La forcella a steli rovesciati &egrave; la novit&agrave; pi&ugrave; eclatante introdotta da questa versione &ldquo;AS&rdquo; e forse il tocco pi&ugrave; moderno di una moto che nasconde la tecnologia sotto un velo di classica eleganza.    IN SELLA  Con le sospensioni a controllo elettronico e il cambio servoassistito, la FJR si distacca sensibilmente dalla versione standard offrendo una dotazione ben pi&ugrave; corposa e importante. Ma le differenze non si limitano alla scheda tecnica e non servono solo a compiacersi. Bastano poche curve per capire che la FJR 1300 AS &egrave; cambiata, tanto e in meglio. La pesantezza dell&rsquo;avantreno che avevamo riscontrato e segnalato durante la prova della versione &ldquo;base&rdquo; (In Moto n. 5/13) sembra quasi del tutto scomparsa. Merito delle sospensioni elettroniche (che all&rsquo;anteriore lavorano su una inedita forcella a steli rovesciati), perfettamente accordabili alla richieste del pilota, e merito dei pneumatici Bridgestone BT 023-F, appositamente studiati per questa moto. Il peso, che non &egrave; certo poco, sembra scomparire dietro una dolcezza evidente in tutte le condizioni di guida. Il quattro cilindri offre un&rsquo;abbondante riserva di potenza ma &egrave; capace di girare sornione e rotondo anche ai regimi pi&ugrave; bassi permettendo al pilota di godersi ogni rapporto anche a bassissima velocit&agrave;, indipendentemente che si stia usando la mappatura sportiva o quella turistica. Gli incontentabili potranno invece affezionarsi alla praticit&agrave; della funzione &ldquo;D-Mode&rdquo; che scala automaticamente le marce in fase di decelerazione (ma solo una volta raggiunti i 29 km/h). Gli ingombri sono considerevoli ma la FJR riesce a nascondere benissimo le sue giunoniche proporzioni dietro un&rsquo;agilit&agrave; quasi inaspettata. Solo i tornanti in salita richiedono un po&rsquo; di dimestichezza perch&eacute; l&rsquo;assenza del comando della frizione pu&ograve;, sulle prime, cogliere impreparati. Meglio quindi fidarsi del propulsore e della precisione del cambio, scalare tutte le marce fino alla prima e affrontare lo stretto con un filo di gas e il motore sempre in presa.  Il giusto setting La possibilit&agrave; di intervenire sul comportamento delle sospensioni, lavorando sia sul precarico che sul freno idraulico, aiuta non poco e trovare il giusto setting &egrave; questione di attimi. Utilizzando le tarature pi&ugrave; sostenute la moto si comporta egregiamente anche nel misto veloce (proprio dove la versione standard palesava i suoi limiti) garantendo, in fase di percorrenza, un&rsquo;eccellente stabilit&agrave; e un&rsquo;ottima tenuta di strada. Quando invece si tratta di staccare &egrave; l&rsquo;altrettanto ottimo impianto frenante a regalare la giusta fiducia: poco aggressivo ma molto modulabile, permette di impostare le curve in tutta sicurezza e il suo rendimento si sposa perfettamente con il funzionamento del cambio servoassistito, precisissimo anche in fase di scalata. Il controllo di trazione &egrave; pronto ad entrare in aiuto in uscita di curva, quando tutti i 146 cavalli dichiarati spingono sulla ruota posteriore. L&rsquo;intervento &egrave; molto dolce e, grazie al grande equilibrio di questa moto, sentirlo entrare in funzione non &egrave; nemmeno cos&igrave; facile. Nonostante il comportamento in curva sia eccellente, la FJR 1300 AS &egrave; costruita per dare il meglio di s&eacute; sulle grandi distanze, perlopi&ugrave; affrontate in autostrada. E non serve nemmeno fare troppi chilometri per scoprire la comodit&agrave; del cruise control e del parabrezza regolabile elettronicamente. La grande escursione offerta da quest&rsquo;ultimo permette di viaggiare con busto e testa perfettamente riparati e isolati da fastidiosi vortici. Il propulsore ha un ottimo allungo e non si sente nemmeno la mancanza della sesta marcia: a velocit&agrave; vicine ai limiti il quattro in linea fa molta strada e pochi giri, silenziosamente. La trasmissione finale ad albero &egrave; irreprensibile, silenziosa ed esente da strappi: difficile muoverle qualche critica. Yamaha non &egrave; solita dichiarare i consumi, ma se non si esagera con il polso destro e ci si abbandona alla grande elasticit&agrave; offerta dal propulsore, i 18 km/litro sono un valore a portata di mano. L&rsquo;attenzione per i dettagli e la cura costruttiva sono a livelli eccellenti e aiutano a digerire i 19.690 Euro richiesti per mettersela in garage. La concorrenza riesce ad aggiungere qualche condimento elettronico in pi&ugrave;, ma in piatti decisamente pi&ugrave; &ldquo;plasticosi&rdquo; e meno elegantemente farciti.  

Yamaha FJR 1300 AS

La moto che non ha concorrenti: non ne esiste un&rsquo;altra di cilindrata e caratteristiche simili. Il nuovo modello al prezzo di qualche chilo in pi&ugrave; guadagna allestimento e autonomia adatti ai viaggi oltre confine, ma che fanno comodo anche per chi percorre strade italiane di qualsiasi tipo  &nbsp;  Un caso unico, e anche incomprensibile visto che si tratta della seconda moto pi&ugrave; venduta per la BMW, dopo la dittatrice R 1200 GS. Si tratta semplicemente della F 800 GS, bicilindrica anche lei ma con un terzo di cilindrata in meno e tante migliaia di Euro di risparmio sul prezzo di listino. Non ce ne sono uguali: altre bicilindriche da turismo tuttoterreno sono di cilindrata e prestazioni inferiori oppure superiori,&nbsp; &ldquo;troppo purtroppo&rdquo;, come anche in fatto di peso, dimensioni e, appunto, spesa. La F 800 GS rappresenta attualmente il compromesso pi&ugrave; avanzato per chi vuole una moto tuttofare, finora le mancava giusto un poco di autonomia nonostante dei consumi che, se si andava via tranquilli con l&rsquo;uso della manetta, si sono sempre rivelati ridicolmente bassi. Ora arriva questo modello che in effetti &egrave; un po&rsquo; pi&ugrave; che un semplice allestimento, in quanto introduce alcune possibilit&agrave; &ldquo;elettroniche&rdquo; molto comode per chi user&agrave; la moto per dei viaggi su ogni tipo di terreno. Cresce un poco il prezzo, fino a 12.800 Euro chiavi in mano compreso il primo tagliando, e il peso, 15 kg, ma tutto resta nell&rsquo;ambito dell&rsquo;affrontabile soprattutto considerando l&rsquo;uso continuo e quanto mai variegato offerto dalla formula cui si rif&agrave; questa moto. Non si tratta solo di appartenere al settore enduro stradale, ma di essere una &ldquo;media&rdquo;a due cilindri, dove la prima definizione la inserisce in una fascia di prezzo che rende i sogni realizzabili, e la seconda caratteristica, meccanica, consente di affrontare viaggi autostradali con un relax sconosciuto ai monocilindrici. Questi si difenderanno meglio in fuoristrada, ma fino ad un certo livello di difficolt&agrave; e velocit&agrave; la 800 &egrave; molto godibile e non fa soffrire nessun pilota.  Sempre pi&ugrave; godibile Nel caso dell&rsquo;Adventure poi sono stati introdotti alcuni particolari che la rendono pi&ugrave; godibile sempre. Di serie ci sono pedane pi&ugrave; adatte all&rsquo;uso con fango e in fuoristrada, il pedale del freno posteriore con la regolazione per usarlo in posizione di guida in piedi, la protezione dei tubi intorno al paramotore (ma non la protezione sotto al motore, il paracoppa, che protegge anche lo scambiatore di calore), il telaietto reggisella rinforzato e i supporti per le valigie in alluminio (queste ultime sono da acquistare a parte), la sella pi&ugrave; confortevole. Poi ci sono optional che fanno la differenza, nella godibilit&agrave; della moto e nel suo prezzo, come spesso avviene nei listini della BMW. L&rsquo;ABS &egrave; di serie ma l&rsquo;ASC no, e la novit&agrave; pi&ugrave; importante &egrave; che oltre ad essere disinseribili, come sempre, i due aiuti elettronici hanno una modalit&agrave; enduro che ne limita l&rsquo;intervento in modo da renderli meno sensibili alle perdite di aderenza con i terreni sconnessi; poi c&rsquo;&egrave; il solito computer di bordo, il navigatore di ultima generazione sempre aggiornato con le mappe e da usare anche per gli altri sport all&rsquo;aria aperta, le manopole riscaldate ecc. I primi 1000 esemplari di GS 800 Adventure sono una particolare &ldquo;launch edition&rdquo; con pacchetti di optional che li rendono veramente irrinunciabili per il rapporto tra spesa e &ldquo;servizi&rdquo; offerti. La F 800 GS &egrave; disponibile anche in versione depotenziata per neopatentati.  DA FERMO  La linea resta inconfondibile ma segna un passo verso &ldquo;l&rsquo;atmosfera&rdquo; Adventure, comportando anche un incremento della proiettivit&agrave; aerodinamica. Le fiancate anteriori pi&ugrave; larghe, il parabrezza verticale e studiato per evitare vortici, la sella per qualche aspetto da cruiser pi&ugrave; che da enduro, come la morbida imbottitura che separa lo spazio tra pilota e passeggero, ma anche l&rsquo;avvolgente protezione in tubi della zona anteriore e della posteriore, da completare questa con il set di valigie in alluminio, rendono pronta alla partenza la nuova GS 800. La sua maggiore qualit&agrave; per chi affronta trasferimenti impegnativi &egrave; ancora l&rsquo;equilibrio, la moderazione delle dimensioni, se la poggiate nella sabbia non dovete aspettare che passi il primo touareg sul suo cammello per riuscire a ripartire, ma la potete rialzare anche da soli. Magari prima avrete fatto il corso della GS Academy da Beppe Gualini, nella magnifica tenuta del castello di Pomino dei Marchesi Frescobaldi, per acquisire la tecnica migliore per ottenere il risultato senza spaccarvi la schiena. I colori disponibili sono il rosso con sella nera e rossa, e il sabbia con sella nera e sabbia. La versione launch edition con i vantaggiosi pacchetti di optional in promozione c&rsquo;&egrave; solo in quest&rsquo;ultima colorazione.   IN MARCIA  Il maggior peso degli accessori e, soprattutto, del serbatoio pi&ugrave; capiente non si avverte pi&ugrave; di tanto. La benzina resta concentrata nel sottosella e in parte si inserisce verso l&rsquo;impianto di alimentazione, e quindi non disturba la guida. L&rsquo;animo turistico della moto non viene stravolto, semmai esaltato, con la grandissima autonomia (500 km sono la norma, non un&rsquo;impresa da economy run) ed una protezione aerodinamica maggiore sia sulle gambe che sul busto. Il motore, con quello che &egrave; successo in questi anni in fatto di aumento di prestazioni, &egrave; da riferimento per morbidezza e progressivit&agrave; di erogazione, non &egrave; di quelli che ti allungano le braccia, soprattutto ora che il peso &egrave; cresciuto e lui &egrave; sempre lo stesso. Anche la frenata &egrave; decisamente priva di stress, senza quegli eccessi di mordente che creerebbero solo imbarazzo in una struttura ciclistica impostata per il turismo e la quotidianit&agrave; da affrontare in sicurezza. Anche se a questo ci pensano poi gli aiuti elettronici, come l&rsquo;ABS e l&rsquo;ASC che qui si intende come controllo di stabilit&agrave;. Il primo ha un intervento tarato sul prudente, nel senso che non lascia al pilota il compito di avere una grossa sensibilit&agrave; per sfruttare al massimo la frenata, ma si prende carico di ripristinare la rotazione delle ruote in modo sollecito; l&rsquo;ASC ha tre successivi livelli di intervento, perch&eacute; la sua azione sia quanto mai progressiva: prima riduce l&rsquo;anticipo dell&rsquo;accensione del motore, se questo non si rivela sufficiente taglia l&rsquo;alimentazione ad un cilindro, infine la taglia anche al secondo. La prova sul campo, facilitata dal fatto che sulle moto in prova erano montati pneumatici tassellati Metzeler Karoo che quindi offrono meno aderenza di un battistrada prettamente stradale, ha confermato la grande discrezione e piacevolezza, in linea con il comportamento di tutta la moto, dell&rsquo;azione dell&rsquo;ASC. Uguale giudizio per ABS e ASC in taratura per enduro, dove c&rsquo;&egrave; anche la possibilit&agrave; di disinserire tutti i controlli.  Oneste sospensioni Infine le sospensioni, che confermano il loro comportamento onesto e conforme alle esigenze della 800 GS fin quando ci si comporta come su una moto da turismo, mentre vanno in affanno appena la velocit&agrave; e le relative sollecitazioni sulla loro struttura, sia idraulica che meccanica, entra nella sfera della condotta sportiva. Questo riferendoci al fuoristrada, soprattutto, e anche nel misto stradale, con i pur limitati trasferimenti di carico dei percorsi pi&ugrave; scorrevoli, ma non c&rsquo;&egrave; da pensare che la 800 GS non sia una moto stabile, al contrario si guida su asfalto molto bene anche con i tasselli alle ruote, solo che non &egrave; fatta per fare le corse. La nuova sella invece presumibilmente far&agrave; piacere anche al passeggero, come ci confermer&agrave; l&rsquo;imminente prova, mentre gi&agrave; da adesso confermiamo che la seduta del pilota &egrave; molto turistica come confort e contenimento del fondo schiena su quel bordo imbottito che separa i due livelli. L&rsquo;accresciuta protettivit&agrave; aerodinamica far&agrave; il resto dell&rsquo;opera e con l&rsquo;autonomia a disposizione si possono veramente fare 1000 km al giorno con due soste. Buon viaggio.   

BMW F 800 GS Adventure

Alla faccia di chi pensa che le dimensioni siano un importante veicolo di divertimento, ecco la MSX: piccolissima, pepata e un po&rsquo; folle. Monocilindrica di 125 cm3 e meno di 100 kg di peso, &egrave; omologata per due e divertente come poche  &nbsp;  &nbsp;  La Honda Monkey veleggia fierissima verso il traguardo dei 50 anni di produzione e il fantastilione di esemplari venduti. Un successo planetario che ha solo sfiorato il nostro Paese: perch&eacute;? Si vede che eravamo tutti intenti a guardare in alto, chiss&agrave; cosa, e non ci siamo accorti di tutte queste &ldquo;motine&rdquo; che ci ronzavano sotto il mento. In quasi tutto il resto del mondo &egrave; andata diversamente e ci vuole davvero poco per vedere quanto le piccolissime Honda a quattro tempi siano tutt&rsquo;oggi amate, replicate e customizzate dai numerosi proprietari sparsi per il globo. Che non le mollano proprio. La Casa, giustamente, ha ripuntato su questo numero vincente ed ecco che la nuova MSX (che sta per Mini Streetbike X-treme) ha preso forma, cambiato forme e mantenuto quelle proporzioni. Chiss&agrave; se anche questo progetto sar&agrave; buono e valido per i prossimi 50 anni. I requisiti per fare molta strada insieme ci sono tutti, tranne uno: ne sono arrivate poche. Se l&rsquo;idea vi stuzzica il palato, finite di leggere e correte dal concessionario perch&eacute; non sar&agrave; facile acchiapparne una: 3.100 Euro sono s&igrave; una certa bastonata per&ograve; la moto &egrave; costruita con grande cura, consuma pochissimo e vi stamper&agrave; un sorriso sulla faccia che vi torner&agrave; utile in moltissime occasioni. Soprattutto quando gli uomini del luned&igrave; chiusi nelle loro scatolamobili vi malediranno vedendovi sfrecciare leggeri e ridanciani.  DA FERMO  Pi&ugrave; che le linee e le proporzioni, la MSX 125 stupisce per la perfetta sintonia fra le minime dimensioni degli elementi ciclistici e la grande cura e ricercatezza riservata alla carrozzeria, alla rifinitura delle plastiche e ai dettagli. Il proiettore anteriore, volutamente sovradimensionato, non stona affatto con la forcella a steli rovesciati e crea un bel contrasto con il piccolo cerchio di 12&rdquo;, arricchito da un disco freno di grandi dimensioni e da un pneumatico panciuto e dal disegno sportivo. Piace anche la linea del serbatoio e l&rsquo;andamento dei fianchetti che corrono paralleli allo scarico sottosella e, soprattutto, convince la qualit&agrave; di ogni singolo elemento. La carrozzeria &egrave; composta da 13 componenti costruiti con ben 7 tipi di plastiche differenti al fine di creare una struttura estremamente modulare, resistente e curata. Il motore a quattro tempi &egrave; parte integrante del disegno della moto e appare ben proporzionato a tutto il resto: la verniciatura in nero lucido ne sottolinea la presenza. Convince meno il collettore di scarico, molto piccolo e decorato con un nero opaco che non ne risalta l&rsquo;andamento. C&rsquo;&egrave; per&ograve; un bel forcellone, in acciaio scatolato, e il disco posteriore che d&agrave; il giusto tocco di sportivit&agrave;. 3.100 Euro sono la cifra richiesta da Honda per prenderne possesso. Tanti, indubbiamente, ma anche difficilmente quantificabili per l&rsquo;attuale mancanza di punti di riferimento. Praticit&agrave;, finiture, divertimento offerto e costi di gestione riescono a giustificare l&rsquo;esborso. L&rsquo;MSX ha anche tutte le carte in regola per diventare un vero fenomeno di costume e potrebbe essere un ottimo investimento anche per i produttori di accessori. Per ora la filiale italiana del pi&ugrave; grande costruttore del mondo &egrave; andata cauta e non ne sono stati importati che poche centinaia di pezzi, in due sole colorazioni: bianco o nero.   COME VA  Per non illudere sulle proporzioni vi diciamo subito che il sottoscritto &egrave; alto 175 cm, pesa una settantina di chilogrammi e in sella ci stava benissimo. Ci ho messo un po&rsquo; a capire che si pu&ograve; comodamente stare seduti sulla parte frontale senza intoppi e fastidi, ma alla fine ci sono arrivato e ho fatto il mio bel giro divertendomi come un bambino sulle giostre. Inutile dire che problemi di toccare il suolo con entrambi i piedi non ce ne sono: la sella &egrave; 765 mm da terra e nulla di troppo si contrappone fra corpo e macchina. Pi&ugrave; difficile &egrave; credere che a bordo non si sta affatto scomodi ma, tant&rsquo;&egrave;, &egrave; proprio cos&igrave;. La libert&agrave; di movimento &egrave; tanta e Honda &egrave; riuscita a miniaturizzare una moto senza perdere equilibrio e praticit&agrave;. Il risultato va oltre le aspettative: la MSX &egrave; in grado di accogliere piloti di (quasi) ogni taglia e ogni sesso mettendo sul piatto una sella spaziosa (ma un po&rsquo; dura) e comandi comodi e assolutamente non costrittivi. Facile quindi trovarsi d&rsquo;accordo con il largo manubrio, con le leve dal funzionamento preciso e con pedane che non sono affatto vicine e non obbligano a starsene appollaiati come su una minimoto. Solo i convogliatori del radiatore possono interferire con le ginocchia di chi guida ma la soluzione al problema &egrave; semplicissima: arretrare un po&rsquo; con il sedere. 101 kg con il pieno sono un biglietto da visita che dice praticamente tutto sulle possibilit&agrave; della nuova MSX. Piccola, leggerissima, agile come &egrave; difficile immaginare ma.. vera. Contrariamente a quello che ci si pu&ograve; aspettare, questa nuova mini-Honda ha il sapore e la consistenza di una moto grande, comune. Difficile non trovarsi a proprio agio una volta a bordo, difficile chiedere di pi&ugrave;: alla guida ci si diverte davvero e non ci si stanca affatto. Il colpo d&rsquo;occhio sul manubrio &egrave; piacevole: bella la strumentazione interamente digitale e ricco il panorama fatto di blocchetti elettrici curati come su una maxi, retrovisori dal taglio classico ma perfettamente intonati allo stile, e plastiche di elevata qualit&agrave;, perfettamente verniciate e accoppiate. Il tatto e la vista sono quindi soddisfatti, vediamo il gusto.  Le plastiche riempiono perfettamente una struttura miniaturizzata dandole forma e, soprattutto corpo. Il risultato &egrave; univoco: dal vivo la MSX non &egrave; nemmeno cos&igrave; piccola e, una volta in sella, ci si trova a proprio agio sempre e comunque. Il piccolo monocilindrico a quattro tempi borbotta le sue note e offre persino un po&rsquo; di verve: l&rsquo;allungo &egrave; inaspettato e in poco spazio ci si trova a velocit&agrave; prossime ai 100 km/h. Non c&rsquo;&egrave; trucco, non c&rsquo;&egrave; inganno: le due valvoline frullano all&rsquo;impazzata e i giri salgono velocemente e senza alcuna incertezza. Il propulsore, completamente rinnovato e dotato di iniezione elettronica, ha una lunghissima storia alle spalle e ha dimostrato di essere praticamente indistruttibile. Si pu&ograve; quindi esagerare, tirare tutte e quattro le marce fino a limitatore e dare anche qualche colpo di frizione qua e l&agrave;: i 10, verissimi, cavalli non vi mollano e il carburante viene centellinato nel corpo farfallato come quasi nessun altro iniettore riesce a fare. Honda dichiara consumi tali che anche i pi&ugrave; accaniti ecologisti vi verranno a stringere la mano: dai 40 ai 60 km ogni litro di benzina, a seconda di come vi accanirete sulla manopola destra. Il pieno costa circa 10 Euro (la capacit&agrave; del serbatoio &egrave; di 5,5 litri) e vi permetter&agrave; di andare avanti e indietro per un bel pezzo. Difficile pretendere di pi&ugrave;.  Mono un po&rsquo; duro Anche la ciclistica si comporta a dovere: la forcella rovesciata risponde coerentemente a tutte le sollecitazioni e il disco anteriore offre sufficiente potenza e modulabilit&agrave;. Un po&rsquo; troppo duro, invece, il monoammortizzatore: qualche risposta un troppo secca non tarda ad arrivare e la striminzita imbottitura della sella non aiuta certo ad indorare la pillola. I punti a favore sono per&ograve; nettamente superiori ai difetti: gli ingombri e il peso aiutano a rendere tutto estremamente facile e divertente. C&rsquo;&egrave; tanto sterzo e un&rsquo;ottima tenuta di strada. Ci sono pneumatici larghi quanto basta per concedersi delle pieghe di tutto rispetto e c&rsquo;&egrave; un equilibrio globale che vi porter&agrave; invariabilmente a strafare. Attenzione per&ograve;: le reazioni sono cos&igrave; veloci ed immediate che andare oltre i limiti strutturali della moto (peraltro molto elevati) &egrave; questione di istanti. Le ruote di 12&rdquo; accelerano di parecchio tutte le reazioni e vi lasciano poco tempo per pensare. Questione di abitudine e di confidenza. Nessuna critica da muovere alle scelte fatte da Honda che ha saputo ricreare un oggetto che merita davvero il suo angolo di garage. Una piccola moto che fa venire immediatamente voglia di un giretto, fosse solo per scoprire l&rsquo;effetto che fa. L&rsquo;appello che ci sentiamo di fare alla Casa &egrave; quello di pensare ad una lista di accessori infinita e peccaminosa. Perch&eacute; chi sale su una MSX ha voglia di distinguersi, anche dagli altri possessori, e l&rsquo;esperienza cinquantennale del modello che l&rsquo;ha preceduta non lascia spazio a fraintendimenti.   

Honda MSX 125

Nell&rsquo;arte e nell&rsquo;architettura in ogni tempo si &egrave; cercato di armonizzare forme e dimensioni alla ricerca di un rapporto perfetto. Lo stesso ha fatto MV con la nuova F3 800, miscelando i pregi di una media sportiva con quelli di una maxi.  &nbsp;  &nbsp;  Una volta davanti alla nuova F3 e dopo un veloce colpo d&rsquo;occhio alla cartella stampa, un interrogativo sorge spontaneo: ma come sono riusciti a fare una 800 con le stesse misure e in pratica con lo stesso peso della 675? Non solo, la posizione del motore &egrave; esattamente la stessa, e per chi ha una vaga idea di cosa significa alloggiare tutti i componenti su una moto di dimensioni cos&igrave; ridotte, sembra impossibile che un motore con corsa maggiorata riesca a stare esattamente negli stessi ingombri.  In realt&agrave; c&rsquo;&egrave; un piccolo segreto: la MV F3, progettualmente parlando, &egrave; nata con cilindrata 800 ecco perch&eacute; gli ingombri sono stati rispettati, &egrave; questa la capostipite della famiglia! Ovvio poi che il motore &egrave; stato pensato in modo tale da permettere di ottenere con minime modifiche due cilindrate distinte. Ma anche con questa doverosa precisazione rimane il fatto che la F3 risulta essere estremamente compatta un punto di riferimento per la categoria delle medie&hellip; con il plus della cilindrata portata a 798 cm3. Quindi, con coppia e potenza da una parte, leggerezza e dimensioni compatte dall&rsquo;altra, il risultato, condito da una estetica come al solito affascinante, &egrave; veramente tutto da gustare. Il prezzo, anche quello a cavallo fra le due categorie, &egrave; di 13.990 euro per la versione ERS dotata di sistema di cambiata assistita.  DA FERMO  Le linee sono le stesse della sorella pi&ugrave; piccola di 675 cm3, in effetti non cambia praticamente nulla e non solo nelle forme, anche le dimensioni e la posizione in sella sono le stesse. Insomma un grande lavoro svolto dai tecnici varesini per riuscire a incastonare un motore oversize in una ciclistica straordinariamente compatta. Le rifiniture di tutto quello che conta sono impeccabili, con alcuni dettagli che possono scaturire soltanto da stilisti made in Italy. Grande classe nelle colorazioni, il classico bicolore MV &egrave; affiancato da due varianti: una elegantissima livrea nero/bianco perla, e un tinta unita che, in omaggio alle tendenze attuali, &egrave; stato realizzato in nero opaco.   LA GUIDA  Salire sulla F3 &egrave; una piccola esperienza: accolti da finiture di classe ci si trova &ldquo;corti&rdquo; quasi come su una supersport giapponese e &ldquo;stretti&rdquo; come su una Ducati. Insomma la moto &egrave; piccolissima, permette comunque non solo di trovare spazio per gli arti, ma anche di muoversi sulla sella per assecondarne le reazioni in ogni fase della guida. Appena acceso il tre cilindri canta una musica tutta sua, la rumorosit&agrave; meccanica &egrave; avvertibile ma mai fastidiosa, i tre cilindri scattano rabbiosi alla minima apertura del comando gas, dagli scarichi esce un suono secco che non sembra neanche quello di un &ldquo;tre&rdquo;, e sentendola passare in pieno rettilineo non &egrave; impossibile confonderla con una 4 cilindri. La titubanza iniziale che pu&ograve; pervadere il pilota&nbsp; &egrave; esclusivamente dovuta a un dubbio: ormai ancorati ai classici canoni &ldquo;600&rdquo; o &ldquo;millona&rdquo;, non si sa bene come comportarsi alla guida di una moto con potenzialit&agrave; motoristiche ancora inesplorate. Ebbene fughiamo immediatamente ogni dubbio: la F3 &egrave; in tutto e per tutto una supersport e come tale va guidata. Difatti dobbiamo immaginare di essere sopra alla pi&ugrave; piccola F3 675: le medesime quote ciclistiche e lo stesso peso (solo 1 kg in pi&ugrave; dichiarato alla prova della bilancia) invitano ad una guida aggressiva soprattutto nei tratti con curve e controcurve dove si pu&ograve; sfruttare la sua impressionante agilit&agrave;, ma anche nelle lunghe conduzioni dove va lasciata scorrere il pi&ugrave; possibile facendo fede su un assetto decisamente neutro. Nessun problema in frenata dove si possono sfruttare nuove pinze Brembo monoblocco dal rendimento esemplare e la nuova frizione antisaltellamento che ben si comporta anche scalando pi&ugrave; marce in sequenza. In accelerazione poi si apprezza l&rsquo;unica vera grande differenza rispetto alla 675, il nuovo motore offre valori di coppia e potenza ben pi&ugrave; elevati, ma la coppia alla ruota, o meglio la spinta alla ruota, non aumenta a dismisura per via della rapportatura molto pi&ugrave; lunga.  Una media &ldquo;dopata&rdquo; Non bisogna aspettarsi quindi una moto che impenna ad ogni uscita di curva: come detto va considerata una media supersportiva eccezionalmente dopata, con il plus di una risposta del motore ai medi regimi piacevolmente piena. Insomma non solo &egrave; stata raggiunta un potenza pi&ugrave; alta, ma tanto lavoro &egrave; stato svolto per rendere il motore pi&ugrave; godibile, tanto pi&ugrave; godibile per via anche di una elettronica che gestisce ride by wire e traction control, veramente a punto. Inoltre, la centralina &egrave; suscettibile di ulteriori affinamenti futuri tramite un semplice e gratuito aggiornamento software. In definitiva la F3 800 &egrave; una moto fantastica da guidare in pista perch&eacute; proprio come una 600 si lascia condurre senza impegnare eccessivamente il fisico, ma in pi&ugrave; non richiede un frenetico uso del cambio per tenere il motore nel ristretto range di giri all&rsquo;interno del quale offre i massimi valori di coppia. Proprio a proposito del cambio dispiace dover evidenziare una non perfetta manovrabilit&agrave; soprattutto a riguardo del passaggio dal terzo al quarto rapporto. Un vero peccato anche pensando che l&rsquo;attuatore &egrave; dotato di quickshifter che permette normalmente cambiate rapidissime ed a breve verr&agrave; implementato con una strategia elettronica che permetter&agrave; le scalate senza utilizzare la frizione, proprio come avviene sulla sorella maggiore F4.  

MV Agusta F3 800

Il ruote alte Yamaha diventa grande: con i 400 cm3 del suo monocilindrico e una linea che unisce la grinta del TMax alla praticit&agrave; che ha sempre contraddistinto questo modello, &egrave; pronto a vivere una seconda giovinezza. Costa 5.990 Euro ma senza ABS  &nbsp;  &nbsp;  Non serviva nemmeno il logo sullo scudo: si capisce subito che il nuovo X-Max appartiene alla ricca e curatissima famiglia dei maxiscooter Yamaha. La linea ricorda il precedente modello ma le nuove proporzioni e una decisa e netta affilatura della sagoma, lo hanno reso ancora pi&ugrave; moderno, pi&ugrave; bello, pi&ugrave; sportivo. Non &egrave; per&ograve; una sola questione di stile: il nuovo propulsore, strettamente derivato da quello montato sul Majesty 400, innalza prestazioni e grinta senza rinunciare alla praticit&agrave; e alla dolcezza. Lo abbiamo provato in citt&agrave; e non ci siamo fatti mancare una bella scampagnata per verificare quanto, in effetti, la crescita sia stata miracolosa e il risultato in linea con le aspettative. Qualche peccato di giovent&ugrave;, tuttavia, lo abbiamo trovato: cominciamo dal principio. Lo sviluppo del nuovo X-Max &egrave; stato portato avanti con un obiettivo piuttosto audace: incrementare la cilindrata e le prestazioni senza rinunciare alla compattezza che ha sempre contraddistinto il modello. Il telaio, alleggerito di 1,5 kg e opportunamente rinforzato nelle zone sottoposte ai maggiori stress, mantiene praticamente le stesse quote del modello precedente e il gruppo motore, a sbalzo, non interferisce con le misure di abitabilit&agrave;. La posizione di guida ha comunque subito importanti affinamenti: il manubrio &egrave; ora pi&ugrave; alto e pi&ugrave; vicino al pilota e l&rsquo;abbondante sellone &egrave; pronto ad accogliere natiche di qualunque taglia. L&rsquo;imbottitura &egrave; molto morbida ma non del tutto sufficiente a filtrare una risposta fin troppo vispa della coppia di ammortizzatori montati al posteriore. Gi&agrave;, nonostante la possibilit&agrave; di intervenire sul precarico delle molle, sulle buche pi&ugrave; incisive un bel calcetto nel sedere non ve lo toglie nessuno. La sella &egrave; leggermente pi&ugrave; bassa da terra di quanto non fosse in precedenza: 785 mm contro i 792 mm dell&rsquo;X-Max 250 Sport, ma la larghezza della parte frontale pu&ograve; creare qualche impiccio a chi non supera il metro e settanta. Poco male: l&rsquo;equilibrio dinamico e l&rsquo;agilit&agrave; sono inaspettati, nonostante i 211 kg dichiarati, e anche nel traffico si zampetta poco e ci si divincola molto bene fra le fila di auto. I blocchetti elettrici sono pi&ugrave; grandi che ricercati, ma all&rsquo;uso non vi deluderanno, anche con guanti invernali, e le leve dei freni fanno pi&ugrave; che onestamente il loro dovere. Il posteriore &egrave; un po&rsquo; duro ma, vista anche l&rsquo;assenza dell&rsquo;ABS, si riesce a modulare senza difficolt&agrave; e senza innescare alcun pattinamento. L&rsquo;anteriore &egrave; decisamente pi&ugrave; morbido ma offre un buon mordente e una risposta efficace e mai eccessiva. Il tunnel centrale rialzato sacrifica un po&rsquo; le dimensioni della pedana e la capacit&agrave; di carico, tuttavia le gambe e i piedi non chiedono spazio in pi&ugrave; e l&rsquo;enorme sottosella, coadiuvato dalla coppia di cassettini nel retroscudo, danno man forte quando si tratta di stivare cose a bordo. Nell&rsquo;uso quotidiano &egrave; tutta manna che scende dal cielo.  DA FERMO  I designer Yamaha sono riusciti a prendere due piccioni con una sola fava. Con un colpo di &ldquo;clay&rdquo; (e tante ore trascorse a scervellarsi) sono riusciti a creare uno scooter in grado di amalgamare alla perfezione le linee taglienti ed aggressive del TMax con la compattezza e l&rsquo;equilibrio dell&rsquo;X-Max 250, sfornando uno scooter che offre una perfetta via di mezzo meccanica ed estetica fra i due. Il profilo punta deciso verso l&rsquo;avantreno grazie ai tagli decisi distribuiti lungo la carenatura: una scelta che amplifica l&rsquo;aggressivit&agrave; del mezzo. La zona posteriore, anch&rsquo;essa decisamente affilata, &egrave; invece resa un po&rsquo; pesante dal gruppo motore-trasmissione, dall&rsquo;aspetto decisamente ingombrante. Se la vista laterale non viene troppo disturbata dalla parte meccanica, l&rsquo;abbondante scarico e la cassa filtro sdoppiata sporcano un po&rsquo; la vista posteriore. Le rifiniture sono di alto livello e la cura per i dettagli &egrave; quasi maniacale: la goffratura delle plastiche del retroscudo vengono riprese all&rsquo;interno dei cassettini e sul manubrio, le cuciture della sella sono di altissima qualit&agrave; e anche sul pav&egrave; non abbiamo riscontrato alcun tipo di vibrazione o di scricchiolio. Ruote e componentistica sono di buon livello e in linea con le prestazioni del mezzo. Per uno scooter destinato ad affrontare, nella stragrande maggioranza dei casi, poche avventure fuori dai soliti tragitti e dai soliti confini, &egrave; davvero difficile pretendere qualcosa di pi&ugrave;.    COME VA  Il nome e le forme mentono sulla rivoluzione che questo scooter ha subito con l&rsquo;introduzione del nuovo motore di 400 cm3. La potenza &egrave; cresciuta di un buon 50% e i 31,5 CV dichiarati sono pi&ugrave; che sufficienti a spingere l&rsquo;X-Max fino ad una velocit&agrave; prossima ai 150 km/h. Tanto basta a modificare i limiti e le possibilit&agrave; di uno scooter diventato &ldquo;maxi&rdquo; a tutti gli effetti. I chilogrammi sono tanti (211) ma, complici l&rsquo;ottima trasmissione e il peso in basso, nel traffico ci si muove comodamente e molto velocemente. Il manubrio offre un&rsquo;impugnatura sicura e vicina, ottima per tenere sotto controllo l&rsquo;avantreno anche sui fondi pi&ugrave; sconnessi. Il propulsore prende i giri velocemente ma con molta dolcezza: nessuno strappo e una progressione lineare e fluida fino alla massima velocit&agrave;. Il motore di derivazione Majesty (ma con una trasmissione studiata ad hoc) conferma quindi le sue ottime doti: le vibrazioni sono pressoch&eacute; nulle e la silenziosit&agrave; meccanica &egrave; assoluta. Le mire turistiche suggerite anche dal catalogo accessori sono pertanto pi&ugrave; che giustificate da una struttura in grado di supportare qualsiasi stress e qualunque chilometraggio offrendo, da parte sua, tutto il necessario per godersi i chilometri in maniera comoda e pratica. Nonostante l&rsquo;ottima base e l&rsquo;ottimo lavoro dei tecnici, l&rsquo;X-Max 400 non &egrave; del tutto esente da punti deboli. Il cavalletto centrale vi far&agrave; dannare un po&rsquo;: tocca terra con estrema facilit&agrave; (ma non fa danni) e il peso del propulsore (molto arretrato) fa s&igrave; che l&rsquo;avantreno si alleggerisca un po&rsquo; troppo nei curvoni affrontati ad alta velocit&agrave;. La tenuta di strada per&ograve; non &egrave; affatto compromessa: merito degli ottimi pneumatici e di un avantreno che trasmette fiducia e non molla mai la presa. Per la versione con ABS bisogner&agrave; aspettare ancora qualche mese tuttavia l&rsquo;impianto frenante non ha tradito le nostre aspettative: la potenza &egrave; pi&ugrave; che sufficiente per tenere a bada i cavalli e si riesce a centellinare senza problemi. Il riparo aerodinamico &egrave; piuttosto limitato: se si vogliono affrontare lunghe trasferte &egrave; meglio orientarsi verso il parabrezza maggiorato disponibile come accessorio. In configurazione standard solo il busto &egrave; isolato dalle intemperie. Le finiture sono, al solito, di livello superiore: il colpo d&rsquo;occhio sul retroscudo, la precisione degli accoppiamenti e la qualit&agrave; delle plastiche sono degne di una moto di alta gamma e la cura riversata nello studio di ogni singolo componente &egrave; all&rsquo;altezza della migliore tradizione Yamaha. Questa caratteristica, unita alle ampie possibilit&agrave; di utilizzo, giustificano il prezzo di acquisto che non &egrave; basso in assoluto, ma comunque allineato alla migliore concorrenza.  

Yamaha X-Max 400

Motore brillante e consumi record, con ruote &ldquo;intermedie&rdquo;, per colmare quel piccolo gap nella gamma Honda e adattarsi all&rsquo;uso in citt&agrave; e fuori, anche nei weekend  &nbsp;  &nbsp;  Dynamic, almighty commuter. Traduzione: dinamico e vigorosamente pendolare. Con questo chiaro concept, il reparto R&amp;D della Honda ha progettato il nuovo NSS300 Forza. Ultimo erede di una lunga tradizione di scooteroni della Casa alata dal design tipicamente giapponese (a partire dal capostipite di tutti, quell&rsquo;innovativo CN250 che negli anni &rsquo;80 defin&igrave; un genere, poi ripreso da tutti i costruttori col successo che conosciamo), nonch&eacute; edizione aggiornata e rivista dei precedenti Forza 250 (2000-2011). Modelli a cui il nuovo 300 apporta migliorie strategiche, come per esempio l&rsquo;ABS combinato di serie, o quel pizzico di potenza in pi&ugrave; di cui molti sentivano bisogno, ma che tuttavia non rinnega affatto, vuoi nel look (facile capirlo gi&agrave; solo guardandolo) che nel target. L&rsquo;obiettivo evidente &egrave; di un maggiore riscontro di mercato, con l&rsquo;occhio rivolto all&rsquo;immediato futuro. Certo il Forza non viene proprio via per bruscolini, il prezzo base indicativo di 5.100 Euro, seppure abbordabile, non &egrave; il pi&ugrave; basso sulla piazza. Vanta per&ograve; consumi record, anche grazie alla tecnologia del cilindro disassato sul lato scarico: ben 30,8 km/l dichiarati dalla Casa nel ciclo misto. Soprattutto non rinuncia alla qualit&agrave;. Col brillante monocilindrico di 279 cm3 da 26 CV (stessa unit&agrave; del modello SH300i) e con forme accoglienti come un salottino, si pu&ograve; dire che il Forza 300 vada a colmare perfettamente un piccolo vuoto della gamma Honda. Qualcosa di intermedio nella scala evolutiva che separa gli iper-utilitari SH monocilindrici a ruote alte dagli SW twin a ruote basse, pi&ugrave; opulenti e prestazionali. Insomma, l&rsquo;anello mancante della specie, per rendere vita dura alla concorrenza in questo segmento. Un mezzo quindi valido per tutti i giorni di lavoro, anche dove la trasferta includa tratti autostradali, cos&igrave; come per lo shopping cittadino, confidando nell&rsquo;ottima capacit&agrave; di carico sposata ad un profilo comunque agile (580 mm di larghezza, davvero non male!), e perfino per avventurarsi fuoriporta col passeggero. Il serbatoio da 11,6 litri (riserva compresa) garantisce, almeno sulla carta, un ipotetico tragitto Milano-Firenze senza soste. Tirando la somma: pratico e tuttofare. Controindicazioni? Qualcuna c&rsquo;&egrave;, ma non proprio un dramma. Vediamo.  DA FERMO  &ldquo;Scooter alla giapponese&rdquo;, ha definito Honda il suo nuovo Forza 300, e non c&rsquo;&egrave; dubbio che sia cos&igrave;: interasse lungo, ruote piccole, sella a divanetto, seduta acquattata, parabrezza corto, manubrio &ldquo;motociclistico&rdquo; alto, a vista. Il tutto armonizzato in un veicolo dall&rsquo;aspetto molto piacevole, insieme sportivo, elegante e con qualche vezzo cruiser. Se vogliamo trovargli una disarmonia, la leggiamo in quel retroscudo massiccio che fa un po&rsquo; galeone spagnolo e stride con la linea molto pi&ugrave; filante del posteriore, che lascia intravedere parte del gruppo propulsivo. Ma &egrave; questione di gusti. Sul davanti, sotto l&rsquo;unghia sfuggente del plexiglass, un gruppo ottico di grande impatto dove spiccano due occhioni felini sgranati, con lampade da 35/35 W, che grazie alle parabole multireflector dovrebbero garantire buona visibilit&agrave; notturna (il nostro test si &egrave; svolto interamente in pieno sole). Le doppie luci nella parte posteriore, visibili pure lateralmente, sono invece strette e regolari, molto japan style, quasi lo sguardo di un transformer, ma l&rsquo;aspetto non &egrave; male, tra l&rsquo;altro risalta la snellezza dello scooter. Dietro spicca anche il silenziatore, razionalmente posizionato e impreziosito da una caladrina cromata. La parte centrale resta pi&ugrave; massiccia a causa del tunnel che alloggia il serbatoio ed un amplissimo vano sottosella da 62 litri, praticamente un cargo, che pu&ograve; contenere due caschi integrali. Piccola chicca sono le pedane del passeggero retrattili, a totale scomparsa nel design dello scooter. Il Forza monta cerchi in alluminio pressofuso a 12 razze (14&rdquo; davanti, 13&rdquo;, un pollice pi&ugrave; che sul vecchio Forza 250) con disegno leggero e pneumatici ribassati nelle misure 120/70 e 140/70. Sul fronte prevenzione furti, per quanto pu&ograve; servire, tranquillizza il sistema HISS a riconoscimento della chiave originale tramite chip. L&rsquo;Honda Forza 300 pu&ograve; inoltre essere equipaggiato con un kit allarme Averto, bauletti da 45 o da 35 litri, parabrezza maggiorato, manopole riscaldate e telo copriscooter. I colori disponibili sono molto sobri, anche se coi soliti nomi un po&rsquo; bizzarri: bianco perla himalayano, nero asteroide, argento foca.    IN SELLA  Honda definisce &ldquo;Sit-in&rdquo;, siedi-dentro, lo stile di guida del Forza 300. Infatti, &ldquo;calandoci&rdquo; in sella (parliamo di appena 716 mm dal suolo) la sensazione &egrave; molto immersiva. Ci si ritrova con piacere a scrutare la strada ben inseriti all&rsquo;interno del corpo macchina, ma pure senza ostacoli visivi in quanto il cupolino, migliorato in galleria del vento rispetto al precedente Forza 250, &egrave; stato volutamente mantenuto basso per questioni stilistiche. Manopole, pedana e seduta formano un triangolo regolare, sicch&eacute; braccia e ginocchia flettono naturalmente e la schiena resta dritta senza sforzi. Solo i pi&ugrave; spilungoni potrebbero scoprire un piano scocca un po&rsquo; troppo vicino alla sella, un manubrio eccessivamente proteso e una posizione di guida un pelo incassata, roba che penalizza il comfort degli extrasize nelle trasferte pi&ugrave; lunghe. Lo schienalino inoltre non si pu&ograve; regolare, costringendo il guidatore in una posizione senza possibilit&agrave; di movimento, fissa per tutti, tappi o coscialunga che siano. Per fortuna l&rsquo;ampia pedana consente anche d&rsquo;appoggiare i piedi verso il fronte scocca, cos&igrave; che tutto si riequilibra e il sangue continua a circolare. La sella, n&eacute; morbida n&eacute; dura, risulta un po&rsquo; minimalista nella sezione passeggero, e i maniglioni integrati al portapacchi, seppur robusti, sembrano poco intuitivi da agguantare. La seduta molto bassa offre in ogni caso confidenza a tutti, di qualunque taglia, sesso o esperienza, consentendo di gestire sempre al meglio i 192 kg (benzina compresa) di equilibratissimo peso, molto in basso anche grazie al serbatoio alloggiato ad altezza dei mozzi ruota. Comandi razionali, facili da raggiungere, esaltano l&rsquo;ergonomia, mentre l&rsquo;abitabilit&agrave; &egrave; ulteriormente messa in risalto dai comodissimi vani del ponte comando (uno sottochiave e con presa a 12V), per quegli immancabili oggettini che ci si ricorda di dover svuotare dalle tasche sempre al momento dell&rsquo;avvio motore. Che avviene agevolmente tramite un pulsante sulla plancia, anche se ne avremmo preferito uno pi&ugrave; classico al manubrio. Confessiamo che il divertimento c&rsquo;&egrave; stato. Ben guidabile, motore sfruttabile, progressione buona, comodit&agrave; secondo aspettative, stabile in curva, il Forza sa farsi amare. Peccato per l&rsquo;idraulica degli ammortizzatori posteriori, certo migliorabile, e per una sensibilit&agrave; dell&rsquo;ABS che sinceramente non ci ha del tutto convinto. Comunque resta ottima la potenza dell&rsquo;impianto frenante, perfettamente modulabile, con disco davanti di ben 256 mm &Oslash; e pinza a tre pistoncini. Ricordiamo che di serie il Forza 300 dispone di C-ABS, cio&egrave; pizzicando il freno posteriore si agisce anche su un pistoncino di quello anteriore. Ma andiamo con ordine. Ci&ograve; che pi&ugrave; stupisce del nuovo 300 Honda &egrave; il propulsore. Un &ldquo;mono&rdquo; quattro valvole, raffreddato a liquido, dall&rsquo;erogazione talmente lineare e fluida da far passare in secondo piano le eccellenti prestazioni di cui &egrave; capace. Un po&rsquo; meno pronto ai semafori del gemello SH300i ma comunque brioso. L&rsquo;attacco e lo stacco sono praticamente inavvertibili, il motore, piuttosto silenzioso, sale di giri in maniera piena, senza vuoti o vibrazioni, la frizione centrifuga automatica, accoppiata alla trasmissione finale del tipo V-Matic con cinghia V-Belt, regala una spinta sempre corposa e costante. Honda ha inoltre brevettato un sistema con speciali attacchi oleolink che permettono al motore di basculare lievemente, evitando in accelerazione la tendenza all&rsquo;innalzamento del posteriore. Il tutto si traduce in un incedere rotondo e senza strappi. Dispiace per quella sospensione posteriore decisamente troppo brusca in rilascio, che fa un po&rsquo; ballare la rumba su dossi e pav&egrave;. Invece la forcella da 35 mm, con avancorsa di 89 mm e angolo di 27&deg;, &egrave; pi&ugrave; morbida e copia bene il terreno. Se in citt&agrave; s&rsquo;apprezzano spunto e agilit&agrave;, su strada aperta il Forza resta sempre maneggevole e danza tra le curve che &egrave; un piacere, leggero e dinamico nonostante l&rsquo;interasse di oltre un metro e mezzo e il peso non piuma, invitando a scendere in piega senza timori di tipo scooteristico. Certo, per ottenere una guida pi&ugrave; sportiva si deve usare polso, per&ograve; a misura che aumenta il ritmo le reazioni perdono via via sincerit&agrave;. Affrontando l&rsquo;autostrada a manetta ruotata la stabilit&agrave; resta notevole. Sorprende la totale assenza di vibrazioni, ma s&rsquo;avverte anche qualche alleggerimento e soprattutto si scopre che lo schermo basso ripara solo in parte. Rincuora sapere che nella lista degli optional c&rsquo;&egrave; anche un bel parabrezza. Per raggiungere il picco massimo (25,8 CV dichiarati a 8.250 giri) ci si deve stendere dietro il cupolino, ed ecco entrare presto il limitatore. Il tachimetro gi&agrave; segna quasi i 160 km/h di fine scala, in dubbio se si tratti di una nostra svista, causa la posizione in carena, o piuttosto di una &ldquo;generosa&rdquo; sovra-taratura dello strumento. Ma &egrave; un dettaglio, il Forza 300 non &egrave; certo venduto come locomotiva da Frecciarossa; i suoi sono pi&ugrave; compiti da onesto compagno di strada (ed autostrada) per godersi velocit&agrave; di crociera a codice, ovunque, in tutta sicurezza e relax.  

Honda Forza 300 ABS

La mano sinistra aziona la frizione, il piede dello stesso lato &egrave; quello della leva del cambio. Entrambi sono stati pensionati dalla trasmissione DCT della Honda che a breve sar&agrave; allargata anche alle sportive da strada e fuoristrada. Un test di 600 km con cinque modelli a disposizione  &nbsp;  &nbsp;  600 km in Irlanda ad una media oraria da circuito del Mugello guidando l&rsquo;attuale produzione Honda in vendita in Italia con la trasmissione a doppia frizione, la DCT. Le moto le riconoscete subito, a loro manca la leva della frizione e la leva del cambio, che in effetti potrebbero ancora avere perch&eacute; la Honda produce un accessorio &ldquo;propedeutico&rdquo; (poco proposto dai concessionari), una leva del cambio che per&ograve; agisce anch&rsquo;essa sulla centralina, come i pulsanti che trovate al manubrio, e non meccanicamente come avviene normalmente. Nel nostro caso, a sinistra il pulsante col + azionato tramite l&rsquo;indice inserisce la marcia pi&ugrave; alta, con il pollice il tasto &ndash; invece vi fa scalare; nel blocchetto di destra al manubrio una slitta fa passare dalla modalit&agrave; automatica Drive, per la guida &ldquo;normale&rdquo;, alla Sport, sempre totalmente automatica, ma con le cambiate che avvengono ad un regime pi&ugrave; alto, mentre sullo stesso blocchetto si trova il comando per passare in &ldquo;manuale&rdquo;. Questa modalit&agrave; vi far&agrave; azionare il cambio a piacimento con i pulsantini, tranne impedire di ingranare marce che risultano troppo corte o troppo lunghe per la velocit&agrave; che state tenendo. Completa un manubrio affollato in modo insolito una piastra per il freno a mano, come per gli scooter, necessario in quanto la trasmissione quando &egrave; a motore spento resta in folle. Dopo aver provato tutte le soluzioni possibili, sono giunto alla conclusione che lasciare la DCT in modalit&agrave; automatica e riservarsi il gusto di qualche scalata pi&ugrave; allegra con il pulsante, oppure una salita di marcia pi&ugrave; rapida in uscita di curva per arrivare prima ad un regime pi&ugrave; rilassato, rappresenti il compromesso migliore. Questo &egrave; possibile senza mettere in manuale. E dopo aver percorso mezza Irlanda del sud est, con pochi rettilinei e scarso traffico, quindi ampia possibilit&agrave; di scegliere l&rsquo;andatura preferita, se pure disturbati dall&rsquo;effetto visivo ribaltato come &ldquo;allo specchio&rdquo; a causa della circolazione a sinistra, che rende le traiettorie meno intuibili, &egrave; una regola che si pu&ograve; applicare ai cinque modelli del test. Con il motore V4, della partita erano la Crosstourer e la VFR 1200 F, mentre con il V2 700 l&rsquo;Integra, la NC 700 S e la NC 700 X.&nbsp; I modelli 1200 ne hanno talmente tanto, tra potenza e coppia, che basterebbe la met&agrave; delle marce, e qualche volta volutamente messa la trasmissione in manuale e lasciata la marcia pi&ugrave; lunga, le riprese venivano ugualmente gustose. Salvo che qui si stava in moto esattamente per il motivo opposto, far lavorare il cambio. La DCT, o il DCT che dir si voglia, arriva in Italia proprio con la VFR 1200 F nel 2010, a completare una granturismo innovativa nel design e nella meccanica. La Crosstourer non &egrave; da meno come macinatrice di chilometri ad alta velocit&agrave;, con vista dal piano rialzato. La gamma delle 700 per tenere il passo dell&rsquo;allegra brigata ha avuto il suo bel da fare, ma ci sono riuscite con la volenterosa cooperazione dell&rsquo;equilibrato insieme motore-ciclistica. Se pure come si sa la base &egrave; comune, ha fatto pi&ugrave; scalpore l&rsquo;Integra con il suo aspetto da maxiscooter nel riuscire a non farsi distanziare, mentre la naked S e la crossover X&nbsp; si sono fatte decisamente apprezzare per essere cos&igrave; discrete ma molto efficaci e redditizie, con la NC 700 X che ha rappresentato la moto pi&ugrave; a suo agio in ogni condizione. Abbinata al motore 700, la trasmissione DCT d&agrave; il meglio, facendo in modo che si resti sempre nel limitato numero di giri a disposizione, proprio dove si pu&ograve; trarre la massima prestazione dal propulsore. Anche se nata per intenzioni sportiveggianti, sulle 700 questa trasmissione fa capire immediatamente i vantaggi che offre. E se ogni tanto si vuole &ldquo;personalizzare&rdquo; la marcia inserita basta un colpo sui pulsanti.  La seconda generazione della DCT per&ograve;, per quanto si possa stare certi che ce ne sar&agrave; anche una terza, ha un software che sceglie sempre la marcia giusta, ha eliminato comportamenti spiacevoli nelle manovre al rallentatore, con qualche trascinamento imprevedibile, o cambiando rapporto in curva nella fase in cui la manetta &egrave; chiusa, oppure costante, ma non si vuole rinunciare al tiro della marcia con cui si &egrave; entrati in piega. Come scrivevo un mese fa nell&rsquo;editoriale, ero molto scettico sul fatto che una moto che decide da sola la marcia del cambio potesse incontrare i miei gusti. In terra d&rsquo;Irlanda al secondo giorno di guida mi sono arreso all&rsquo;evidenza che col DCT si pu&ograve; convivere piacevolmente. Ma &egrave; stato una volta a casa, alla guida di una moto col cambio tradizionale, che ho capito quanto possa diventare all&rsquo;improvviso superlfua tutta la liturgia a cui siamo da sempre legati, dalla cambiata senza usare la frizione, semplicemente accostando il gas, alla sfrizionata di puro piacere, quella solo per sentire i giri che salgono pure se non ce ne sarebbe bisogno. Certo, &ldquo;eticamente&rdquo; mi pongo il problema dal vago sapore conservatore del &ldquo;dove andremo a finire&rdquo;. Dopo che si sar&agrave; persa la sensibilit&agrave; in frenata grazie all&rsquo;ABS che si preoccupa per noi di non bloccare le ruote, dopo che il Traction Control si sar&agrave; preso la briga di sollevarci dal sapiente dosare la manetta in condizioni di scarsa aderenza, nell&rsquo;era in cui il Ride by Wire ha permesso di cambiare carattere al motore scegliendo con un pulsantino la mappatura pi&ugrave; consona a come ci gira l&rsquo;umore al momento, ora che si diffondo le sospensioni che si regolano da sole togliendoci la manualit&agrave; e il gusto di agire su freni idraulici e precarichi delle molle, ecco che l&rsquo;ennesimo software si arroga il diritto di cambiare marcia al nostro posto. Chiss&agrave; se i Campioni di oggi saprebbero partire a spinta mettendo in moto un Norton Manx una volta saltati di traverso sulla sella, chiss&agrave; se ci troveremo tra vent&rsquo;anni a piroettare con le auto a cambio automatico, come si vede sulle pellicole americane, al pi&ugrave; piccolo imprevisto si pari davanti, totalmente inetti ad agire sui comandi elettronici che ormai ci hanno sostituito. Oggi ho ancora solo una certezza, che le resistenze a rassegnarsi alla moto col cambio automatico saranno enormi, ci vorr&agrave; forse un ricambio generazionale completo prima che il motociclista italiano accetti la novit&agrave;, ammesso che il marketing che deve trovare la strada di vendere il prodotto, decida che non vale la pena insistere almeno su certi mercati con questa innovazione. Viviamo anni di rapidi e profondi cambiamenti, DCT &egrave; uno di questi. Ho constatato per&ograve; che, come ci si aspetta da Honda, il meccanismo va talmente bene che quando si torma indietro la prima volta sulla moto con tutte le leve a posto ci si chiede: perch&eacute; dovrei stare qui a tirare, mettere e togliere? Se lo sono chiesti in molti in giro per il mondo motociclistico, e si sono anche dati una risposta, scegliendo i motori con DCT per il 24% di tutte le VFR vendute, quasi il 50% per la NC 700 X e addirittura il 70% di Crosstourer.  DA FERMO  Dual Clutch Transmission vuol dire trasmissione a doppia frizione, una soluzione che in Honda studiano dal 2005 e presentata nel 2010. Una frizione &egrave; collegata alle marce 1,3 e 5, e nel caso dei motori 1200 questa &egrave; anche pi&ugrave; robusta dell&rsquo;altra, quella che si occupa delle marce 2 e 4. La centralina gestisce i passaggi di marcia in base a vari parametri, che devono discernere in quale fase della guida si &egrave; in ogni momento. Per non fare la cosa sbagliata, come infilare il rapporto superiore mentre si &egrave; a gas costante o chiuso a centro curva, tanto per fare l&rsquo;esempio che pi&ugrave; d&agrave; fastidio nei cambi automatici che non sono adeguatamente studiati. A parte la mancanza delle leve dal lato sinistro, i motori con DCT si dichiarano a prima vista per una maggiore sporgenza sul lato destro dovuta alla doppia frizione. L&rsquo;idea di DCT nasce per un uso sportivo automobilistico negli anni &rsquo;80, non in casa Honda, ma oggi i tecnici del settore auto del marchio dell&rsquo;ala si stanno applicando per adattare la DCT motociclistica alle loro quattroruote. Dove non dovr&agrave; essere studiata una funzione &ldquo;impennata&rdquo;, l&rsquo;unica emozione di cui i pi&ugrave; smanettoni avvertiranno la mancanza. Ma che con la terza generazione di DCT magari arriver&agrave;.    

Gamma Honda DCT

Una bicilindrica con un motore fantastico e una ciclistica facile da gestire: questa Hyper &egrave; fatta per andare con tutti!  &nbsp;  &nbsp;  Prima della recente acquisizione di Ducati da parte di Audi, il nuovo corso della Casa bolognese era gi&agrave; stato segnato dalla nascita dei modelli &ldquo;strada&rdquo;, ovvero da un nuovo filone di moto, che alla radicale inclinazione sportiva del marchio aggiunge una pi&ugrave; affabile indole da granturismo tradotta in borse laterali di serie, maggiore protezione e maggior comfort per pilota e passeggero. Quindi oltre a Multistrada e Diavel Strada, ora &egrave; disponibile anche la Hyperstrada, una granturismo in grado di ritornare ad essere quasi una sportiva pura non appena privata delle borse laterali. Con una moto di cilindrata e potenza non troppo spinte, le intenzioni di Ducati sono di rivolgere la Hyperstrada non solo agli incalliti appassionati della guida sportiva, ma anche al pubblico femminile e ai meno esperti. Un preciso segnale &egrave; stato quello di abbassare l&rsquo;altezza della moto per renderla di facile accesso a tutti. Per questo la Hyperstrada ha sospensioni ribassate rispetto al modello base, che possono essere fornite in una seconda versione ancora pi&ugrave; bassa su richiesta del cliente. Il prezzo di listino &egrave; piuttosto salato, visto che servono 12.790 &euro; chiavi in mano per portarne a casa una, di core rosso-grigio o bianco-grigio, naturalmente borse laterali comprese.  DA FERMO  Di primo acchito ci ha fatto una strana impressione vedere la snella figura di una Hyper con appese due voluminose borse laterali che ne occultano, allargandola a dismisura, la parte posteriore facendoci chiedere: &ldquo;ma &egrave; proprio lei?&rdquo; Dopo un attimo di adattamento cominciamo a riconoscere l&rsquo;inconfondibile frontale appuntito proteso in avanti e il sottile serbatoio che lascia totalmente a vista il motore. L&rsquo;inedito parabrezza, invece, ci &egrave; subito piaciuto, anche se gi&agrave; a guardarlo si capisce che in quella posizione protegger&agrave; non pi&ugrave; di tanto. Il lungo becco anteriore prosegue verso l&rsquo;alto con il fanale e poi col parabrezza, mantenendo praticamente la stessa inclinazione che dona tanta aggressivit&agrave; a questo modello. Oltre all&rsquo;aggiunta del cupolino, al comfort contribuisce anche la sella, che vede l&rsquo;aumento di dimensioni e imbottitura, specialmente per il passeggero, misurando 850 mm da terra in versione standard. Questa non ha regolazione in altezza, ma &egrave; possibile ordinarne una ribassata di 20 mm. Alla riduzione totale dell&rsquo;altezza pensano anche le sospensioni, la cui corsa risulta 20 mm pi&ugrave; corta della versione originale, con conseguente abbassamento di tutta la moto, e se questo non bastasse, &egrave; possibile ordinare la moto con sospensioni accorciate di ulteriori 2 cm! Altra gradita presenza &egrave; quella del cavalletto centrale, sempre utile quando si deve stivare materiale nelle borse. Tornando a quest&rsquo;ultime, sono di tipo semirigido con capienza di 25 litri l&rsquo;una, hanno tre punti di fissaggio al telaio e sono molto facili da smontare, trasportare e rimontare. Da notare che anche i supporti sono facilmente removibili con attrezzi e che il volume della borsa di destra non &egrave; ridotto per far posto al silenziatore. La chiusura a cerniera richiede due poco pratici lucchetti per assicurarne l&rsquo;inviolabilit&agrave;, inoltre bisogna coprirle con l&rsquo;apposita cuffia in caso di pioggia. Al posteriore compare anche un portapacchi metallico con maniglie passeggero e dotato di predisposizione per il top-case, mentre completano la dotazione i parafanghi maggiorati, due prese 12V e la piastra paramotore.  IN SELLA  In questa primavera 2013 dal meteo decisamente bizzarro, la Ducati ci ha portati in Val d&rsquo;Orcia, nel cuore della Toscana, per scoprire luoghi e strade tra i pi&ugrave; belli d&rsquo;Italia seguendo la perfetta filosofia della Hyperstrada, alternando cio&egrave; pieghe esaltanti a cibo e piazze toscane tutte da ammirare. La cilindrata non esagerata e il peso contenuto dovrebbero bastare a permettere alla maggior parte dell&rsquo;utenza di approcciarsi alla Hyperstrada senza troppi timori reverenziali, almeno cos&igrave; ci &egrave; successo non appena saliti in sella. L&rsquo;animo da sportiva per&ograve; resta ben radicato in questa Hyper e fa presto a manifestarsi, tanto da permetterci di sconsigliarla a chi sia privo di una certa esperienza di guida. La postura di guida resta simile a quella che ricordiamo del vecchio modello e nonostante il manubrio rialzato, la sensazione &egrave; di averlo comunque molto vicino e di esercitare una certa forza con le braccia per non caderci sopra. Anche la conformazione della sella, che spinge leggermente il bacino in avanti e non permette di arretrarlo, nonostante il busto resti quasi verticale, incrementa il carico della braccia sul manubrio. La sella non &egrave; poi cos&igrave; bassa e chi ha statura media deve sollevare i talloni da terra per appoggiare entrambi i piedi. Le pedane, invece, sono lontane e lasciano le gambe molto comode; da questa eliminiamo subito i gommini anti vibrazioni ottenendo un migliore appoggio. Controlliamo i comandi e notiamo la mancanza di regolazione distanza sulla leva frizione, mentre quella freno ne &egrave; regolarmente provvista, tutto il resto risulta perfetto. Il solito motorino di avviamento che pare faticare a mettere in movimento i pistoni e il propulsore si avvia lesto, con un appagante e cupo suono di scarico. Frizione molto modulabile e un&rsquo;inaspettata regolarit&agrave; ai bassi regimi permettono di marciare anche a passo d&rsquo;uomo senza alcuna difficolt&agrave;. Anche l&rsquo;ampio angolo di sterzata rende pi&ugrave; facili manovre e inversioni di marcia. L&rsquo;ottima capienza delle borse permette di stivarvi comodamente il computer portatile, ma la loro non impermeabilit&agrave; ci costringe a togliere e rimettere la copertina impermeabile ogni volta che vogliamo aprirle. Il percorso ci porta subito su un susseguirsi di curve di ogni raggio unite da rettilinei a volte anche lunghi e qui scopriamo il favoloso &ldquo;piccolo&rdquo; Testastretta, che non impiega molto ad affascinarci con una esaltante erogazione. Tirando regolare gi&agrave; dai 3.000 giri, nella mappa Sport pare affamato di manetta, rispondendo immediatamente ad ogni apertura. Intorno ai 6.000 giri la spinta aumenta ulteriormente fino ai 9.000 giri, regime a cui &egrave; meglio inserire il rapporto successivo. Per &ldquo;incontrare&rdquo; il limitatore abbiamo dovuto cercare un rettilineo bello lungo, perch&eacute; l&rsquo;allungo pare non finire mai, anche se poi arriva molto violento intorno ai 10.500 giri. La mappa Touring offre anch&rsquo;essa 110 CV di potenza, ma la risposta del gas &egrave; pi&ugrave; dolce e indicata per quando non si vuole tirare. Reimpostando la Sport i cavalli non variano, ma pare di aver montato un gas rapido! Passando alla Rain si nota nettamente la potenza scesa a 75 CV, tanto che sotto i vari acquazzoni che abbiamo incontrato abbiamo preferito una Touring con DTC impostato a 6 o 7, tanto per stare tranquilli. La ciclistica resta di impostazione simile alla vecchia Hyper, cio&egrave; parecchio sbilanciata sulla ruota anteriore, con la quale bisogna costruire un buon rapporto di fiducia prima di affrontare le curve con decisione. La reattivit&agrave; molto accentuata permette discese in piega rapide e decise, molto gustose su fondi perfetti, ma perturbabili dalle irregolarit&agrave;. Nemmeno la corsa ridotta delle sospensioni viene in aiuto in questi frangenti, ma causa saltuarie reazioni improvvise, che guidando a ritmi sostenuti richiedono impegno ed esperienza per essere gestite. Per questo motivo pensiamo che la Hyperstrada mostri pi&ugrave; spesso il suo lato &ldquo;hyper&rdquo; che quello &ldquo;strada&rdquo;, risultando pi&ugrave; impegnativa di una granturismo e meno appagante su percorrenze lunghe. Nonostante la presenza del parabrezza, spalle e casco restano totalmente esposti, limitando in parte medie e percorrenze nei trasferimenti autostradali. L&rsquo;esuberante doppio disco anteriore &egrave; molto aggressivo risultando poco modulabile nella prima parte della frenata, per poi offrire decelerazioni notevoli insistendo sulla leva. Ci &egrave; parso invece perfetto per la guida sportiva il disco posteriore, facile da modulare ed esente da bloccaggi non voluti con ABS disattivato. L&rsquo;ABS, appunto, fa un grande lavoro intervenendo in maniera poco avvertibile e pi&ugrave; frequentemente se impostato a livello 2, dove impedisce il sollevamento del posteriore. Lasciandolo a 1 si guida senza fastidi anche a ritmi sostenuti, ma solo escludendolo si gode appieno dell&rsquo;ottima frizione antisaltellamento, che slitta al punto giusto per goduriose derapate posteriori. Gli 8 livelli del DTC sono anche troppi per una stradale, ma il sistema lavora molto bene intervenendo in modo a volte nemmeno avvertibile, ne abbiamo avuto vari esempi accelerando sulla riga di mezzeria sotto la piaggia, dove quasi non ci si preoccupa di parzializzare il gas e soprattutto gran parte degli errori sono perdonati.  

Ducati Hyperstrada

Forza, velocit&agrave; e aggressivit&agrave;. Un motore bicilindrico che mette paura ai quadricilindrici 1000. Compatta, leggera e molto maneggevole. Ora con pi&ugrave; trazione. Freni eccezionali. La Panigale R &egrave; una moto da corsa con la targa  &nbsp;  &nbsp;  Lo senti ruggire sotto il serbatoio, sfiori l&rsquo;acceleratore e il leone comincia a correre. Sempre pi&ugrave; forte e con maggiore forza. Ha muscoli d&rsquo;acciaio e oltrepassati i 7.000 giri, dopo avere individuato la preda, la voglia di raggiungerla aumenta ancora, esattamente come la sua accelerazione. Sa qual &egrave; il suo obiettivo e sembra non volersi fermare. Una volta, a 11.500 giri aveva finito il fiato e doveva fermarsi. Oggi, invece, riesce a spingersi fino a 12.000 giri, perch&eacute; le nuove gazzelle europee non sono mai state cos&igrave; in forma. Il leone di Borgo Panigale non rimarr&agrave; pi&ugrave; senza pasto, perch&eacute; ora &egrave; in grado di raggiungerle e catturarle anche nelle ampie praterie, dove prima soffriva un po&rsquo; la mancanza di velocit&agrave;. Ma le sue armi non sono solo un nuovo cuore pi&ugrave; potente e allenato. Ci sono anche delle zampe posteriori pi&ugrave; resistenti, che consentono di trasmettere al terreno tutta la sua forza. Il leone non corre pi&ugrave; &ldquo;a vuoto&rdquo; ed anche se la preda cambia continuamente direzione per metterlo in difficolt&agrave;, lui non molla. In questa storia, il leone &egrave; la 1199 Panigale R e le gazzelle sono le supersportive europee a quattro cilindri. Ducati continua a giocare la sua partita con due cilindri in meno e con 200 cm3 in pi&ugrave;. A Borgo Panigale hanno iniziato a conoscere il progetto Panigale. Hanno capito quali sono i pregi ed hanno individuato i difetti. La versione R rappresenta la soluzione a questi problemi. Mancava allungo, per competere con le quadricilindriche nelle corse? Ora, grazie alle bielle in titanio, il bicilindrico bolognese raggiunge agevolmente i 12.000 giri. Serviva pi&ugrave; trazione per sfruttare tutta la coppia a disposizione? Ora, grazie al pivot regolabile e ad una maggiore conoscenza dello schema a motore portante, c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; grip al retrotreno. L&rsquo;erogazione era troppo brusca a cavallo dei 7.500 giri? Ecco, su questo aspetto bisogna ancora lavorare, perch&eacute; il propulsore della 1199 Panigale R va molto pi&ugrave; forte di quanto si potrebbe immaginare ma &egrave; una belva in gabbia. In teoria &egrave; addestrato, ma il suo istinto da capo branco a volte riemerge prepotentemente e bisogna essere sempre pronti a fargli capire chi comanda. La 1199 Panigale R, dati alla mano, non &egrave; molto diversa dalla versione S, per&ograve; le poche (ma azzeccate) modifiche apportate al motore e alla ciclistica hanno spostato in alto l&rsquo;asticella delle prestazioni. In realt&agrave; non &egrave; questa la notizia pi&ugrave; importante. Ci&ograve; che davvero conta &egrave; che gli ingegneri bolognesi hanno dimostrato che il progetto Panigale pu&ograve; migliorare. Il suo potenziale, notevole, &egrave; fuori discussione: &egrave; la supersportiva pi&ugrave; leggera in commercio, monta il bicilindrico pi&ugrave; potente del mondo e piace. La 1199 Panigale, per&ograve;, &egrave; nata in un momento molto delicato della storia di Ducati. L&rsquo;azienda di Borgo Panigale, infatti, in MotoGP ha sempre puntato sulla soluzione tecnica a motore portante (vincente con Stoner nel mondiale 2007), messa in discussione negli ultimi due anni, tanto che, alla fine, per la Desmosedici &egrave; stato realizzato un telaio a doppio trave in alluminio. Nello stesso periodo Ducati ha svelato il progetto Panigale, nato proprio intorno alla soluzione a motore portante. Come se non bastasse, dopo i primi test delle versioni di serie e Superbike, sono emersi alcuni difetti di giovent&ugrave; (entrata in coppia troppo brusca e mancanza di trazione), che hanno messo un po&rsquo; in allarme gli ingegneri bolognesi. &Egrave; passato un anno e in realt&agrave; non &egrave; stata necessaria nessuna rivoluzione. Semplicemente, la 1199 Panigale &egrave; caratterizzata da un telaio molto rigido, pertanto basta poco per farla funzionare ma una mossa sbagliata penalizza questa moto pi&ugrave; di altre. La 1199 Panigale &egrave; un prodotto di serie che somiglia molto ad una moto da corsa. &Egrave; sensibile alle regolazioni e soprattutto al cambiamento della pressione dei pneumatici, la taratura delle sospensioni &egrave; rigida e il motore funge da telaio, pertanto la funzione ammortizzante del pneumatico &egrave; pi&ugrave; importante rispetto ad altre moto. In sostanza, con la supersportiva Ducati, senza aver scelto un buon set-up, non si pu&ograve; entrare in pista e guidare subito al limite.  DA FERMO  La Ducati 1199 Panigale R non &egrave; molto diversa rispetto alla versione S. Cambiano numerosi dettagli, che un occhio attento e abituato ad apprezzare i componenti racing e quelli in fibra di carbonio, noter&agrave; di certo. Sulla R il parafango posteriore, le protezioni del forcellone, del carter frizione e dell&rsquo;ammortizzatore sono in carbonio, esattamente come il paratacchi e le cover blocco chiave e quelle dei convogliatori d&rsquo;aria. La moto costa 31.990 euro chiavi in mano e compresi nel prezzo ci sono: l&rsquo;impianto di scarico Evo della Termignoni (non omologato per l&rsquo;uso su strada), la chiavetta contenente il file per cambiare la mappatura della centralina (da utilizzare insieme allo scarico racing), il parabrezza maggiorato (utilissimo, dato che quello di serie non garantisce un&rsquo;adeguata protezione aerodinamica) e il kit tappi specchietti retrovisori in alluminio spazzolato, davvero molto belli. Per il resto, sia il fanale anteriore, sia quello posteriore, entrambi caratterizzati da forme aggressive e futuristiche, sono a led. Il design &egrave; caratterizzato da un accentramento delle masse nella zona centrale del veicolo. In sostanza la parte centrale/basse della carena &egrave; molto voluminosa rispetto al codino, al cupolino e al serbatoio a dir poco minimalisti. L&rsquo;impianto di scarico termina sotto il motore: posizionare in basso lo scarico di un bicilindrico 1200 (che ha bisogno di collettori abbastanza lunghi per funzionare correttamente) ha costretto designer e ingegneri a pensare soluzioni fantasiose per posizionare altri componenti. La 1199 Panigale doveva essere una moto molto compatta e leggera, per&ograve; non si dovevano sacrificare le prestazioni. Ad esempio, &egrave; per lasciare spazio ai collettori di scarico che l&rsquo;ammortizzatore, che funge anche da elemento di stile, &egrave; stato montato sul lato sinistro. La 1199 Panigale R &egrave; disponibile solo nella colorazione Ducati Corse: il rosso la fa da padrone ma sulle carene ci sono delle zone color alluminio, materiale con cui &egrave; realizzato lo splendido serbatoio, che giustamente non &egrave; stato completamente verniciato. Sarebbe stato un vero peccato non poter ammirare la sua finitura spazzolata!    IN SELLA  Ad Austin, nel Texas (il teatro del nostro test) abbiamo utilizzato gomme Pirelli Diablo Supercorsa SC2 (quelle di serie, le Diablo Supercorsa SP, sono pi&ugrave; adatte ad un uso stradale) e i tecnici Ducati hanno scelto pressioni a caldo anomale per questo tipo di coperture: 2,3 bar all&rsquo;anteriore (anzich&eacute; 2,1 bar) e 1,7 bar al posteriore (invece di 1,9 bar). Con questa configurazione, la 1199 Panigale R ha funzionato meravigliosamente. Ricordiamo che sulla versione R &egrave; possibile abbassare il pivot (fino a 4 mm) per incrementare la trazione, ma in questa occasione abbiamo utilizzato la stessa altezza del perno del forcellone della 1199 Panigale S. Il grip al retrotreno non &egrave; stato mai un problema, tanto che abbiamo potuto utilizzare il traction control al livello 2 (di norma su questa moto si usa il livello 4), notando un funzionamento meno invasivo del sistema, che non ha generato un&rsquo;erogazione singhiozzante. Nei lunghi rettilinei del circuito texano abbiamo apprezzato il rinnovato allungo del bicilindrico Ducati, che non smette mai di spingere. Oltrepassati gli 8.000 giri il rombo il propulsore alza la voce e il rombo di scarico diventa prepotente senza risultare assordante. Fino a quando non si innesta la quarta marcia l&rsquo;avantreno galleggia sull&rsquo;asfalto, col contagiri digitale che sale velocemente verso il fondoscala (12.500 giri). In un attimo si raggiungono i 250 km/h e ora, grazie al rapporto finale pi&ugrave; corto (15/41 anzich&eacute; 15/39) anche in quinta ed in sesta il motore spinge, spinge e spinge ancora. Gestire queste prestazioni &egrave; meno difficile del previsto, perch&eacute; in sella alla 1199 Panigale R si sta comodi: il serbatoio stretto, consente di stringere bene la moto tra le gambe e la ciclistica &egrave; molto equilibrata ed estremamente reattiva. Purtroppo, quando l&rsquo;ago del contagiri oltrepassa i 7.500 giri, l&rsquo;entrata in coppia mette un po&rsquo; in crisi il pneumatico posteriore. Niente paura, il traction control tiene la situazione sotto controllo, per&ograve; con conviene chiamarlo in causa e sfidare la sorte. &Egrave; sufficiente ritardare di pochi decimi di secondo l&rsquo;apertura dell&rsquo;acceleratore per evitare di alterare l&rsquo;equilibrio ciclistico del veicolo. Certo, questo significa non sfruttare a fondo le potenzialit&agrave; della moto, per&ograve; &egrave; il modo migliore per guidare con fluidit&agrave;, evitando di far fare gli straordinari alle gomme. La 1199 Panigale R ha una maneggevolezza fuori dal comune e una precisione direzionale sconosciuta alla maggior parte delle sportive di serie. Quando arriva il momento di frenare, anche alle altissime velocit&agrave;, basta sfiorare la pompa freno anteriore. La velocit&agrave; cala cos&igrave; rapidamente che per un attimo manca il respiro. In questi frangenti la moto rimane stabile, l&rsquo;avantreno non affonda troppo velocemente, quindi chi &egrave; abituato ad utilizzare il freno posteriore, potr&agrave; farlo senza innescare l&rsquo;intraversamento del retrotreno. Quando arriva il momento di inserire la moto in curva, basta pensare di iniziare la manovra per trovarsi gi&agrave; al punto di corda, ad inclinazioni pazzesche, con le pedane che strusciano sull&rsquo;asfalto. Ecco, a proposito delle pedane... rappresentano un limite. In pista, quando si utilizzano gomme in mescola racing, sarebbe meglio acquistare dei componenti da corsa, per avere una maggiore luce a terra. A centro curva l&rsquo;avantreno della 1199 Panigale R trasmette feeling. Il sottosterzo &egrave; inesistente, pertanto non serve restare piegati a lungo, anche perch&eacute; si ha sempre voglia di spalancare il gas, per consentire al bicilindrico bolognese di sfogarsi. Ascoltarlo e sfruttarlo &egrave; un piacere. In uscita di curva, per&ograve;, bisogna reggersi forte, perch&eacute; l&rsquo;imbottitura della sella &egrave; molto scivolosa e quando il motore decide che &egrave; arrivato il momento di correre, lui lo far&agrave;... con o senza di voi!  

Ducati 1199 Panigale R

La &ldquo;cattiva&rdquo; in famiglia arriva anche a Mandello, visto che con poche modifiche la California si trasforma da turistica a drag-racer  &nbsp;  Cercare nuovi clienti in differenti nicchie di mercato pare cosa comune alle Case motociclistiche in questi tempi e Moto Guzzi non fa eccezione. Partendo dalla California, modello che dal 1968 &egrave; una pietra miliare della Casa, con poche e mirate modifiche la Guzzi ottiene un modello di indole decisamente pi&ugrave; piccante rispetto alla versione Touring, che abbiamo provato sullo scorso numero di In Moto. Con un sapore piu combattivo, la California Custom si rivolge a un pubblico pi&ugrave; giovane e diverso da quello oggi fedele al marchio. Guardando le politiche di Harley-Davidson forse questo pare qualcosa di scontato, ma accogliamo con entusiasmo la strada intrapresa da Moto Guzzi e crediamo porter&agrave; dei risultati. &Egrave; importante non confondere questa nuova California con la tipica giapponese che cerca di emulare le classiche custom americane con risultati insipidi, perch&eacute; questa &egrave; una moto decisamente ben fatta e dotata di un proprio carattere forte, percepibile non appena la si tocca con mano. La moto &egrave; gi&agrave; disponibile e il prezzo, pi&ugrave; abbordabile della versione Touring, parte da 17.300 &euro; f.c.  DA FERMO  Il design e la cura nei dettagli sono prettamente italiani e questa volta la Casa di Mandello ha deciso di creare una base solida che possa anche prestarsi a innumerevoli personalizzazioni. Varie parti, come i raiser manubrio e i loro fissaggi, sono stati volutamente mantenuti standard, in modo da poter facilmente essere sostituiti con quelli di terze parti. Il progetto &egrave; ancora fresco di vernice, ma siamo sicuri che presto vedremo nascere qualche special sponsorizzata dalla Casa. L&rsquo;aspetto della California Custom &egrave; caratterizzato da manubrio e sella bassi, che insieme a un interasse allungato la fanno apparire quasi schiacciata a terra. L&rsquo;indovinato mix tra eleganza e aggressivit&agrave; ha affascinato anche noi e l&rsquo;adozione dei cerchi totalmente neri e con logo rosso cromato e degli specchietti neri contribuiscono a incattivirla ulteriormente. La sensazione di qualit&agrave; &egrave; elevata, a partire dalla sella ultrabassa (720 mm da terra) con stampaggio a caldo del logo, per arrivare alle manopole con finiture cromate. Originale il largo serbatoio dotato di svasi inferiori che lasciano il posto ai cilindri, questi ultimi sono arricchiti da coperchi valvole lucidati e di grande effetto visivo.&nbsp; Priva delle borse, tutta la parte posteriore resta a vista, compreso il forcellone e i doppi ammortizzatori, che in questo caso hanno il serbatoio del gas separato. Da notare la finezza degli slider montati sotto le pedane, che evitano di rovinarle in curva nelle frequenti strisciate sull&rsquo;asfalto. Naturalmente il pacchetto di accessori a corollario &egrave; molto nutrito e comprende due capienti borse rigide, con stessa forma della touring, ricoperte in pelle, che completano perfettamente l&rsquo;aspetto della moto. Oltre a queste, sulla nostra California monteremmo anche i terminali slip on dotati di dB-killer e il piccolo parabrezza che funge da cupolino.. Il possessore della Custom che volesse trasformarla in Touring, dovrebbe affrontare una spesa di circa 3.500 &euro;.    IN MARCIA  Bassa com&rsquo;&egrave;, salire in sella alla California &egrave; facilissimo e il baricentro basso permette facili manovre da fermo rispetto agli oltre 300 kg dichiarati. Manubrio poco alto e pedane avanzate, rendono il bacino il punto pi&ugrave; arretrato e su cui grava gran parte del peso del pilota. Fortunatamente la sella &egrave; decisamente accogliente e risulta poco affaticante anche dopo 5 ore passate in sella. La partita Bar&ccedil;a-Real non ci aiuta nel primo breve tour cittadino di Barcellona, dove restiamo invischiati in un traffico pesante, con una marea di scooteristi frettolosi che ci passano da tutte le parti indossando sciarpe rosse e blu. In citt&agrave; la mappa touring &egrave; un po&rsquo; scorbutica nei frequenti apri-chiudi, quando si deve lavorare spesso di frizione per mantenere l&rsquo;andatura regolare a bassissimo numero di giri. Divertente per&ograve; la California quando si parte al semaforo, quando aprendo decisi si viene colpiti da un&rsquo;emozionante spinta frutto suoi 120 Nm di coppia e 96 CV di potenza! Qualche collega straniero sta per&ograve; esagerando con la frizione e ad ogni scattare del verde lascia alle spalle un acre odore di materiale d&rsquo;attrito vaporizzato. Questo ci fa meditare sulla effettiva resistenza dell&rsquo;organo monodisco che deve gestire tanta coppia. Negli stop al semaforo la ricerca della folle non &egrave; sempre immediata e costringe a qualche tentativo extra. Il nero della moto contrasta con la brillantezza delle cromature accese dalle luci cittadine, e l&rsquo;effetto della sagoma riflessa sulle vetrine &egrave; decisamente intrigante. I 300 e passa kg della Custom a bassa andatura non sembrano tali e affrontando rotonde e svolte strette la moto si comporta meglio della sorella Touring, probabilmente grazie al manubrio pi&ugrave; basso e alle pi&ugrave; alte sospensioni posteriori. Quella che ci accoglie la mattina successiva &egrave; una giornata non troppo fredda e dal cielo terso, perfetta per il nostro test. Oggi sono in programma 120 km e nei primi 25 km di autostrada subiamo subito la fredda e forte pressione dell&rsquo;aria, che con le gambe posizionate cos&igrave; in avanti non riusciamo a contrastare senza aggrapparci al manubrio. Gi&agrave; a 120 km/h la cosa si fa poco confortevole, ma almeno possiamo contare sul motore elasticissimo, che in sesta marcia risulta molto gradevole anche a livello vibrazioni, trasmettendole sempre in maniera poco fastidiosa. La ciclistica da passista regala una stabilit&agrave; elevata, che induce grande fiducia alle alte andature. Con il passare dei km impariamo a fidarci sempre pi&ugrave;, aumentando il passo e quasi dimenticando di avere a che fare con una bestiona di questa stazza.  L&rsquo;ambiente ideale della California Custom sono i percorsi extraurbani non troppo tortuosi, dove l&rsquo;elasticit&agrave; del propulsore e il buon rigore della ciclistica permettono di dare piacere a chiunque stia impugnando il manubrio. Ad ogni apertura del gas corrisponde una corposa spinta condita dal profondo pulsare dei due grossi cilindri. Se sulla versione Touring precedentemente provata il cambio ci era parso leggermente duro e gommoso, sulla Custom non possiamo dire altrettanto, perch&eacute; sebbene un po&rsquo; lento, ci &egrave; parso preciso e netto nell&rsquo;inserire ogni marcia. Affrontando fondi sconnessi intorno agli 80-100 km/h si apprezza l&rsquo;ottima taratura delle sospensioni, che ben sostenute e frenate idraulicamente non incappano praticamente mai in fondocorsa e contengono bene i trasferimenti di carico, tanto da trasmettere grande fiducia in ogni situazione. Nonostante si trovi fuori dal proprio ambiente ideale, nei tratti misti il rigore della ciclistica permette una buona dose di divertimento, e una volta prese le misure con una certa tendenza ad allargare in tutta la percorrenza di curva, ci ha deliziati con un buon comportamento in staccata e gustose accelerazioni fuori da ogni curva. Una loda va fatta al reparto freni, che sotto il controllo di un ABS davvero poco percettibile, permette ottime decelerazioni con poco sforzo sulla leva al manubrio. Peccato che le pedane a piattaforma rendano lenta l&rsquo;azione sul freno posteriore, ma una volta &ldquo;trovato&rdquo; il pedale col piede, la frenata al posteriore &egrave; perfettamente gestibile. La mappa &ldquo;pioggia&rdquo; taglia il 25% di potenza e coppia su tutto l&rsquo;arco di utilizzo e a nostro avviso non va usata solo col bagnato, ma anche tutte le volte che si cerca rilassatezza o quando si vogliono evitare testate del passeggero ad ogni apri-chiudi. Unica controindicazione di questa mappa &egrave; il freno motore molto ridotto, che aumenta ulteriormente la gi&agrave; marcata tendenza ad allargare in ingresso curva. Tra &ldquo;turismo&rdquo; e &ldquo;veloce&rdquo; potenza e coppia restano le stesse, ma nella seconda mappa il ride-by-wire collega con pi&ugrave; prontezza polso destro e farfalla di aspirazione, rendendo la California pi&ugrave; reattiva. La ridotta porzione di sella dedicata al passeggero e la mancanza di maniglie a cui ancorarsi rendono la vita non troppo facile a chi sta dietro; fortunatamente il catalogo ricambi comprende anche una sella con parte posteriore pi&ugrave; ampia.  

Moto Guzzi California 1400 Custom

Tante le modifiche per la nuova F4 che non si parla di un &ldquo;model year&rdquo;, ma di una moto nuova. Sotto il solito vestito infatti, si nasconde una rinnovata ciclistica e un motore davvero potente, finalmente controllati da una piattaforma elettronica efficace  &nbsp;  &nbsp;  &Egrave; impressionante lo sforzo che la MV Agusta sta compiendo negli ultimi anni. Una vera e propria cascata di novit&agrave; e di nuovi modelli che ci vengono presentati con intervalli di pochi mesi l&rsquo;uno dall&rsquo;altro. F3, Brutale 675 cm3, Brutale 800 cm3, e le nuove F4 e F4RR. A breve proveremo anche la Rivale, andando a completare una lunga serie di presentazioni che la Casa varesina sta mettendo in atto. Brian Gillen (responsabile piattaforma tre e quattro cilindri MV Agusta), ha dichiarato che da due anni a questa parte sono stati investiti 25 milioni di Euro in ricerca e sviluppo, e nell&rsquo;industrializzazione dei nuovi modelli. Un impegno che fa sorgere una domanda: oggi che il settore delle supersportive &egrave; notevolmente il pi&ugrave; colpito dalla crisi, ha senso investirci cos&igrave;? Brian risponde che per MV Agusta l&rsquo;imperativo &egrave; investire in tecnologie all&rsquo;avanguardia, poich&eacute; il mercato lo richiede. Essendo una delle Case pi&ugrave; prestigiose al mondo, non vogliono e non possono permettersi di rimanere indietro in tecnologia, indipendentemente dalla situazione economica. Per ora questo impegno &egrave; alle supersportive, e di conseguenza anche alle naked, ma non &egrave; detto che non si possa applicare su una nuova gamma di moto &ldquo;made in Varese&rdquo;. Indagando altrove, siamo riusciti ad ottenere qualche indiscrezione, e con molta probabilit&agrave; a breve potremmo assistere ad un ulteriore ampliamento della gamma MV Agusta. Magari si tratta dell&rsquo;ingresso nel segmento maxitourer con una moto, guarda un po&rsquo;, dal carattere molto sportivo...  DA FERMO  Ormai sono state spese tutte le parole disponibili per tanta grazia e bellezza. Vero, ma &egrave; vero anche che pur essendo una linea non pi&ugrave; attualissima, e distante dai dogmi che oggi impongono linee molto compatte e vestitini sexy e minuscoli, riesce comunque a strapparti un&rsquo;occhiata. Non puoi farci niente, l&rsquo;unica cosa &egrave; ammettere che nonostante gli anni &egrave; sempre maledettamente bella. Soprattutto la RR, che ha dalla sua una ricchissima dotazione tecnica. Come le sospensioni &Ouml;hlins che attirano immediatamente l&rsquo;attenzione grazie anche ai cavi elettrici a cui sono collegate che le danno un&rsquo;aria ancor pi&ugrave; prestigiosa. Oppure i cerchi superleggeri, che a guardarli sembra impossibile possano tenere, tanto sono rastremati. E ancora l&rsquo;impianto d&rsquo;illuminazione, composto da fanali con inserti a led, cos&igrave; ipnotici che staresti a guardarli per ore. Impossibile poi non notare le nuove pinze monoblocco della Brembo, quelle vere, che frenano molto forte. Se ci si sofferma a ricercare tutti i dettagli si capisce che in effetti del modello precedente questa moto ha l&rsquo;aspetto e poco pi&ugrave;. Molti i punti che hanno ricevuto innovazioni, e tutte rivolte ad aumentarne le prestazioni, ciclistiche e motoristiche.   IN SELLA  Per il lancio della nuova F4 &egrave; stato scelto il circuito spagnolo di Valencia, breve ma molto tecnico e guidato. A nostra disposizione c&rsquo;erano solamente tre turni, due con la F4 RR e uno con la &ldquo;base&rdquo;. Non molti ma sufficienti per rendersi conto della valenza dei progressi. La prima ad essere presa sotto esame &egrave; stata la RR, che ci &egrave; stata affidata con la mappa C (custom), studiata appositamente dai collaudatori per Valencia, ed il traction control posto al livello 6. Gi&agrave; dopo i primi giri, ha subito dimostrato di essere nettamente migliorata sotto l&rsquo;aspetto dell&rsquo;agilit&agrave;. Lampante, infatti, &egrave; una maggior leggerezza percepita nei cambi di direzione. Rispetto al precedente modello, passa da un&rsquo;inclinazione all&rsquo;altra con velocit&agrave; superiore, permettendo di essere pi&ugrave; veloci nelle &ldquo;esse&rdquo;. Non &egrave; ancora al livello delle pi&ugrave; agili sportive del suo segmento, ma non occorre guidarla fisicamente come accadeva in passato, poich&eacute; asseconda maggiormente i movimenti del pilota. Consapevoli del poco tempo a disposizione, abbiamo cercato di spingere dopo pochi giri, e sorprendentemente abbiamo riscontrato una certa facilit&agrave; di adattamento. La ciclistica di questa moto non cambia molto dalla passata edizione, ma la variazione del pivot del forcellone, che ora &egrave; posto pi&ugrave; in alto di 3 mm, e l&rsquo;adozione dei cerchi pi&ugrave; leggeri, conferiscono una migliore predisposizione ad inserirsi nelle curve. Ora va &ldquo;a caccia dei cordoli&rdquo; con una rapidit&agrave; nettamente superiore. Tale predisposizione permane anche a centro curva, dove si dimostra altrettanto efficace nel mantenere la linea. Le note dolenti sono arrivate in uscita, dove il motore molto potente e il traction control troppo invasivo non andavano d&rsquo;accordo. Ad ogni accelerazione, un&rsquo;esplosione di potenza cercava di estrarre la moto dalla svolta, ma immediatamente veniva soffocata in modo discontinuo dal sistema di controllo trazione. Il risultato &egrave; una moto piuttosto imbizzarrita, alla quale non sai mai esattamente quanto gas puoi chiedere. Durante il turno abbiamo tolto due punti al traction control, e subito c&rsquo;&egrave; stato il miglioramento. Nella seconda prova siamo entrati direttamente con il livello posto alla seconda posizione, e la sensibilit&agrave; del comando gas addolcito. Il risultato &egrave; stato immediato: in uscita di curva la moto &egrave; risultata molto pi&ugrave; libera, senti che quello che le chiedi ti viene dato senza troppi filtri e con continuit&agrave;. Guidare forte &egrave; stato decisamente pi&ugrave; appagante perch&eacute; si dispone di un&rsquo;ottima ciclistica e di un motore che va davvero forte, ma mai fuori controllo. L&rsquo;erogazione &egrave; abbastanza lineare, ma sono avvertibili due cambi di carattere. Uno intorno ai 9.000 giri, dove la spinta aumenta sensibilmente, ed uno ai 10.500 giri, punto in cui i cornetti di aspirazione si accorciano. Questo regime &egrave; in sostanza quello in cui ci si trova nella maggior parte delle curve, e nelle marce pi&ugrave; basse, seconda o terza, in accelerazione con moto ancora piegata, rende pi&ugrave; impegnativa la guida. La RR arriva in un attimo ai 14.000 giri, dove interviene il limitatore, e lo fa con una rapidit&agrave; impressionante. La novit&agrave; che pi&ugrave; ci ha gasato &egrave; il cambio elettronico, che come sulla F3 permette il cambio marcia senza dover togliere il gas. Sulla F4 per&ograve; funziona anche in scalata (cosa che sino ad oggi avevamo provato solo sulle SBK ufficiali). Basta toccare la leva del cambio senza usare la frizione, e la moto d&agrave; un colpo di acceleratore permettendo alla marcia inferiore di entrare. Questo sistema aiuta moltissimo in pista. La meccanica del cambio &egrave; ancora perfettibile, poich&eacute; utilizzandolo in modo aggressivo tende comunque ad essere ruvido, soprattutto in scalata.  Abbiamo provato anche la F4 base, e ci &egrave; davvero piaciuta. Il motore &egrave; pi&ugrave; dolce e l&rsquo;erogazione &egrave; pi&ugrave; lineare, a un regime pi&ugrave; basso. Grazie alle bielle pi&ugrave; pesanti infatti, ha una &ldquo;schiena&rdquo; maggiore ai medi regimi e il limitatore entra ai 13.600 giri. Tradotto in guida, significa approcciarsi a una moto pi&ugrave; fruibile e meno furiosa della RR. Anche la ciclistica &egrave; differente, si avverte una maggiore solidit&agrave; nei cambi di direzione ed occorre essere pi&ugrave; &ldquo;fisici&rdquo;: l&rsquo;inserimento in curva non &egrave; cos&igrave; fulmineo come la &ldquo;capoclasse&rdquo;. Le sospensioni a nostro avviso erano da indurire leggermente per la pista di Valencia, ma l&rsquo;F4 ci ha comunque fatto divertire come matti. Il giudizio &egrave; molto buono, e in generale possiamo dire che la moto &egrave; cresciuta molto, rivelandosi potente, pi&ugrave; agile della F4 che conoscevamo. L&rsquo;elettronica funziona bene, nonostante il poco tempo per perfezionare le mappe. Sappiamo che il progetto ride by wire sulla F4 gira solo da qualche mese, quindi tanto di cappello per i tecnici! 

MV Agusta F4 - F4RR

C&rsquo;&egrave; molto di pi&ugrave; di un sofisticato sistema ABS sull&rsquo;ultima nata Aprilia, che &egrave; la supersportiva tecnologicamente pi&ugrave; avanzata mai uscita dai capannoni di Noale  &nbsp;  &nbsp;  Andiamo subito al punto: oltre all&rsquo;avanzato sistema di antibloccaggio delle ruote, studiato e sviluppato per garantire non solo la massima sicurezza su strada, ma anche la migliore performance in pista, questa quattro cilindri a V &egrave; diventata pi&ugrave; intelligente. Grazie all&rsquo;inserimento di un nuovo parametro nella gestione del traction control (la velocit&agrave;), ora la centralina Magneti Marelli &egrave; diventata pi&ugrave;&nbsp; precisa, e ora &egrave; in grado di capire se stiamo affrontando un tornantino o un curvone ad alta velocit&agrave;, e quindi intervenire con i tagli di potenza pi&ugrave; mirati. E questa non &egrave; certo una cosa da poco, visto che sulle concorrenti quando il traction control &egrave; correttamente settato per i curvoni, diventa tremendamente invasivo nei tornanti. Insomma, questa RSV4 &egrave; quanto di meglio si possa chiedere a una supersportiva in quanto a tecnologia. E il merito &egrave; dell&rsquo;esperienza maturata nelle corse. Soprattutto nell&rsquo;ultima stagione, dove la moto si &egrave; laureata campione del mondo con Biaggi. Con l&rsquo;arrivo dell&rsquo;ABS, il sistema APRC, che significa Aprilia performance ride control, si completa, confermandosi il pacchetto pi&ugrave; completo ed evoluto sul mercato. Basta pensare che mixando tra di loro gli 8 livelli di traction contron (ATC), i 3 di anti-wheelie (AWC), i 3 di ABS e le 3 mappe motore, si arriva ad avere 216 combinazioni differenti. Ma non &egrave; finita qui, visto che questa quattro cilindri a V &egrave; dotata anche di Launch Control (ALC) e di Quick Shift (AQS). Troppo? Pu&ograve; darsi. Ma in questo modo per l&rsquo;utente &egrave; davvero possibile cucirsi addosso una moto che non solo &egrave; primatista in elettronica (la RSV4 &egrave; l&rsquo;unica moto stradale ad avere tutte le mappe omologate per l&rsquo;uso stradale), ma anche nella ciclistica, visto che &egrave; l&rsquo;unica del mercato ad avere un telaio completamente regolabile come sulle moto da corsa. Ma non &egrave; finita, visto che quest&rsquo;ultima versione della RSV4 ha anche 4 CV in pi&ugrave;, per un totale di 184 (dichiarati). Tutto questo ben di Dio per&ograve; si fa pagare. E non poco: 22.390 Euro f.c.  DA FERMO  Peccato che non sia cambiata la colorazione. Una moto come questa avrebbe meritato qualcosina di pi&ugrave; di una differente finitura superficiale sui bordi dei fanali anteriori. Perch&eacute; cos&igrave; sembra davvero una &ldquo;normale&rdquo; RSV4 Factory. Ed invece si tratta della 4 cilindri a V pi&ugrave; evoluta mai uscita da Noale. Se la guardi da vicino per&ograve; ti rendi conto che il serbatoio &egrave; differente. Sembra quasi pi&ugrave; racing con quella parte superiore pi&ugrave; bombata. Anche la sezione che si congiunge alla sella &egrave; differente, ora &egrave; pi&ugrave; verticale. Ma per notarlo serve un occhio molto attento. Differente &egrave; anche lo scarico, che non ha pi&ugrave; i rivetti nella parte finale, dotata anche di un foro pi&ugrave; grande, ma stiamo parlando davvero di dettagli che passano quasi inosservati. Perch&eacute; questa RSV4 ABS continua a mantenere il nero lucido come base e i cupolino, codino e fregi sulla carena in rosso acceso. Le ruote rimangono color oro e i particolari in fibra di carbonio non mancano, anche se &egrave; possibile arricchirli con numerosi accessori disponibile nel catalogo Aprilia. Bella e cattivissima ma, forse, qualche tocco differente di colore non avrebbe guastato.   IN SELLA  Chi guida regolarmente una RSV4, salendo sulla versione ABS, noter&agrave; subito che il serbatoio &egrave; diverso, soprattutto nella parte posteriore, che &egrave; pi&ugrave; &ldquo;ingombrante&rdquo; nella parte superiore e che la sella &egrave; leggermente pi&ugrave; bassa. Ma a parte queste modifiche, l&rsquo;ultima nata della Casa di Noale non cambia rispetto al modello precedente. Ci&ograve; che cambia davvero e che si apprezza maggiormente &egrave; la superiore precisione della gestione elettronica del motore e una erogazione pi&ugrave; piena a tutti i regimi, rispetto al modello Factory precedente. Nei pochi giri nei quali abbiamo avuto modo di provare quest&rsquo;Aprilia sul tecnico e difficilissimo tracciato di Aragon, la RTSV4 si conferma la moto pi&ugrave; facile della sua categoria. L&rsquo;erogazione del quattro cilindri a V &egrave; molto fluida, con la potenza spalmata bene in un arco di regime molto ampio. Quando si guida una RSV4 si ha l&rsquo;impressione che il propulsore sia meno potente di quanto in realt&agrave; &egrave;. Gran parte del merito va al sistema ride by wire che garantisce un feeling incredibile. Non ci sono mai ritardi sia nell&rsquo;apertura sia nella chiusura del gas e anche quando i sistemi elettronici di controllo entrano in funzione non disturbano mai la guida. Nemmeno l&rsquo;ABS, visto che non d&agrave; il classico e fastidioso ritorno sulla leva del freno quando entra in funzione. Tutto su questa Aprilia &egrave; stato studiato per dare il massimo in pista. E l&rsquo;obiettivo &egrave; stato centrato a pieno. Giusto per dare dei numeri, i tecnici della Casa di Noale dichiarano che sulla stessa pista, e con lo stesso pilota e le stesse gomme, questa RSV4 &egrave; pi&ugrave; veloce di mezzo secondo rispetto al modello precedente.  Incredibile poi il lavoro del Traction Control, che adesso &egrave; in grado di capire in che tipo di curva si trova la moto in base alla velocit&agrave; di percorrenza. Sono spariti i fastidiosi tagli di potenza in uscita dai tornantini, grazie alle migliorie apportate al sistema elettronico. Prima, per avere i giusti &ldquo;tagli&rdquo; sia nei curvoni sia nelle curve da prima marcia, era indispensabile modificare manualmente il settaggio del sistema. Cosa tra l&rsquo;altro fattibile nel corso del giro con la RSV4, ma che distraeva non poco la guida. Nemmeno in uscita dal lentissimo tornantino del tracciato Superbike di Aragon, anche con l&rsquo;ATC settato su 6 non ci sono mai stati bruschi interventi dell&rsquo;elettronica. Siamo vicini alla perfezione. La cosa positiva di questa moto &egrave; che tutta l&rsquo;elettronica non disturba affatto la guida. Anzi, permette di ripetere i propri migliori passaggi, giro dopo giro. E anche in staccata il funzionamento dell&rsquo;ABS &egrave; impeccabile. Quando settato su 1, ovvero su Track, &egrave; possibile giocare col posteriore della moto in staccata (che rimane sempre ballerino sulla moto di Noale) e godersi lunghi traversi&nbsp; senza il bench&eacute; minimo fastidioso &ldquo;taglio&rdquo;. La transizione tra frenata e inizio curva &egrave; rapidissima, con la RSV4 ci si inserisce bene fino alla corda, con la gestione della frenata che risulta sempre impeccabile. Il lavoro di sviluppo dell&rsquo;ABS &egrave; stato fatto in buona parte in pista ed &egrave; per questo che funziona cos&igrave; bene. In uscita dalle curve invece l&rsquo;anti-wheelie &egrave; qualcosa di eccelso. Spalanchi il gas, la RSV4 alza leggermente la ruota anteriore e la tiene l&igrave;, a pochi centimetri dall&rsquo;asfalto senza bruschi tagli di potenza. La moto fa strada, senza che si abbia l&rsquo;impressione che l&rsquo;elettronica entri in funzione. Anche in questo frangente si percepisce il diretto legame che a Noale c&rsquo;&egrave; con le corse. E il merito &egrave; tutto del pacchetto APRC, pu&ograve; contare su una piattaforma inerziale, con due girometri e due accelerometri che permettono alla centralina di ricostruire le condizioni dinamiche della moto e intervenire di conseguenza sul controllo motore. Ci&ograve; nonostante il vero punto di forza della RSV4 &egrave; l&rsquo;equilibrio ciclistico. Il telaio &egrave; stato studiato grazie all&rsquo;esperienza maturata nel mondiale 250. Si capisce subito che questa moto &egrave; nata per andare forte in circuito ed infatti &egrave; oggettivamente difficile dire quanto l&rsquo;elettronica aiuti la ciclistica o viceversa, perch&eacute; su una pista impegnativa come quella di Aragon, con tantissime curve cieche dove &egrave; difficile capire in pochi giri i corretti punti di apertura del gas, la RSV4 rimane sempre precisa e stabile, anche quando non si &egrave; proprio garbati sui comandi. Bastano poche curve per trovare subito il giusto feeling con questa Aprilia, tanto che sembra di averla sempre avuta nel proprio garage.   &nbsp;

Aprilia RSV4 Factory APRC ABS

Divina: le cromature vintage, le alettature dei cilindri, il serbatoio in vero metallo, lungo e compatto. Facile, perch&eacute; &egrave; una Honda, e veloce quanto basta per non rimanere indietro. L&rsquo;abbiamo aspettata a lungo, ed eccola  &nbsp;  &nbsp;  Bene. E ora chi lo dice a quelli della Honda che adesso, con l&rsquo;arrivo della CB 1100, possono buttare via trenta e rotti anni di progetti e moto sciocche, cancellare tutti quei tristissimi piani di ottimizzazione e piattaforme comuni che ubriacano di passione come la... birra analcolica? La moto del futuro ha le forme conturbanti del passato, quattro cilindri belli larghi che spuntano da tutte le parti e una testata bialbero che torna a ricordare le orecchie di Topolino. La CB 1100 &egrave; la moto che mancava nel listino della Casa motociclistica pi&ugrave; importante del mondo. Ci hanno messo un po&rsquo; a tirarla fuori: i primi bozzetti risalgono al &lsquo;99, una vita fa, e solo gli ottimi risultati ottenuti sul mercato interno (dove la CB 1100 &egrave; arrivata nel 2009) e la grande richiesta degli importatori europei hanno convinto i vertici Honda a dare un po&rsquo; di respiro a un progetto che merita il rullo di tamburi sui mercati di tutto il mondo. La modernit&agrave; ha il profumo del rimpianto: nulla &egrave; come era, ma tutto ci somiglia. Il raffreddamento ad aria, il telaio a doppia culla, la coppia di ammortizzatori e la forcella larga sotto e stretta su. L&rsquo;elettronica c&rsquo;&egrave; ma rende solo i giochi un po&rsquo; pi&ugrave; semplici: la CB 1100 parte sempre e subito, che faccia freddo o caldo, e lascia all&rsquo;aria il suo profumo. Bello guardarla e guidarla. Semplice, leggera quando le ruote ruotano, silenziosa. 90 cavalli che spingono, e una carrozzeria che lascia proprio tutto in vista. La nostalgia ha il suo prezzo: 10.800 &euro; cos&igrave; com&rsquo;&egrave; e una possibilit&agrave; finora troppo limitata di modificarla a piacimento. Probabilmente per&ograve; vi accompagner&agrave; tutta la vita e si svaluter&agrave; solo quando avremo bisogno di un altro passato da ricordare.  DA FERMO  Difficile, per chi non c&rsquo;era, immaginare&nbsp; il peso del cambiamento che la prima CB 750 port&ograve; nel mondo delle due ruote. Fu proprio questa moto, infatti, a inventare la &ldquo;middle-class&rdquo; motociclistica. Le prestazioni, la cura costruttiva e la tecnologia diventarono, effettivamente, alla portata dei pi&ugrave;. La moto non era pi&ugrave; un semplice mezzo di trasporto o un oggetto destinato a pochi fortunati. Era diventato un sogno tangibile e arrivabile. E gli appassionati, che avevano tre lire in tasca e tanti sogni nel cassetto, ci si buttarono come api sul miele. La prima CB sdogan&ograve; la passione. Honda per&ograve; ci ha messo troppo a elaborare le voglie e le necessit&agrave; dei motociclisti di oggi. Avrebbe potuto precorrere i tempi, ancora una volta, commercializzando lo splendido prototipo di CB presentato nel 1999, anticipando, di molto, le altre Case. La CB 1100 arriva invece in Europa in questo inizio 2013, con quattro anni di ritardo rispetto al mercato interno giapponese e a quello australiano. &laquo;Le incertezze della vostra economia ci hanno suggerito di aspettare&raquo; ci ha rivelato l&rsquo;ingegner Fukunaga (project leader Honda). Eccoci quindi ora e finalmente al cospetto di una moto che, apparentemente e per chi ama il genere, non ha difetti. Ben fatta, ben costruita, divertente. La linea non dice nulla di nuovo, ma l&rsquo;eco di un profilo immortale arriva preciso fino ai giorni nostri. Non manca nulla: il bellissimo serbatoio allungato &egrave; un pezzo di vero metallo, il motore a quattro cilindri ha l&rsquo;alettatura fra i cilindri e il coperchio delle valvole non mente sull&rsquo;architettura della distribuzione. La ciclistica vanta una tecnologia moderna sopraffatta da un aspetto che pi&ugrave; classico non si pu&ograve;. Cosa avrebbero potuto fare di pi&ugrave; i tecnici e i designer Honda? Corredare il tutto con una bella coppia di cerchi a raggi, lucidi, classicissimi. Un po&rsquo; di cromo non avrebbe fatto male nemmeno al supporto strumenti, che &egrave; uno dei pochi optional, come non ha fatto male ai bellissimi parafanghi in acciaio. Avrebbero potuto anche pensare una bella lista di accessori con cui personalizzare davvero una moto moderna e gi&agrave; eterna. Un catalogo dove pescare gli elementi che oggi come allora ci farebbero sognare.   IN SELLA  Facile, amichevole. La CB 1100 non &egrave; diversa da come ci si aspetta da una classica... costruita dalla Honda. La sella &egrave; bassa da terra e abbraccia un serbatoio stretto e lungo, comodissimo da circondare con le gambe. Bene il manubrio, largo il giusto e comodo da impugnare: la ruota anteriore si controlla con facilit&agrave; e sicurezza mentre i comandi e i blocchetti elettrici regalano istantaneamente feeling e sicurezza. Le leve di freno e frizione sono ben distanziate dal manubrio: ottima per entrambe la modulabit&agrave;, solo discreta invece la potenza dell&rsquo;impianto frenante. La CB 1100 accetta qualsiasi tipo di trattamento ma &egrave; ben pi&ugrave; divertente ed appagante lasciarsi cullare dallo splendido tiro del motore, sfruttare la frenata combinata (utilizzando il freno posteriore) e godere della splendida gentilezza con cui questa moto esaudisce tutti i desideri del pilota. Il cambio non &egrave; morbidissimo, specialmente a motore freddo, ma l&rsquo;abbondanza di coppia ai bassi e medi regimi permette di sfruttare appieno le doti del quattro cilindri. Comoda, la sella &egrave; ampia e sufficientemente imbottita, e leggera, specialmente una volta in movimento. Nelle manovre da fermo il raggio di sterzata e la facilit&agrave; con cui si pu&ograve; toccare il suolo con entrambi i piedi (anche per i piloti meno dotati) agevolano non poco la praticit&agrave;. La posizione di guida &egrave;, come ovvio, molto rilassata: la luce a terra &egrave; sostanziosa e permette pieghe di tutto rispetto ma la posizione delle gambe non &egrave; per nulla sacrificata. Anche l&rsquo;ingombro dei carter motore, che fuoriescono non poco dalla sagoma della moto, non disturbano in alcun modo durante la guida.  La CB 1100 &egrave; una di quelle moto da cui non si vorrebbe scendere mai. Non ha segreti, tutto &egrave; esattamente come deve essere. Un motore corposo ma mai arrabbiato, una ciclistica che segue perfettamente i voleri del pilota e un piacere che non deriva solo da queste, positive, caratteristiche meccaniche. Salire in sella a questa naked Honda vuol dire riavvicinarsi ad un piacere di guida puro e ancestrale, lontano dalle verit&agrave; delle prestazioni. Tutto funziona a meraviglia, ovvio: la modernit&agrave; &egrave; tanto nascosta quanto presente, nonostante il sapore inconfondibilmente retr&ograve;. Il quattro cilindri ronza silenziosissimo a tutti i regimi e risponde perentorio ad ogni manata sulla manopola destra. I giri disponibili sono molti, ma &egrave; quasi inutile sfruttarli tutti. La coppia &egrave; disponibile da subito e la riserva di potenza &egrave; sufficiente a sfruttare anche le marce pi&ugrave; alte a ridotta velocit&agrave;. Difficile stabilire quale sia l&rsquo;ambiente ideale per godere di tutte le qualit&agrave; della CB 1100: in citt&agrave; si guida facilmente, gli ingombri sono irrisori e l&rsquo;altezza da terra non crea impiccio a nessuno. La dolcezza di erogazione e la grande modulabilit&agrave; dei comandi, in particolare della frizione, permettono una conduzione tranquilla e senza alcun pensiero. Le moderne infrastrutture spagnole ci hanno per&ograve; permesso di saggiare un&rsquo;altra, fondamentale, caratteristica di questa moto. Ciclistica e motore sono accordati secondo i precisi canoni Honda. Le curve scivolano leggere sotto le ruote e si lasciano raccordare senza alcuno sforzo. La moto segue i pensieri del pilota mettendo sul piatto un&rsquo;ottima tenuta di strada e un comportamento ciclistico irreprensibile: la discesa in piega &egrave; rapida e a centro curva la stabilit&agrave; &egrave; elevatissima. S&igrave;, la coppia di ammortizzatori e la forcella a steli tradizionali sorpassano le aspettative e, anche dove ci si lascia andare, la fiducia non viene mai meno. Cosa c&rsquo;&egrave; di grandioso dietro una moto come questa? Forse nulla, ma &egrave; la semplicit&agrave; che lascia senza parole. Il piacere di impugnare un manubrio che &egrave; largo e arcuato il giusto, di sentire il fruscio di una meccanica che lavora precisa proprio sotto i nostri occhi.  Quando ci si mette alla guida della CB si viene catapultati in un mondo in cui le prestazioni non sembrano contare pi&ugrave; nulla e la moto torna ad essere quello che &egrave;: uno strumento di piacere. Nessun riparo aerodinamico, ovvio. Il vento soffia in faccia al pilota i suoi odori e sono solo le spalle a contrastare la spinta di una forza contraria. La posizione di guida &egrave; eretta e, se si va di corsa, ci si stanca. Quasi superfluo parlare di vibrazioni: appaiono in forma lieve solo se si tira il collo al quattro cilindri. Ai medi si scivola via a velocit&agrave; autostradali senza alcun tremore o rumore. La modernit&agrave; che si nasconde dietro alle linee lavora per&ograve; molto bene: l&rsquo;ABS &egrave; unito a una frenata combinata che d&agrave; sicurezza e immediato feeling. Nelle pinzate di emergenza la risposta &egrave; precisa e sicura. &Egrave; sempre difficile trovare dei difetti alle cose semplici e fatte con il cuore. Honda ha lavorato su concetti espressi con successo gi&agrave; 40 anni fa, ottimizzando il tutto con la tecnologia e il sapere moderno. Il risultato ottenuto &egrave; una moto che si guida in tutti i frangenti senza alcun pensiero che non sia quello di godersi il momento e il paesaggio, che mantiene un comportamento pi&ugrave; che equilibrato in tutte le condizioni di guida e che non sfigura di fronte alle naked pi&ugrave; moderne, anche quando si esagera un po&rsquo;. Solo il cambio, leggermente duro e rumoroso a freddo, merita un appunto ma, nell&rsquo;insieme, &egrave; una nota che stona davvero poco. Si poteva forse risparmiare qualche chilogrammo: la prima sensazione appena saliti in sella &egrave; di compattezza, non di leggerezza. Basta per&ograve; dare vita al quattro cilindri per annullare questa sensazione. Inoltre, nella maggior parte dei casi, togliere peso vuol dire lasciare il metallo in favore della plastica. A cavallo della nuova Honda CB 1100 &egrave; giusto sentire il freddo del serbatoio ed &egrave; bello vedere i carter spuntare dalla sagoma del serbatoio. La leggerezza, qui, non &egrave; una questione motociclistica. 

Honda CB 1100

Come si migliora la perfezione? La BMW ha impiegato 5 anni per rispondere, e ha evoluto la sua GS, crossover che rappresenta il riferimento del mercato. Una autentica rivoluzione  &nbsp;  &nbsp;  La GS &egrave; una moto importantissima per BMW; rappresenta la spina dorsale della sua gamma. &Egrave; la moto per cui BMW &egrave; famosa nel mondo, celebrata anche dal grande successo della serie televisiva Long Way Round (il viaggio di oltre 30.000 km fatto dall&rsquo;attore scozzese Ewan McGregor e dall&rsquo;amico Charley Boorman su due R 1150 GS). Pur avendo raggiunto nella versione 1200 il suo nono anno di produzione, la R/GS resta la crossover pi&ugrave; venduta nel mondo e continua a vincere numerosi test comparativi. BMW ha venduto oltre 180.000 unit&agrave; dell&rsquo;ultima GS raffreddata ad aria. In buona sintesi, la R 1200 GS &egrave; il punto di riferimento del mercato delle crossover, la dominatrice di una categoria che lei stessa ha inventato 30 anni fa. Nonostante questo, la mancanza di uno sviluppo equivale a una involuzione e la crescente pressione della concorrenza degli altri grandi costruttori, che dedicano molte risorse a un segmento in costante sviluppo, ha fatto s&igrave; che BMW abbia dovuto pensare a come rendere la GS ancora migliore. Il punto &egrave;: come si migliora la perfezione? BMW ha iniziato a pensare alla nuova GS gi&agrave; nel 2007. Non c&rsquo;&egrave; stata interruzione nel processo, da allora; questa moto ha avuto una gestazione di oltre cinque anni. Forse stiamo diventando vecchi, oppure la nuova GS raffreddata a liquido &egrave; davvero una moto bella. Le piccole modifiche convincono: resta una GS, robusta e funzionale, ma allo stesso tempo riesce ad essere elegante ed attraente. Siamo onesti, la vecchia 1150 era davvero bruttina. Con il modello di 1200 cm3 BMW aveva fatto un grande passo avanti dal punto di vista dello stile, e l&rsquo;edizione 2013 &egrave; andata oltre. La nuova GS &egrave; una moto molto attraente.  DA FERMO  Il boxer resta il boxer, anche se ora non &egrave; pi&ugrave; raffreddato ad aria ma a liquido. I due cilindri orizzontali sono ancora padroni della scena, perch&eacute; i due piccoli radiatori sono ben nascosti nei fianchetti. Il nuovo schema, con l&rsquo;aspirazione sopra le teste e lo scarico sotto, rende il design pi&ugrave; armonico. Dal posto di guida si nota subito una nuova strumentazione, completa come sempre e come ci aspettiamo da una BMW. &Egrave; facile da leggere; il tachimetro e il contagiri sono analogici ma c&rsquo;&egrave; un grosso display digitale nel quale vengono visualizzate numerose informazioni. Il nuovo fanale anteriore completamente a led (optional) &egrave; una prima mondiale. Funzionale ed elegante, rende la GS molto bella anche se osservata frontalmente. Le altre GS non erano cos&igrave; belle. Tutta la moto &egrave; contraddistinta da lievi modifiche, come i nuovi comandi, derivati da quelli della serie K1300... Esatto, finalmente il comando degli indicatori di direzione &egrave; unico e montato sul blocchetto sinistro. Altre variazioni, ben pi&ugrave; importanti, comprendono lo spostamento del forcellone da destra a sinistra, il diverso passaggio scarichi e l&rsquo;assenza di corpi farfallati, che non interferiscono pi&ugrave; con i piedi del pilota. Anche il silenziatore &egrave; stato riposizionato, in parte per questioni estetiche ma anche per poter meglio gestire la moto in fuoristrada senza rischiare di spalmarsi addosso uno scarico rovente! Il nuovo boxer semi-raffreddato a liquido (sui cilindri ci sono ancora le alette) &egrave; tutto nuovo, cos&igrave; come le sovrastrutture, il telaio, il telaietto staccabile, le sospensioni semiattive, le pinze Brembo monoblocco, i cerchi e le gomme. In effetti c&rsquo;&egrave; poco del vecchio modello: anche sospensioni ed elettronica, gi&agrave; validissimi, sono stati completamente rivisti da BMW. Ora ci sono le sospensioni semiattive optional con il &ldquo;Dynamic ESA&rdquo;, con cinque diversi riding mode fra cui scegliere, tutti integrati con ABS e controllo di trazione (ASC), per offrire un pacchetto elettronico personalizzabile davvero impressionante. La GS ha talmente tanti optional che la cartella stampa potrebbe far affondare un natante di piccole dimensioni, ma l&rsquo;unico modo di scoprire quanto vada bene &egrave; solo uno: guidarla. La moto del test &egrave; full optional. Ha addirittura il navigatore, che pu&ograve; essere comandato sia manualmente, sia attraverso la rotella multifunzione sul manubrio sinistro. Salite sulla nuova BMW e la riconoscerete istantaneamente, ma troverete pi&ugrave; facile toccare terra, grazie alla sella leggermente pi&ugrave; stretta. Un conducente di 170 cm pu&ograve; facilmente a toccare terra con entrambi i piedi, riuscendo a spingere la moto indietro senza scendere. La nuova sella, pi&ugrave; comoda, &egrave; regolabile in altezza e potete anche variare l&rsquo;inclinazione. Anche la sella del passeggero pu&ograve; venire spostata avanti e indietro per garantire la miglior posizione possibile.   &nbsp;  IN SELLA  Un tocco al rosso pulsante d&rsquo;avviamento vi gratifica con un bel ringhio allo scarico a doppia uscita mentre il boxer prende vita. La carismatica coppia del boxer che faceva oscillare la moto sembra essere stata eliminata; i &ldquo;colpetti&rdquo; di acceleratore ride by wire (qui denominato E-gas), infatti, non provocano che leggere pulsazioni verso sinistra. Ed &egrave; strano, perch&eacute; prima la GS tendeva ad inclinarsi a destra. Tiriamo la leggerissima frizione in bagno d&rsquo;olio (multidisco e con sistema antisaltellamento) e con un colpetto del piede inseriamo la prima. Basta uscire dal parcheggio per scoprire un motore molto diverso e mentre usciamo dalla citt&agrave; avvertiamo una spinta molto pi&ugrave; vigorosa ed una voce decisamente pi&ugrave; personale. Tutte caratteristiche che si amplificano una volta che si inizia ad allungare il guinzaglio della GS. Il vecchio modello era molto divertente da guidare ma non aveva prestazioni esattamente esaltanti. La nuova GS, invece, alza la gonna e comincia a correre. L&rsquo;iniezione di cavalleria ha vivacizzato decisamente la situazione. Ci sono 15 CV in pi&ugrave; (totale dichiarato: 125 CV) e una bella dose di coppia, dandovi molto pi&ugrave; materiale con cui giocare ai medi regimi. L&rsquo;incremento di coppia dai 4.000 ai 7.000 giri &egrave; sensibile. Ora si pu&ograve; mantenere il motore ai medi regimi per divertirsi come matti. Il motore raffreddato ad aria &egrave; sempre stato l&rsquo;anello debole della vecchia GS. Ora il gap con la concorrenza &egrave; stato ampiamente ridotto. Nelle forti accelerazioni il &ldquo;braap!&rdquo; allo scarico &egrave; gustoso, ma a gas costante la moto &egrave; molto silenziosa. BMW dichiara un miglioramento di 5 decibel dal posto di guida, in parte grazie alla nuova carenatura ed all&rsquo;inedito cupolino. Il plexiglass pu&ograve; venire regolato con una mano sola, usando la manopola sul lato destro del cupolino. Nelle condizioni giuste significa poter girare a visiera alzata fino a 110 km all&rsquo;ora, senza occhi che lacrimano. Il posto di guida &egrave; una splendida bolla di comfort in cui passare ore. Con la riduzione del consumo, fra l&rsquo;altro, passerete molto pi&ugrave; tempo in sella fra un rifornimento e l&rsquo;altro. I riding mode non sono un semplice gadget. Ogni modalit&agrave; influenza l&rsquo;erogazione, il controllo di trazione e le sospensioni. Potete inoltre cambiare la taratura delle sospensioni per ciascun riding mode e disinserire, se volete, ABS ed ASC. Per esempio, selezionando il modo Dynamic, la risposta all&rsquo;acceleratore diventa estremamente diretta, permettendo piccole perdite d&rsquo;aderenza del retrotreno. In questa configurazione le sospensioni sono un po&rsquo; rigide ma basta scegliere la modalit&agrave; &lsquo;&ldquo;soft&rdquo; nell&rsquo;ESA et voil&agrave;, il gioco &egrave; fatto. L&rsquo;erogazione &egrave; meno aggressiva nella modalit&agrave; Rain, ma al crescere del regime di rotazione si avvicina molto alle modalit&agrave; Road e Dynamic, visto che la GS eroga la sua massima potenza in tutte e tre le modalit&agrave;. Noi abbiamo quasi sempre usato la Road. Non c&rsquo;&egrave; un gran bisogno di cambiare la taratura delle sospensioni nel corso di un giro, visto che le unit&agrave; semiattive reagiscono autonomamente alle asperit&agrave; della strada. Ora la GS &egrave; molto pi&ugrave; stabile durante le frenate e le accelerazioni aggressive. All&rsquo;avantreno non si nota granch&eacute;, perch&eacute; il Telelever ha sempre evitato eccessivi trasferimenti di carico. Al retrotreno, invece, il lavoro del sistema &egrave; apprezzabile. Nei curvoni veloci affrontati con angoli di piega accentuati, la GS funziona benissimo. La nuova moto ondeggia meno mentre reagisce alle gobbe in piega. Dovete rallentare? Le nuove pinze radiali Brembo sono davvero potenti e anche l&rsquo;ABS &egrave; eccellente. Nonostante l&rsquo;assetto da maxienduro la GS &egrave; relativamente sportiva, pur con gomme dalle misure un po&rsquo; inusuali (120/70 davanti e 170/60 dietro) e il cerchio anteriore di 19&rdquo;. Potreste facilmente scambiare l&rsquo;avantreno per un 17&rdquo;, vista la qualit&agrave; della guida. L&rsquo;avantreno Telelever fa s&igrave; che dobbiate fidarvi dell&rsquo;aderenza invece di cercare di percepirla, ma la GS si &egrave; dimostrata sicura e stabile in ogni situazione. Qualcuno dei tester ha lamentato qualche problema di stabilit&agrave;, che per&ograve; non ho percepito. La guida &egrave; cos&igrave; valida che si potrebbe serenamente portare la GS in pista senza timore di possibili imbarazzi. Sar&ograve; onesto, in fuoristrada sono scarso. Ci ho provato tante volte senza mai farcela veramente. La GS, per&ograve;, &egrave; dedicata a tutti i livelli di esperienza in fuoristrada, e abbiamo avuto a disposizione un breve percorso per provarne le doti &ndash; un lento e tecnico tratto da prima e seconda, affrontabile anche dai principianti. BMW ci ha affidato esemplari della GS preparati specificamente per il fuoristrada con gomme tassellate, paracolpi e paracoppa. Con la modalit&agrave; Enduro standard mi sono sentito sicuro e fiducioso nonostante le superfici rocciose e instabili. L&rsquo;ABS &egrave; tarato per l&rsquo;uso fuoristradistico con gomme stradali, per cui con i pneumatici tassellati sono rimasto sorpreso da quanto forte potessi frenare. Potete derapare con il posteriore sullo sterrato, ma in modalit&agrave; Enduro l&rsquo;acceleratore viene decisamente addolcito e le sospensioni ammorbidite per aiutare i principianti. I pi&ugrave; esperti possono selezionare la modalit&agrave; Enduro Pro per migliorare il controllo e diminuire le interferenze. Le sospensioni si irrigidiscono, l&rsquo;acceleratore diventa pi&ugrave; diretto ed &egrave; possibile bloccare la ruota posteriore in frenata. Nonostante tutte le sassate incassate dal paracolpi la moto non ha dato mostra di alcun danneggiamento: la GS resta robusta e sicura in ogni ambiente. Personalmente l&rsquo;ho trovata troppo pesante per l&rsquo;uso fuoristradistico, ma i pi&ugrave; esperti rimarranno impressionati dalle sue doti lontano dall&rsquo;asfalto. Visti gli eccellenti corsi di guida proposti da BMW, non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; nessuna scusa per non portare la vostra nuova GS in fuoristrada e apprezzarne a fondo le doti.  La GS &egrave; sempre stata il riferimento del segmento maxienduro. Il problema, per la concorrenza, &egrave; che il riferimento ora si &egrave; spostato nettamente in avanti. Il motore ha fatto un tangibile passo avanti, con pi&ugrave; coppia e potenza disponibili lungo tutto l&rsquo;arco di erogazione e tanta raffinatezza. Sembra anche pi&ugrave; pulito e razionale rispetto a prima &ndash; posso azzardare che la GS ora &egrave; bella? Chi l&rsquo;avrebbe mai detto? &Egrave; piena di sistemi di assistenza e sicurezza, fra cui le sospensioni semiattive, ed &egrave; a suo agio tanto su strada quanto in fuoristrada. &Egrave; come il dottor Jekyll e Mr. Hyde, ma senza la cattiveria del secondo. Affrontate il mondo in fuoristrada oggi, usatela per andare in ufficio domani. La GS non intimidisce mai &ndash; non c&rsquo;&egrave; bisogno di essere grandi manici o piloti esperti per ricavarne soddisfazioni. La BMW &egrave; riuscita nell&rsquo;impensabile impresa di migliorare la GS, gi&agrave; riferimento della categoria, sotto ogni aspetto. Sotto alcuni aspetti di poco, sotto altri di molto, ma che uniti definiscono un pacchetto davvero notevole. La vecchia GS era una moto favolosa, e la nuova &egrave; ancora meglio. Ci sono voluti oltre cinque anni e un milione di chilometri di test per perfezionarla. Ma &egrave; esattamente quello che a Monaco sono riusciti a fare.  

BMW R 1200 GS

Dall&rsquo;entusiasmo nascono moto affascinanti e quella appena nata, dietro al solito carattere aggressivo, nasconde un lato pi&ugrave; pacato e affabile. Merito, come sempre, dell&rsquo;elettronica  &nbsp;  &nbsp;  Il detto &ldquo;chi osa vince&rdquo; ben rispecchia l&rsquo;atteggiamento della Casa arancione in questi ultimi anni. Alla faccia della crisi, KTM sta investendo e portando a casa grandi risultati, il tutto grazie alla capacit&agrave; del managing di guardare avanti, accettando sfide che qualche tempo fa parevano impossibili per un produttore di moto fuoristrada, e forte anche delle energie del gruppo indiano Bajaj che &egrave; socio di maggioranza di KTM. Numero di modelli e volume di produzione sono molto aumentati e gli investimenti nello sviluppo degli ultimi anni hanno toccato i 100 milioni di Euro. Quello della 1190 Adventure &egrave; il progetto pi&ugrave; grande mai intrapreso da KTM, partito tre anni addietro coinvolgendo praticamente tutto lo staff aziendale. Questo pu&ograve; dare una misura di quanto la Casa austriaca creda e scommetta su questo modello, e parlando con lo staff, la sensazione trasmessa da tutti gli uomini in arancione &egrave; proprio quella di grande entusiasmo e convinzione in questa moto e nel futuro. Nel &ldquo;succo&rdquo; delle moto arancioni qualcosa sta comunque cambiando e se da una parte il gusto racing resta molto marcato, dall&rsquo;altro si assapora bene l&rsquo;intenzione di portare lo spirito KTM verso una fascia pi&ugrave; ampia di pubblico. Aspetto pi&ugrave; pacato, grande utilizzo dell&rsquo;elettronica, che su questo modello fa veramente la differenza, e prestazioni sempre ai massimi livelli caratterizzano questa moto, che oltre ad essere uno strumento di grande divertimento, vuole essere anche una perfetta moto da turismo adatta non solo ai pi&ugrave; esperti. Anche il prezzo &egrave; un punto forte, visto che per la versione standard, completa di tutta l&rsquo;elettronica, servono &euro; 14.870, mentre &egrave; disponibile, solo su ordinazione e in numero limitato, una pi&ugrave; economica versione priva di EDS e TPMS (sospensioni a controllo elettronico e controllo pressione pneumatici) a &euro; 13.990. La pi&ugrave; specialistica R, che sar&agrave; presentata pi&ugrave; avanti, coster&agrave; invece &euro; 14.970.  Il DNA totalmente racing di KTM non poteva che assicurare alla nuova Adventure il primato in termini di peso/potenza, visto che vengono dichiarati 230 kg con il pieno carburante (23 litri) e una potenza di 150 CV con 125 Nm di coppia. Il bicilindrico si basa sul propulsore della RC8 R, che equipaggia la superbike della Casa austriaca, ma &egrave; stato rivisto nella maggior parte dei componenti per adattarne il carattere alle esigenze di una crossover. Per migliorare trattabilit&agrave; e consumi si sono adottate 2 candele per cilindro, controllate una per una in modo autonomo dalla centralina, ma &egrave; soprattutto il comando del gas di tipo ride-by-wire ad addolcire parecchio il propulsore. Una nuova frizione con sistema antisaltellamento e i rapporti del cambio totalmente cambiati, con le prime due marce debitamente accorciate, lavorano insieme alla trasmissione finale a catena X-Ring. Questa soluzione &egrave; stata fortemente voluta dai tecnici austriaci per assecondare il lato sportivo della Adventure e per evitare danneggiamenti nella guida al limite. Con 62 kg di peso, questo motore &egrave; un vero peso piuma sulla bilancia e vanta anche dimensioni molto ridotte. Oltretutto consuma anche il 20% in meno rispetto alla vecchia Adventure, con intervalli di manutenzione portati a 15.000 km Un classico telaio a traliccio in tubi (9,8 kg di peso) fa da scheletro alla ciclistica, la quale vede il marchio WP sul monoammortizzatore e forcella. Quest&rsquo;ultima &egrave; una USD da 48 mm &Oslash; e come quella di una fuoristrada specialistica monta i paraoli SKF ad alta scorrevolezza. Entrambi ultraregolabili (manualmente o elettronicamente nella versione con l&rsquo;EDS) mono e forcella hanno una taratura pensata per l&rsquo;ottimale utilizzo su strada e assicurano entrambi 190 mm di escursione. Altro elemento originale &egrave; il vistoso forcellone in alluminio con un&rsquo;originale struttura a reticolo totalmente a vista. Parlando di ruote, sulla Adventure troviamo delle tubeless a raggi, totalmente sviluppate dalla Casa, con misura di 19&rdquo; all&rsquo;anteriore e 17&rdquo; al posteriore, che ospitano penumatici Continental Trail Attack2 (omologate fino a 250 km/h) dalle inedite misure di 120/70-ZR19&rdquo; e 170/60 ZR17&rdquo;. Alla voce freni troviamo il monopolio di Brembo, con un doppio disco anteriore da 320 mm &Oslash; e pinze radiali a 4 pistoncini e pompa radiale, mentre la robusta unit&agrave; posteriore adotta un singolo disco di 268 mm &Oslash; morso da una pinza a 4 pistoncini, con buone doti di resistenza anche a pieno carico.  DA FERMO  Nell&rsquo;aspetto l&rsquo;Adventure cambia tanto, e se da un lato perde quella grinta unica di moto della Dakar, dall&rsquo;altro acquisisce forme pi&ugrave; standard e capaci di appagare i gusti di un pubblico di ogni estrazione. Ci&ograve; che resta invariata &egrave; la grande qualit&agrave; dei componenti, che lasciano ben poco spazio alle critiche. La parte frontale &egrave; ora pi&ugrave; arrotondata e larga, il cupolino regolabile in altezza e inclinazione tramite un funzionale sistema ma che richiede due mani l&rsquo;operazione. Il gruppo ottico anteriore mantiene parte del design di quello precedente grazie alla forma allungata verso l&rsquo;alto, ma presenta la grande novit&agrave; della luce diurna a led e dell&rsquo;anabbagliante ad incandescenza, che si attiva automaticamente all&rsquo;imbrunire e in galleria. I led vengono anche utilizzati per indicatori di direzione e gruppo ottico posteriore, con un&rsquo;ottima resa visiva e funzionale. Attacco del manubrio regolabile longitudinalmente (10 mm) e sella con 2 posizioni in altezza (15 mm) garantiscono buone possibilit&agrave; di adattamento per ogni pilota, mentre al manubrio si pu&ograve; contare su una pratica regolazione delle leve e su blocchetti elettrici pensati in maniera molto funzionale. La vista laterale &egrave; ora molto pi&ugrave; filante e il lato destro &egrave; caratterizzata dal riuscito terminale basso in acciaio, molto bello anche nella versione Akrapovich, mentre sul codone, anch&rsquo;esso pi&ugrave; snello, spicca il largo portapacchi in materiale plastico che incorpora le maniglie passeggero. Tra i tanti accessori ci sono due tipi di borse rigide, di diversa capienza, che finalmente sono fissate ad attacchi totalmente integrati nel codone e dal minimo impatto visivo.   &nbsp;  LA GUIDA  Dieci anni sul mercato, 40.000 modelli venduti e l&rsquo;immagine vittoriosa alla Dakar, sono il biglietto da visita di quella che &egrave; stata per antonomasia la bicilindrica pi&ugrave; adatta ai viaggi avventura. Se in passato era relegata in una nicchia tutta sua, fatta di fuoristrada, ora si mette in diretta contesa con le altre, ponendosi come una cliente davvero ostica per tutto il segmento delle cross-over. Il peso contenuto e la potenza ai vertici del segmento della nuova Adventure la dicono lunga su come questa viaggiatrice a 360&deg; possa primeggiare a livello prestazionale, ma quello che ci ha maggiormente stupiti &egrave; come allo stesso tempo possa risultare docile e semplicissima da gestire quando le si chiedono andature turistiche e l&rsquo;uso in citt&agrave;. Vero &egrave; che la nuova Adventure risulta leggermente pi&ugrave; orientata alla strada rispetto al passato e chi ha accese velleit&agrave; off-road dovr&agrave; preferire il modello R, che mantiene la ruota anteriore di 21&rdquo; e offre un assetto pi&ugrave; adatto alla terra. Per questa prima assoluta KTM ci ha portati a Tenerife, isola dal clima e dalle strade perfette per gustare appieno le doti della Adventure. Purtroppo il test prevedeva solo asfalto, per cui non siamo riusciti a saggiare le doti fuoristradistiche di questa nuova moto arancione. In compenso l&rsquo;asfalto dell&rsquo;isola &egrave; quanto di meglio si possa desiderare in temini di grip&hellip;  Molto pi&ugrave; accogliente Molto snella e decisamente pi&ugrave; bassa della precedente, trasmette un ottimo feeling non appena la si solleva dalla stampella laterale. Il peso non elevato e la sella, comoda e non troppo alta da terra, permettono di manovrarla facilmente restando seduti, trasmettendo da subito quel senso di confidenza che accompagner&agrave; per tutto il test. La triangolazione manubrio-sella-pedane &egrave; quella tipica di un&rsquo;enduro, a cui si aggiungono un serbatoio e un telaio piuttosto stretti, che lasciano le gambe in posizione molto comoda. Il manubrio, che vanta piega, larghezza e altezza ottimali, risulta pi&ugrave; distante rispetto alla media, lasciando le braccia piuttosto distese, ma in posizione confortevole. I comandi sono al loro posto, mentre con un&rsquo;operazione piuttosto semplice, che va fatta a moto ferma, ci troviamo subito ad abbassare il cupolino in modo che non incroci la visuale della strada.  Trattabilit&agrave; sopraffina Il propulsore si avvia in un attimo e bastano due colpi di gas in folle per toglierci ogni dubbio sul suo deciso carattere. Grazie alla nuova frizione, che monta molle meno tenaci, la leva a comando idraulico risulta davvero morbida da azionare, oltre ad offrire un&rsquo;ottima modulabilit&agrave;. Percorriamo il primo tratto di strada a bassa andatura e come prima cosa apprezziamo la grande trattabilit&agrave; di questo bicilindrico, che nonostante la notevole cubatura, gira a bassi regimi con grande regolarit&agrave;, senza praticamente presentare strappi e rispondendo alle piccole variazioni del gas con grande dolcezza. Questo &egrave; sicuramente il primo grande merito del lavoro svolto dal ride-by-wire, uno dei migliori fin qui provati. Anche la ciclistica mette subito in mostra un ottimo equilibrio e una grande agilit&agrave;. Nonostante la sensazione sia quella di avere la ruota anteriore un po&rsquo; lontana, la confidenza con l&rsquo;avantreno &egrave; pressoch&eacute; immediata. Il manubrio risponde preciso e leggero ad ogni comando e ogni eventuale dubbio sull&rsquo;agilit&agrave; della ruota da 19&rdquo; su asfalto &egrave; immediatamente fugata. Il riding mode inserito &egrave; lo &ldquo;sport&rdquo;, quindi quello pi&ugrave; prestazionale dei quattro, ma nonostante questo il gas resta facile da modulare, come se fossimo su una media cilindrata. Aprendo con pi&ugrave; decisione, invece, la risposta resta molto pacata fino ai 4.000 giri, per intenderci &egrave; minore di quella di GS e Multistrada, poi prende corpo con una progressione esaltante e tra i 6.000 e 9.000 giri diventa davvero veemente, con la ruota anteriore che si solleva facilmente da terra fino alla terza marcia. Tra i 9.000 e 10.000 giri la spinta si stempera leggermente, fino all&rsquo;ingresso un po&rsquo; brusco del limitatore. I miracoli dell&rsquo;elettronica cominciano a stupirci, perch&eacute; nonostante il propulsore spinga tantissimo, la sensazione di avere tutto sotto controllo non abbandona mai. Il controllo di trazione MTC lavora infatti anche nelle accelerazioni esercitando una sorta di anti impennamento ed evitando qualunque eccessivo picco di potenza. Curioso come, anche aprendo tutto in seconda marcia e su un rettilineo, si possa notare il led del sistema accendersi anche senza alcuna sensazione di perdita di aderenza. In questo caso &egrave; il sistema che si attiva per evitare il sollevamento dell&rsquo;anteriore. Aprendo decisi in curva, invece, l&rsquo;intervento &egrave; pi&ugrave; avvertibile, visto che leggendo anche l&rsquo;angolo di piega, l&rsquo;MTC risulta molto &ldquo;prudente&rdquo; a moto inclinata e parzializza l&rsquo;apertura delle farfalle. Ma il bello &egrave; che tutto avviene in maniera molto dolce e per niente invasiva. L&rsquo;unica critica che possiamo fare all&rsquo;MTC &egrave; il settaggio &ldquo;controllato&rdquo; nella mappa Sport, dove disabilitando il sistema si ottiene una risposta nettamente pi&ugrave; corposa e appagante all&rsquo;uscita di ogni curva. Impostando il riding mode Rain o Offroad si toglie un terzo di potenza al propulsore e tutto diventa ancora pi&ugrave; dolce, anche se la mancanza dei cavalli si nota soprattutto dai medi regimi in su. L&rsquo;insieme cambio-frizione-trasmissione si dimostra pienamente all&rsquo;altezza della situazione e fa apprezzare il preciso funzionamento del cambio, che ha innesti precisi e corsa della leva leggermente lunga, mentre l&rsquo;antisaltellamento della frizione &egrave; estremamente funzionale quando si guida decisi, visto che evita il pensiero di come rilasciare la leva in scalata. Confidenza in curva Qualunque detrattore della ruota di 19&rdquo; su strada dovrebbe provare a guidare questa Adventure per rendersi conto che non c&rsquo;&egrave; per forza bisogno di una 17&rdquo; per pennellare ogni tipo di curva. Se sul dritto, lento o veloce che sia, la conduzione &egrave; estremamente pulita grazie a una ottima stabilit&agrave;, affrontando le prime curve ci si trova addirittura troppo presto alla corda, con la moto che tende a curvare quasi da sola. Sono bastate una decina di curve per prendere assoluta confidenza e capire che l&rsquo;anteriore scorre preciso in piega, rispettando perfettamente la traiettoria impostata in ingresso e senza assolutamente allargare in uscita, anche aprendo con decisione. Oltre all&rsquo;agilit&agrave;, la grande forza di questa moto &egrave; il peso ridotto, che permette ingressi in curva pi&ugrave; incisivi della quasi totalit&agrave; della concorrenza. In staccata, oltre alla ottima modulabilit&agrave; e potenza dei freni, che solo dopo una lunga discesa senza risparmio hanno mostrato un leggero allungamento della corsa&nbsp; della leva anteriore, abbiamo apprezzato moltissimo l&rsquo;ABS, tanto che &egrave; la prima volta in assoluto (BMW S 1000 RR a parte) che non abbiamo sentito l&rsquo;esigenza di disattivarlo guidando decisi su strada. Il sistema risponde molto velocemente e in modo poco percettibile, tanto da non causare alcun sintomo di arrivare lunghi in frenata. Curioso come dopo pi&ugrave; di 100 km di curve con ABS e DTC inseriti, escludendo entrambi i sistemi abbiamo provato un&rsquo;iniziale sensazione d&rsquo;insicurezza, che ha richiesto qualche chilometro per sparire! La nostra moto era dotata anche della regolazione sospensioni EDS, che pur non essendo un sistema semiattivo, torna comunque utilissimo per cambiare in un attimo i settaggi e affrontare un fondo dissestato piuttosto che un asfalto molto liscio. Per non perdersi in mezzo alle tante regolazioni, durante la guida risultano utilissimi i quattro riding mode, che con un semplice click cambiano tutta l&rsquo;elettronica. 

KTM 1190 Adventure

Crescono la cilindrata, la coppia ai medi regimi e il peso. Il design &egrave; pi&ugrave; aggressivo, mentre la guidabilit&agrave; e la versatilit&agrave; migliorano. Il comfort non &egrave; il suo forte  &nbsp;  Da qualsiasi lato la guardi scorgi la lettera Z. Sulla sella, in numerosi particolari e addirittura sul fanale posteriore, all&rsquo;interno del quale ci sono numerose luci a led, disposte in modo tale da formare due Z al momento dell&rsquo;accensione dello stop. Insomma, osservandola, anche in maniera sommaria, capisci subito che si tratta della mitica Kawasaki Z, che in passato, come nella storia recente, ha fatto la fortuna commerciale della Casa di Akashi. Come prima, pi&ugrave; di prima. &Egrave; questo il leitmotiv della nuova nuda giapponese. Il design &egrave; ancora pi&ugrave; estremo, caratterizzato da linee tese e spigolosissime che, grazie anche all&rsquo;utilizzo di grafiche bicolore, catturano l&rsquo;attenzione. Non &egrave; uno stile sobrio ed elegante, ma la Z &egrave; pensata per i giovani e gli smanettoni che vogliono una moto aggressiva, anche quando resta parcheggiata davanti al bar. Il motore non &egrave; inedito ma &egrave; cresciuto di cilindrata. Ha pi&ugrave; coppia ai medi regimi, pi&ugrave; allungo e un&rsquo;erogazione pi&ugrave; fluida. Neppure la ciclistica &egrave; stata stravolta, ma ora c&rsquo;&egrave; pi&ugrave; stabilit&agrave;.&nbsp; Purtroppo, poco &egrave; cambiato alla voce comfort. La Kawasaki Z non era e non &egrave; una moto adatta a lunghi trasferimenti; d&agrave; il suo meglio in citt&agrave;, dove si apprezza l&rsquo;incredibile elasticit&agrave; del suo quadricilindrico, e nelle strade tutte curve, dove il tiro ai medi regimi consente di divertirsi e guidare di buon passo senza sforzo. lo sporti vo &egrave; libero di muoversi  DA FERMO Accarezzandola difficilmente si trover&agrave; una superficie rettilinea. Le linee della Z800 sono come un mare in burrasca, caratterizzate da spigoli e linee curve che generano un andamento ondulato, sia delle poche carene, sia delle superfici metalliche. Il tutto &egrave; condito con due gruppi ottici che rappresentano la massima espressione dell&rsquo;aggressivit&agrave; e da un motore le cui forme si possono sposare solo con quelle della nuda di Akashi. La Z, insomma, non passa inosservata. La vedi e ti viene voglia di conoscerla. La osservi con attenzione e ti accorgi che i dettagli sono curati, che le fusioni non sono affatto porose e che i componenti, come ad esempio il manubrio, le leve, le pedane del pilota e del passeggero, la vaschetta del freno anteriore e le plastiche, sono di buona qualit&agrave;. Solo la bulloneria e la verniciatura opaca del silenziatore non convincono, per&ograve; sono solo due note stonate di uno spartito che piace. Poi scopri che la Z800 costa 8.890 Euro franco concessionario (il prezzo della versione ABS lievita di altri 600 Euro), ovvero un po&rsquo; pi&ugrave; di quanto avresti immaginato. A quel punto ti rendi conto che questa Kawasaki &egrave; ben fatta ma vale quel costa. La versione &ldquo;e&rdquo; (vedi l&rsquo;intervista a pag. 61) coster&agrave; 800 Euro di meno.    IN SELLA Sali a bordo e scopri che la posizione di guida &egrave; sportiva ma &egrave; stata studiata anche per garantire ampia libert&agrave; di movimento. Il manubrio basso e molto largo consente di trovare subito un buon feeling con l&rsquo;avantreno, senza avvertire un eccessivo carico sui polsi. Le pedane sono abbastanza avanzate ma, quando bisogna spostare il peso del corpo verso l&rsquo;avantreno per cercare il grip, non rappresentano un ostacolo. Tradotto, non ci si trova mai appesi al manubrio e il merito &egrave; anche della forma del serbatoio, che agevola sia gli spostamenti in senso longitudinale, sia quelli in senso trasversale. L&rsquo;unica critica che si pu&ograve; muovere alle pedane &egrave; che, per garantire una buona luce a terra, sono state posizionate un po&rsquo; troppo vicine al piano di seduta, pertanto lo spazio a disposizione per le gambe non &egrave; elevatissimo ed alla lunga si accusano indolenzimenti alle ginocchia. L&rsquo;unico vero difetto, per&ograve;, &egrave; l&rsquo;imbottitura della sella, minimalista e cedevole. Guidando in maniera sportiva si ha sempre l&rsquo;esatta percezione di ci&ograve; che il retrotreno ha intenzione di fare, per&ograve; &egrave; altrettanto vero che dopo circa sessanta chilometri gli indolenzimenti ai glutei iniziano a farsi sentire... Poco male, perch&eacute; chi sogna una Z sa cosa vuole acquistare, ovvero una moto sportiva, maschia, progettata e collaudata per emozionare e per non passare inosservata. Pertanto, se vi piace guidare, la Z &egrave; la scelta giusta. Se, invece, volete macinare chilometri, quanto meno vi converrebbe portare la sella da un buon tappezziere! Il nuovo motore di 806 cm3 ci &egrave; piaciuto molto di pi&ugrave; rispetto al vecchio quattro cilindri di 748 cm3. Sicuramente, per merito del rapporto finale pi&ugrave; corto (sulla Z800 c&rsquo;&egrave; una corona con 45 denti, mentre sulla versione 750 ce n&rsquo;era una con 43 denti) il propulsore mette in mostra sorprendenti doti di ripresa. Ovviamente &egrave; anche la maggiore cilindrata a fare la differenza, per&ograve; quel che conta &egrave; che il risultato finale &egrave; ottimo, sotto tutti i punti di vista. S&igrave;, &egrave; migliorata la ripresa, ma il nuovo propulsore di Akashi ha pure un maggiore allungo. Infatti, oltrepassati i 10.000 giri/&rsquo; si avverte un incremento della spinta, che fa letteralmente volare i led del contagiri a quota 13.000 giri/&rsquo;, limite oltre il quale non &egrave; possibile spingersi, a causa dell&rsquo;intervento del limitatore. L&rsquo;elasticit&agrave; era una delle doti migliori del vecchio 750 ma l&rsquo;800 &egrave; riuscito a fare di meglio e vi assicuriamo che non era facile. Ora, dopo avere inserito la sesta, ci si pu&ograve; davvero dimenticare del cambio e, nell&rsquo;utilizzo extraurbano, anche ai bassi giri, c&rsquo;&egrave; tutta la spinta necessaria ad effettuare velocemente un sorpasso, senza essere costretti a scalare una o due marce.  Poi, quando si inizia a fare sul serio, scopri che il cambio funziona benissimo, perch&eacute; la leva ha una corsa contenuta, gli innesti sono precisi ed una volta inserita la marcia non si ha quella spiacevole sensazione di &ldquo;gommosit&agrave;&rdquo; che non ti permette di capire se il rapporto &egrave; stato innestato correttamente. Il comando al manubrio della frizione &egrave; un po&rsquo; duro da azionare e per questo motivo, in citt&agrave;, alla lunga si accusano indolenzimenti all&rsquo;avambraccio sinistro. Quando si inizia a fare sul serio, le nuove doti del quattro cilindri nipponico assecondano le richieste del conducente. Nei tratti misti si pu&ograve; mantenere il contagiri a cavallo degli 8.000 giri/&rsquo;, poi, appena si scorge un lungo rettilineo, spalancando il gas, ci si pu&ograve; godere un allungo degno di nota. A 10.000 giri/&rsquo; il motore della Z800 cambia rumore e carattere. Intendiamoci, nonostante la notevole cilindrata (una 800, in fondo, &egrave; quasi una maxi), non sembra di essere alla guida di una moto sgarbata o troppo esuberante.  Insomma, il quadricilindrico della Z800 somiglia pi&ugrave; a un 600 che a un 1.000. &Egrave; facile da usare, non mette paura ma non &egrave; una di quelle unit&agrave; caratterizzate da un&rsquo;erogazione &ldquo;duetempistica&rdquo;, che costringe ad usare spesso il cambio per andare alla ricerca della coppia necessaria ad affrontare un sorpasso o una curva stretta. Con la Z800 ci si pu&ograve; divertire senza fare fatica e senza essere necessariamente dei piloti. Detto questo, stiamo pur sempre parlando di una moto di 806 cm3, che, quindi, va usata con attenzione, soprattutto se non si ha tanta esperienza alle spalle. Come dire... La Z800 vi dar&agrave; una mano e vi metter&agrave; a vostro agio ma non approfittatene! Uno dei limiti della Z750 era il peso. La Z800 non &egrave; stata alleggerita, anzi, &egrave; ingrassata di 3 kg (ora il peso dichiarato &egrave; 229 kg in ordine di marcia, mentre la Z750 si fermava a quota 226 kg). La nuova naked di Akashi, per&ograve;, &egrave; pi&ugrave; guidabile, grazie a un telaio e a sospensioni pi&ugrave; rigidi, che hanno migliorato la stabilit&agrave;, la precisione direzionale e il feeling con avantreno e retrotreno. La Z800 &ldquo;dondola&rdquo; meno della 750, cio&egrave; i trasferimenti di carico in staccata e in accelerazione avvengono pi&ugrave; lentamente, pertanto il peso elevato, pur restando un limite, non crea disagi nella guida. Solo nei tratti sconnessi, affrontati a velocit&agrave; sostenuta, la Z800 mette in mostra un comportamento un po&rsquo; &ldquo;ballerino&rdquo; ma, grazie anche al buon rendimento delle gomme Dunlop di primo equipaggiamento, mantenere la situazione sotto controllo non &egrave; mai un problema. Inoltre, grazie al manubrio largo e a un&rsquo;azzeccata distribuzione dei pesi, la Z800 risulta abbastanza maneggevole e facile da condurre su qualsiasi tipo di strada. L&rsquo;impianto frenante ci &egrave; piaciuto, perch&eacute; nella prima fase della staccata non mette in mostra un eccessivo mordente, man mano che si aumenta la trazione sulle leve, emerge, progressivamente la sua forza. Esattamente quello che serve, nell&rsquo;uso su strada. Abbiamo provato anche la versione ABS. L&rsquo;impianto ha un funzionamento ancora pi&ugrave; progressivo, per&ograve;, in questo caso, all&rsquo;inizio si sente la mancanza di un pizzico di mordente.  

29 risultati per 'primopiano'