Mi chiamo Monica, 47 anni, sposata, mamma di quattro figli, ed erano anni che desideravo andare al Krystall Rally, il raduno invernale pi&ugrave; a nord in Europa  &nbsp;  Ho una grande passione: le moto, specialmente le Harley-Davidson. Il mio nickname &egrave; Cromilla. Rimandavo l&rsquo;avventura del Krystall Rally a causa degli impegni, finch&eacute; sfinita dal lavoro ho deciso di andare. Riunione di famiglia, tutti d&rsquo;accordo, loro mi conoscono, ci sono dei momenti in cui &ldquo;devo&rdquo; andare... Cos&igrave; inizia il mio Krystall Rally in solitaria, per riposare la mente, padrona del mio tempo, senza regole, senza orologio, per vedere se ce la posso fare, per dare un calcio al senso del dovere e una carezza a me stessa. Preparo il necessario: abbigliamento tecnico, guanti e calzini elettrici, termoscud e moffole regalate dalla mia mamma! Aggiungo un vecchio casco integrale di mio marito, meglio essere previdenti. Scelgo di partire col trike, un 1.450 cm3 a carburatori, senza elettronica, tutto coperto di silicone spray per preservare le cromature dal sale. E poi viaggiando da sola, con 3 ruote mi sento pi&ugrave; tranquilla! Inoltre consente una bella capacit&agrave; di carico e nel portabagagli stipo tutto doppio di scorta. Sigmund, &ldquo;my arctic friend&rdquo; conosciuto nel 2010 alle Isole Lofoten, mi da tutte le info necessarie sul meteo, le strade, il gommista, le ore di luce. Sono pronta, Monica lascia il posto a Cromilla! I km sono tanti, i giorni solo 12, faccio un programma molto serrato. La distanza da Roma, dove vivo, a Kiel &egrave; di 1.900 km circa, la divido in tre tappe: Trento, Wurzburg, Kiel. Parto col sole ma ben presto mi ritrovo sotto la pioggia, poi nebbia e vento forte. Dal Brennero trovo la neve, la temperatura scende sotto lo zero, il termoscud svolazza, mi invento un accrocco con nastro americano e attache da ufficio. Incontro una marea di moto che vanno a Sud, tornano dall&rsquo;Elefante, sorrido, io oso pi&ugrave; a Nord. Non resisto, compro la bandiera dell&rsquo;Italia e della Norvegia e inizio a parlare col mio pessimo inglese studiato a scuola molti anni fa. In Austria una sorpresa: un amico riconosce il mio trike giallo, fa inversione, mi raggiunge, pranziamo insieme. Sergio si preoccupa, vuole lasciarmi guanti, passamontagna: &laquo;io sono arrivato, tu hai tanta strada&raquo;. Lo ringrazio, con tutta quella pioggia ho gi&agrave; testato l&rsquo;abbigliamento, nessun problema. Il casco invece imbarca acqua e la visiera si appanna! In Germania la pioggia non mi lascia mai per 350 km, il trike fa i capricci, si &egrave; bagnata una candela e va ad uno, percorro 90 km sotto la pioggia ad 80 km/h, guido ad oltranza, non pranzo, voglio arrivare, dopo Hannover arriva la nebbia, la neve, il vento forte. Non ho incontrato neanche una moto, mi guardano come se fossi un&rsquo;aliena. Arrivo in hotel alle 17,40, sono distrutta, dopo 5 minuti sono sotto il piumone! Smangiucchio a letto un panino e della frutta comprati all&rsquo;ultimo distributore e mi addormento in un attimo. &Egrave; marted&igrave;, arrivo presto al porto, nevica, un signore gentile mi fa parcheggiare sotto una tettoia, monto le bandiere! Alle 14 la nave lascia Kiel, la citt&agrave; &egrave; imbiancata , il mare &egrave; grigio. Oggi &egrave; la giornata della malinconia, ma grazie a Facebook trascorro tre ore con gli amici: sono preoccupati per me, mi mandano un sacco di messaggi, commentano le foto, un sostegno incredibile. Mi sveglio presto, voglio godermi l&rsquo;arrivo ad Oslo attraverso il fiordo. Meraviglioso, la nave passa tra due lembi di terra costellati di casette immerse nella neve, il mare &egrave; ghiacciato e si spacca al nostro passare, non ho mai visto uno spettacolo simile. Arriviamo puntualissimi, mi sbrigo, ho poche ore di luce, viaggio contornata dalla neve, la strada per&ograve; &egrave; abbastanza pulita. Inaspettata arriva una sosta di mezz&rsquo;ora per lavori in corso, sembra un&rsquo;eternit&agrave;, fa freddo, che salvezza i calzini e i guanti che si scaldano! Percorro l&rsquo;E6 per 220 km lungo il Lago Mjosa, &egrave; il pi&ugrave; grande della Norvegia, completamente ghiacciato, arrivo a Lillehammer, un giro in citt&agrave;, lavo il trike, la terra dei lavori lo ha fatto diventare marrone, ad un distributore mi forniscono secchio, acqua e spazzolone, le mie mani sono ghiacciate, anzi spaccate dall&rsquo;acqua gelata, decido di andare in hotel, sono le 15,30 e gi&agrave; comincia a fare buio. Il receptionist libera uno spazio sotto una tettoia per farmi parcheggiare il trike, la temperatura &egrave; bassa, -10&deg;C, meglio non rischiare. Connessione con Skype, parlo con tutti, bevo una bella camomilla calda, mi manca la mia trib&ugrave;, mi addormento pensando a domani, la meta &egrave; vicinissima. Mi sveglio con calma, aspetto la luce, questa giornata me la voglio godere attimo dopo attimo. Percorro la E6 fino a Ringebu, da qui inizia la strada di montagna, sono un po&rsquo; preoccupata, fino ad ora le gomme termiche hanno fatto il loro dovere ma i primi tornanti in salita mi fanno tremare, forse avr&ograve; bisogno di far chiodare le gomme, il navigatore segna 22 km all&rsquo;arrivo su una strada che definisce &ldquo;sentiero&rdquo;. &Egrave; la strada 27, il servizio viabilit&agrave; la d&agrave; chiusa ma io vado avanti, come potrei fermarmi proprio ora? Invece va tutto bene, 22 km spettacolari, mi sembra di essere entrata in un mondo incantato, tutto brilla di un bianco accecante, il rumore del mio trike interrompe un silenzio irreale.  Il sole rende tutto ancora pi&ugrave; splendente, le montagne sono morbide, sembrano dune innevate, guido piano, la strada &egrave; completamente bianca e ghiacciata, il casco aperto, il freddo brucia sulla pelle, le lacrime scendono sulle guance. Sono emozionata e piango felice come una bimba, km dopo km si sta realizzando il mio desiderio, giro a sinistra, manca pochissimo, ecco apparire l&rsquo;Hotel Spidsbergseter Gudbrandsdal, ce l&rsquo;ho fatta, non ci posso credere! Coordinate: N 61&deg;40.322&rsquo; - E 010&deg;06.191&rsquo; E intorno il nulla: qui c&rsquo;&egrave; solo il Krystall Rally. Mi accolgono gli organizzatori, sanno che ho viaggiato da sola, sono sorpresi. Foto di rito davanti allo striscione ed in canottiera. Mi iscrivo, 14 &euro; per un adesivo ed il diploma. Chi vuole pu&ograve; comprare la t-shirt o il pile, ma la mia taglia non c&rsquo;&egrave;, partono dalla Large! Dopo un&rsquo;ora arriva un italiano, Duilio da Sarzana con la sua Vespa PX 150 piena di adesivi di tutti i viaggi che ha fatto, un mito. Poi conosco Matteo di Forl&igrave;, &egrave; arrivato anche lui in solitaria con la sua BMW R80, sembra un p&ograve; forastico, si riveler&agrave; invece gentile e generoso. Sono circa 100 gli iscritti tra Norvegesi, Svedesi, Tedeschi, Spagnoli, Francesi e Italiani, ci sono tanti sidecar, qualche moto ed un solo trike! Ceniamo tutti insieme, un grande buffet di pietanze norvegesi, assaggio tutto, sono come sempre molto curiosa. Vado a letto, non riesco a dormire, tutto brilla, il paesaggio, la neve e i miei occhi dalla gioia, ce l&rsquo;ho fatta! Il venerd&igrave; si rivela noioso, qui non organizzano nulla, decisamente il Krystall Rally &egrave; &ldquo;il viaggio&rdquo;! Oggi il tempo &egrave; brutto, nebbia e tanto freddo, nessuno mi rivolge la parola, sono intimoriti, un tizio tedesco mi dice che non sono una donna normale, faccio paura.... Chi, io? Mi viene da ridere! Trascorro la mattina in piscina, al caldo, fuori siamo a -15&deg;C. Il pomeriggio provo ad accendere il trike, ma non ce la fa, molte moto hanno la batteria a terra. Con Matteo smontiamo la mia, la portiamo al caldo, domani si vedr&agrave;. Sono arrivati altri tre italiani, Pietro e due Roberto, siamo sei su dieci che avevano prenotato. Ho visto il meteo, domani sole, domenica neve, e decido di partire in anticipo di un giorno.  Mi sveglio con un sole splendido ma la temperatura &egrave; scesa a -20&deg;C! Rimontiamo la batteria, facciamo partire la moto di Matteo con la mia batteria e poi con la sua moto accesa facciamo partire il Trike, l&rsquo;unione fa la forza! Ci consegnano il diploma, a mezzogiorno lasciamo l&rsquo;hotel, ci godiamo la discesa fino a Ringebu in religioso silenzio, a volte a folle, vogliamo assaporare ogni istante, stiamo andando via dal mondo incantato... A valle Matteo smonta i chiodi (anzi le viti faidate avvitate all&rsquo;andata!) e percorriamo 75 km, ci dobbiamo fermare, fa troppo freddo, la signora del distributore ci prepara una busta con l&rsquo;acqua calda, gli dobbiamo aver fatto pena. Arriva un energumeno, mi guarda, mi osserva, legge la patch sul gilet, capisce da dove arrivo, dice una sola parola: respect. Non riusciamo a fare pi&ugrave; di altri 75 km, beviamo un the caldo, &egrave; qui che ci salutiamo, lui va verso Gothenburg, io Oslo. Forse non ci vedremo mai pi&ugrave; ma gli sono grata per l&rsquo;aiuto ricevuto. Do gas, sono in ritardo, gli amici mi aspettano. Trascorro una serata bellissima con Birgit e Sigmund&nbsp; (il mio angelo custode), sono ospitali e gentili, il trike &egrave; al caldo nel loro garage, la cena &egrave; ottima, conversiamo tutta la serata in inglese. Domenica invece problemi col traghetto, non possono cambiare la prenotazione, sono stanca, ho dormito malissimo in un B&amp;B di Oslo carissimo e gelido , &egrave; domenica ed &egrave; tutto chiuso, non ci penso due volte, ricompro il biglietto, voglio partire oggi! E poi Carletto mi ha detto: &laquo;mamma, mi manchi tanto&raquo;, voglio tornare a casa. Kiel mi accoglie col sole, parto con 25 gradi Fahrenheit che lungo la strada diventano 30, sto bene non accendo calzini e guanti, soltanto la sera a Fulda scopro di aver viaggiato tra -5&deg;C e zero, a me sembrava primavera! Il giorno dopo prendo un sacco di neve, ma sono allegra, canto, il respiro si cristallizza all&rsquo;interno del casco, sulla visiera si formano tante stelline ghiacciate. Nonostante sia partita tardi decido di cambiare strada e passare per Garmisch. Un mio amico saggiamente mi aveva detto di evitare ma io non resisto, sono curiosa. Oltrepassato il confine con l&rsquo;Austria inizia la 179, una strada di montagna resa impegnativa dalla neve, un susseguirsi di curve e tornanti in mezzo ad abeti altissimi, pendenze fino al 12%, mi piace. Stefano aveva ragione ma sono contenta di non essere stata saggia, guidare fino ad Innsbruck &egrave; stato un vero piacere! Mio padre al ritorno non faceva mai la strada dell&rsquo;andata. Aveva ragione. Il rientro in Italia &egrave; veloce, la temperatura &egrave; clemente e i km scorrono, gioved&igrave; a pranzo sono a Roma, faccio una sorpresa a mio marito, &egrave; grazie a lui se ho potuto fare tutto questo, mi ha sostituito in famiglia e sul lavoro. Passo in ufficio e la sera finalmente a casa! Ho percorso tanta strada nelle condizioni pi&ugrave; disagiate, non ho avuto modo di visitare le citt&agrave; attraversate a causa del poco tempo, il viaggio &egrave; stato costoso ma il mio 1&deg; Krystall Rally rimarr&agrave; uno dei ricordi pi&ugrave; belli: panorami da togliere il fiato, amici che mi hanno fatto sentire il loro sostegno, nuovi amici accomunati dalla stessa passione ed una gran prova con me stessa. Ho letto una frase, la faccio mia: &ldquo;Solo chi rischia di andare troppo lontano, avr&agrave; la possibilit&agrave; di scoprire quanto lontano riesca ad andare&rdquo;. Il viaggio in numeri: 12 giorni, 4.500 km, 100 km/h di media in movimento, 82 km/h di media totale, 360 litri di benzina, 6 gli italiani al Krystall Rally, 1 solo trike!  

La prima volta in Norvegia

Un sedicenne attaccato alla valigia di pap&agrave; e un fresco pilota di enduro trascinato da un amico sui granelli di sabbia in Tunisia alla corte di Ciro De Petri, uno con il naso lungo...  &nbsp;  Sole, caldo, deserto, dune e tanta tanta sabbia per una settimana. Il Tunisia Desert Cup &egrave; organizzato da un personaggio che di chilometri nel deserto ne ha macinati tanti come pilota ufficiale quando la Dakar si correva in Africa, Ciro De Petri, che da alcuni anni organizza questo evento. Lo scopo &egrave; quello di divertirsi e di imparare qualche segreto per oltrepassare le famigerate dune, perch&eacute; girare in questi posti &egrave; molto divertente ma se non si &egrave; attenti e concentrati il deserto non perdona. Rispetto verso le dune e il deserto, ecco la prima regola. La seconda invece &egrave; quella di guidare con l&rsquo;avantreno della moto leggero per tenerlo fuori dalla sabbia, mentre la terza &egrave; quella di seguire delle linee ideali lungo le dune. Anis, la guida tunisina, medico e soprattutto nove volte campione tunisino di enduro, &egrave; stato un insegnante DOC per tutti i piloti, che per quanto riguarda la navigazione invece hanno avuto un altro insegnante d&rsquo;eccezione,&nbsp; Giacomo Vismara, un veterano delle Dakar con ben venticinque edizioni disputate. Navigazione col GPS, ogni pilota aveva in dotazione questo strumento con le rotte da seguire. Al Tunisia Desert Cup si dorme in strutture eleganti e si mangia in bivacchi nella natura selvaggia, e si &egrave; a stretto contatto con personaggi come Alex Caffi (gi&agrave; pilota di Formula3), Giacomo Vismara, Claudio Terruzzi che era in squadra con Ciro De Petri, alla guida del suo Cagivone degli anni d&rsquo;oro della Parigi-Dakar, Arnaldo Farioli (il pilota di enduro che avvi&ograve; l&rsquo;importazione delle KTM in Italia), Piero Polini, della nota Polini Motori, marca di elaborazioni e minimoto da gara, e un tale Giacomo Agostini, che per qualche giorno ha raggiunto la &ldquo;carovana&rdquo; del Tunisia Touring Cup con una MV Agusta Brutale 675. Da una parte Ciro, che &egrave; tornato a guidare la Cagiva delle sue Dakar &laquo;che devi sempre portare al limite con quel motore cos&igrave; aggressivo. Negli anni delle gare in Africa la portavo per tutta la giornata, ora invece dopo pochi chilometri non riesco pi&ugrave; a guidarla&raquo;. Dall&rsquo;altra, tra i partecipanti, alcuni debuttanti della guida sulle dune. Uno &egrave; rientrato in Italia dopo solo una giornata per una brutta caduta tra le dune, appunto. Gli altri due si sono divertiti come bambini e uno non lo &egrave; pi&ugrave; in fondo da poco. Michele, da Caserta, dopo la dura e impegnativa tappa inaugurale voleva tornare a casa, ma dal secondo giorno in poi non voleva pi&ugrave; scendere dalla moto: &laquo;Un&rsquo;esperienza inaspettata, al di fuori di ogni previsione, frutto di una passione nata da pochi anni per l&rsquo;enduro e confermata pi&ugrave; che mai da questo viaggio nel deserto. In un paesaggio mozzafiato, difficile da immaginare fino a quando non lo vivi, mi sono scontrato con la mia forza fisica e di volont&agrave;, con la paura di restare &ldquo;impantanato&rdquo; tra le dune ma soprattutto con la gioia nel riuscire a superare gli ostacoli&raquo;. E poi c&rsquo;era Luca, sedici anni, che dall&rsquo;et&agrave; di quattro corre in moto. &laquo;Mi sono aggrappato alla valigia di mio padre perch&eacute; mi portasse. Per mesi l&rsquo;ho stressato e tutti i giorni ripetevo che volevo venire qui con lui. Durante il viaggio mi sono fatto un mare di domande e mi chiedevo come poteva essere la sabbia, la sua consistenza, sicuramente diversa da quella delle piste di Cremona o Mantova dove corro con la mia Honda nel campionato regionale lombardo di cross. Il primo giorno l&rsquo;emozione era alle stelle ma l&rsquo;ho presa con calma, ho studiato le dune e i piloti pi&ugrave; forti di me. Ma dal secondo giorno in poi ho dato pi&ugrave; confidenza alla sabbia tunisina. Un&rsquo;esperienza unica&raquo;.    

La prima volta in Tunisia

Dallo scooter in citt&agrave; alla sfida pi&ugrave; impegnativa contro le volpi del deserto: un avvocato romano prossimo ai 50 anni trasforma in realt&agrave; il suo sogno di correre fra le Ande e il Pacifico    Ottomila chilometri fra Lima e Santiago, attraverso il Per&ugrave; e l&rsquo;Argentina per raggiungere il traguardo in Cile. Questa, oggi, &egrave; la Dakar: una maratona nata trentaquattro anni fa e che inizialmente partiva da Parigi per approdare fra i deserti africani. Per motivi politici e di sicurezza &egrave; stata trapiantata nel continente sudamericano da cinque edizioni, ma conserva il suo storico nome e, soprattutto, il suo fascino di gara capace di attrarre, ogni anno, centinaia di sfidanti: in moto, sul quad, in auto o con i giganteschi camion. Dalla sabbia all&rsquo;oceano, dagli sterrati pietrosi alle insidie del fesh fesh (sabbia inconsistente come la polvere), la Dakar cela nel suo percorso tutte le difficolt&agrave; del fuoristrada, comprese le variazioni altimetriche: nelle speciali si passa da zero a 3.850 metri sul livello del mare e nei trasferimenti si arriva quasi a 5.000 metri per attraversare le Ande. Nelle lunghe prove cronometrate servono nervi saldi e sangue freddo per mantenere la concentrazione. Il sole cocente, la pioggia e le raffiche di vento, poi, sono variabili capaci di condizionare anche i campioni. Servono resistenza fisica e preparazione mentale, capacit&agrave; tecniche e spirito d&rsquo;avventura. Doti che si affinano gradualmente, con l&rsquo;esperienza nelle competizioni minori. Alzi la mano chi se la sentirebbe di correre una Dakar avendo scoperto la moto da enduro soltanto cinque anni prima. Eppure succede: il fascino di questa estenuante maratona pu&ograve; calamitare anche chi gli sterrati li pratica da poco, o meglio, da troppo poco per affrontare ragionevolmente un&rsquo;impresa del genere. Ma la passione, si sa, non ha niente da condividere con la ragione.  Un campione per maestro Avviene cos&igrave; che un tranquillo professionista passi dal maxiscooter alle ruote artigliate e decida in breve di mettere nel suo obiettivo una Dakar. Schierarsi a fianco dei campioni del deserto: il sogno di moltissimi enduristi. Paolo Sabbatucci ce l&rsquo;ha fatta, &egrave; partito da Lima e ha percorso sei giorni di gara insieme ai &ldquo;grandi&rdquo;. Si &egrave; fatto male alla seconda tappa, ha stretto i denti ed &egrave; andato avanti nascondendo ai medici quella che poi si &egrave; scoperto essere una frattura del malleolo peroneale. Poi &egrave; stato tradito dal cambio, ma non conta: gli inconvenienti tecnici fermano tutti ma mettono un po&rsquo; di pepe al bagaglio delle storie da raccontare. A dare un pizzico di sicurezza in pi&ugrave; a Paolo Sabbatucci ha contribuito un &ldquo;maestro&rdquo; d&rsquo;eccezione: Franco Picco, che lo ha preso in squadra con Franco Panigalli, Fabio Mauri e Igaris Gintautas. Franco Picco, del resto, &egrave; uno dei miti di questa corsa. Ha sfiorato la vittoria per due volte, chiudendo alle spalle di Edi Orioli nel 1988 e di Gilles Lalay l&rsquo;anno dopo. Nel 2000 ha vinto in auto e dieci anni pi&ugrave; tardi ha festeggiato le &ldquo;nozze d&rsquo;argento&rdquo; con la Dakar conquistando la classe Marathon a 55 anni. Da qualche anno Franco Picco mette il suo talento a disposizione degli appassionati, e partecipa alla Dakar senza guardare alla classifica, ma accompagnando chi ha tanto coraggio da provare l&rsquo;avventura delle competizioni.  &ldquo;La Dakar &egrave; come un tarlo...&rdquo; - Cosa spinge un avvocato di 47 anni a fare armi e bagagli per la Dakar? Un approccio felice con le due ruote fin da bambino? &laquo;Il mio primo contatto con una moto non &egrave; stato un granch&eacute; - racconta Paolo. - Avevo sette anni quando provai la piccola moto da cross di un mio amico. Tempo due minuti e finii contro una recinzione. Non faceva per me! Molti anni dopo ho preso un maxiscooter per girare in citt&agrave;, ma era un&rsquo;esigenza dettata dal lavoro. Nel 2003 arriva la prima Harley-Davidson Electra Glide seguita da una pi&ugrave; sportiva Nightster, da una BMW GS 1150 ADV e da una Honda Dominator. La vera passione l&rsquo;ho scoperta per&ograve; solo cinque anni fa, quando ho iniziato a praticare enduro con gli amici del Moto Club Roma. Mi hanno aiutato nella scelta della mia prima moto: io forse ne avrei comprata una da trial, tanto poco ne capivo! Nel 2008 ho fatto il mio primo viaggio nel deserto con Franco Picco. Ho visto la sabbia e sono caduto dopo un metro. Sono caduto altre decine di volte fino a capire con i consigli di Franco che per guidare sulla sabbia non devi chiudere mai il gas! Da quel momento pura goduria&raquo;. - Perch&eacute; proprio la Dakar? &laquo;Rappresenta il top, anche sotto il profilo dell&rsquo;entusiasmo e del coinvolgimento. A me piace andare fino in fondo nelle cose che faccio, per questo una volta scoperto il fuoristrada era giocoforza partire per la maratona pi&ugrave; impegnativa. La Dakar &egrave; un punto d&rsquo;arrivo, un tarlo che ti viene nella testa, una sfida con te stesso, un modo per capire fin dove pu&ograve; arrivare il tuo spirito di sacrificio. Per settimane sono andato a dormire pensando a lei... alla Dakar. Continuavo a immaginare il giorno dello start, come controllare le emozioni della prima tappa, la posizione di guida, la velocit&agrave; da tenere... E poi continuavo a comprare cose da portare, per dormire e mangiare al bivacco, con il timore di dimenticare qualcosa&raquo;. - La Dakar &egrave; affascinante ma anche pericolosa. &laquo;La stampa non specializzata parla di noi come se fossimo gente allo sbando. Invece siamo consapevoli dei rischi, che secondo me sono anche minori di quelli che si corrono girando in scooter a Roma, dove la tua incolumit&agrave; dipende da molte variabili&raquo;. - Come hai affrontato la partenza? &laquo;Con tante emozioni. Il giorno prima ti prepari meticolosamente per stemperare l&rsquo;adrenalina, metti gli adesivi sul casco, sulla giacca e sulla moto, decidi se devi portarti la macchina fotografica piuttosto che il portafogli, il kit di attrezzi e il cibo... Ti sembra di essere in ritardo su tutto. La mattina dopo, con la vestizione capisci che stai per partire. Ti senti bene perch&eacute; sei lindo e pulito, anche se un quarto d&rsquo;ora dopo avrai polvere e fango dappertutto. Poi entri al parco chiuso, vedi la moto e ti unisci a lei, che diventa la tua complice: deve avere forza e pazienza, perdonarti se sbagli. E non si deve rompere&raquo;. - Com&rsquo;&egrave; stata la prima tappa? &laquo;Dopo un lungo trasferimento abbiamo affrontato una speciale di 13 chilometri da fare tutta a manetta... ero molto emozionato, anche perch&eacute; parti in mezzo a due ali di folla: mi sentivo osservato e avevo paura di cadere. La partenza era in cima a un rettilineo: ho guardato avanti e ho visto un drappello di persone. Mi sono chiesto il perch&eacute; e quando ci sono arrivato l&rsquo;ho scoperto: c&rsquo;era il primo &ldquo;saltino&rdquo;. Cos&igrave; ho capito che dove il pubblico si assiepava c&rsquo;erano punti difficili. Poich&eacute; avevo un numero molto alto, il 182, mi preoccupava l&rsquo;idea di trovare i giorni successivi il percorso rovinato dal passaggio di chi mi precedeva. Anche la polvere mi dava pensiero, perch&eacute; rende difficile i sorpassi. In quei primi 13 chilometri, senza voler rischiare troppo, sono quindi riuscito a risalire una trentina di posizioni. La notte al bivacco ho sentito di fare veramente parte della carovana della Dakar. Avevo addosso la soddisfazione di aver superato la prima giornata della gara di enduro pi&ugrave; impegnativa al mondo&raquo;. - E i giorni successivi? &laquo;La seconda e la terza tappa sono state durissime, lo ha detto anche Picco. Io per&ograve; ho guidato in scioltezza, perch&eacute; non mi sentivo pi&ugrave; osservato. La seconda giornata ci ha immersi in un paesaggio sterminato di sabbia. Una speciale di 242 km fra le dune: faceva caldissimo e c&rsquo;era anche il rischio di surriscaldare il motore. La distesa di sabbia era a tratti abbagliante: una vera sfida per gli occhi. Al quarantesimo chilometro della seconda tappa ho visto la moto incendiata dell&rsquo;argentino Pablo Alejandro Busin. Era un tratto di barcane, dunette a mezzaluna in serie che richiedono molta attenzione perch&eacute; arrivare con la velocit&agrave; sbagliata o fuori ritmo provoca vibrazioni insopportabili e ti fa perdere il controllo della moto che si &ldquo;imbarca&rdquo;. E cos&igrave; ho focalizzato di nuovo la difficolt&agrave; della gara. In quella tappa sono caduto anche io: scendevo da una duna cass&eacute; resa ancora pi&ugrave; impervia dal passaggio dei piloti che mi precedevano. Nel risalire ho dato gas in contropendenza e la moto ha fatto quello che in gergo si chiama un &ldquo;trecentosessanta gradi&rdquo;. Sono rimasto con la gamba incastrata sotto, ma sono riuscito a rialzarmi. Il piede sinistro mi faceva molto male e mi impediva di tirar su la moto. A un paio di centinaia di metri c&rsquo;erano degli spettatori: mi sono sbracciato e sono venuti ad aiutarmi. Hanno fatto ripartire la moto e da l&igrave; in poi ho guidato come se avessi una gamba sola, tanto era il dolore. La sera avevo la caviglia gonfia e nera, ma non volevo farmi vedere dai dottori perch&eacute; temevo che mi fermassero. Quando mi hanno visitato ho negato di avere qualsiasi tipo di fastidio e mi hanno fatto una fasciatura rigida che mi ha consentito di continuare. Di l&igrave; in poi ho pensato solo a guidare con prudenza, perch&eacute; quando cadi vai in affanno, perdi sicurezza e tranquillit&agrave; e ti ci vuole un bel po&rsquo; prima di riprendere il ritmo&raquo;.    Nuvole di sabbia - Sei caduto altre volte? &laquo;S&igrave;, una caduta che mi ha preoccupato &egrave; stata il quarto giorno. Era una speciale di circa 280 chilometri, che ad un certo punto prevedeva una discesa talmente ripida che quella di Iquique sembrava un gioco da ragazzi. Dopo un pezzo di salita sassosa, durissima per le braccia, mi trovavo su un tratto di fesh fesh quando il Sentinel ha cominciato a farsi sentire: segno che avevo un concorrente dietro di me. Era un camion. Mi ha sorpassato e ha sollevato tanta polvere che per due o tre minuti non ho visto pi&ugrave; niente. Sono caduto, ho rialzato subito la moto ma ho temuto di essere centrato in pieno da qualche altro pilota. Per darvi un&rsquo;idea della visibilit&agrave;, vi posso solo dire che il sesto giorno di gara, al quarto chilometro &egrave; caduto il pilota lituano Igaris Gintautas, che era in squadra con noi. Io gli sono passato accanto pochi minuti dopo e non l&rsquo;ho visto per il polverone che c&rsquo;era. Lo svantaggio di partire dietro e di perdere terreno per un infortunio &egrave; che auto e camion ti raggiungono, massacrano il terreno e non sempre ti rispettano&raquo;. - Hai subito qualche prepotenza? &laquo;Ero su una pista stretta, dove auto e moto insieme non possono passare. Dietro di me c&rsquo;era una Mini che nel superarmi mi ha urtato sulla pedana e sullo stivale, facendomi cadere e continuando la sua gara. All&rsquo;arrivo ho fatto reclamo, ma non &egrave; stato preso nessun provvedimento...&raquo; - Il tempo per guardare il paesaggio lo hai avuto? &laquo;Te lo prendi per forza, anche se sei concentrato in gara. La Dakar &egrave; bellissima anche per questo. Mi sono rimasti impressi una gola di sabbia con un fondo pietroso il secondo giorno, e poi la quarta tappa, quando siamo arrivati a lambire l&rsquo;Oceano. &Egrave; suggestivo perch&eacute; i colori ocra del terreno arido si scontrano con il blu del mare. Ho visto dune da 1.500/2.000 metri, discese a perdifiato, deserti sterminati...&raquo; - Ma tu di tecnica te ne intendi? &laquo;Per niente... Sono partito con un bellissimo kit di attrezzi, ma in cuor mio speravo di non doverne mai fare uso. Picco dice che con una moto a iniezione si possono avere problemi per la sabbia e la qualit&agrave; della benzina, mentre &ldquo;la moto a carburatori la sistemi sempre&rdquo;... Ma con le mie conoscenze tecniche questo discorso non valeva, cos&igrave; abbiamo rischiato scegliendo una moto a iniezione. Chi l&rsquo;avrebbe detto che il problema sarebbe arrivato invece dal cambio! Alla sesta tappa, dopo un tratto impegnativo ero su un pianoro veloce quando ho sentito che qualcosa non andava... ho capito che era finita. Ma non me la sono presa con la moto, qualche giorno prima ero caduto io...&raquo;. - Com&rsquo;&egrave; stata la Dakar sotto il profilo della guida? &laquo;Ho trovato molti tratti tecnici e impegnativi fin dalla seconda tappa, con fesh fesh, sassi, buche... Non pensavo che si entrasse nel vivo delle difficolt&agrave; cos&igrave; repentinamente. Rappresenta tutte le tipologie di enduro estremo, con in pi&ugrave; la difficolt&agrave; di speciali lunghe, che ti stancano fisicamente. E poi ci sono delle prove che non penseresti mai di superare. Nel mezzo di una speciale mi sono ritrovato in cima a un&rsquo;enorme duna cass&eacute;. C&rsquo;era il servizio medico, perch&eacute; avevano appena portato via in elicottero due piloti caduti. Mi sono fermato a guardare cosa c&rsquo;era dall&rsquo;altra parte: una discesa ripidissima, tutta di sabbia, con un dislivello di ottocento metri. In montagna ci sono i tornanti, ma una duna cass&eacute; la puoi affrontare solo chiudendo gli occhi e buttandoti. Vietato frenare, persino rallentare, altrimenti la ruota anteriore si insabbia e ti cappotti. Due medici mi hanno consigliato di riposarmi e mangiare qualcosa prima di scendere. In questi casi devi vincere la paura: la razionalit&agrave; ti dice che non si pu&ograve; procedere, ma se altri cento ci sono riusciti, significa che si pu&ograve; fare. Quando mi sono sentito pronto ho rimesso il casco e ho spalancato il gas. Mi sono ritrovato alla fine della duna con il cuore in gola e circondato da un gruppo di appassionati che mi acclamava come un campione. Chi mi dava pacche sulle spalle, chi mi offriva bevande energetiche, chi mi chiedeva un autografo o una foto... Ancora una volta mi sono sentito un pilota, di quelli autentici&raquo;. - Stanchezza? &laquo;Tanta, anche perch&eacute; prove simili consumano soprattutto a livello psicologico. Alla complessit&agrave; delle speciali e al consumo dei liquidi devi aggiungere la fatica mentale. Anche perch&eacute; io non sono un pilota professionista, mi emoziono ancora e a fine tappa mi sento svuotato. Per prepararmi faccio spinning due volte a settimana, pesi leggeri cinque volte e un paio di sessioni di aerobica. Picco mi ha consigliato il campo da cross, anche perch&eacute; ti d&agrave; un riferimento cronometrico&raquo;.  La solidariet&agrave; - Qual &egrave; l&rsquo;atmosfera che si respira al bivacco? &laquo;C&rsquo;&egrave; molta solidariet&agrave;, anche se fra piloti, meccanici, medici e addetti ai lavori eravamo in tremila. E devi convivere con il rumore: gruppi elettrogeni, trapani, pistole pneumatiche, meccanici che provano... sempre, anche di notte. Il pubblico non pu&ograve; entrare, ma ti saluta attraverso le recinzioni. Ho avvertito una passione fortissima per i motori: i fan ti aspettano lungo il percorso e ci sono anche signore di sessant&rsquo;anni che ti acclamano quando passi. C&rsquo;&egrave; rispetto dell&rsquo;abilit&agrave; altrui, non invidia. E se vedi un pilota a terra, &egrave; un problema anche tuo. Il motto &egrave; &ldquo;aiuta il prossimo fino al punto in cui non pregiudica il tuo arrivo al campo&rdquo;. Cos&igrave; io ho regalato i miei guanti all&rsquo;olandese Offringe, che alla quarta tappa era distrutto dalla stanchezza e aveva perso i suoi. Un&rsquo;altra volta, mentre ero in speciale nel fesh fesh ho visto cadere un pilota greco dopo che un camion l&rsquo;aveva sorpassato. Ho aspettato che ripartisse e siamo andati avanti insieme, ma poi si &egrave; fermato per un guasto tecnico. Mi ha detto: &ldquo;&Egrave; finita, vai&rdquo;. Ma se il problema fosse stato risolvibile non lo avrei lasciato&raquo;. - Cosa si fa dopo una Dakar? &laquo;Un&rsquo;altra Dakar. Parteciper&ograve; anche a qualche motorally per acquisire dimestichezza con altri terreni, ma l&rsquo;obiettivo &egrave; portare la regina delle gare nel deserto&raquo;.  

3 risultati per 'prima-volta'

La prima volta in Norvegia

La prima volta in Tunisia

La prima volta in America del Sud