Campioni del calcio, cantanti rock, personaggi del cinema e del jet set. Difficile resistere al fascino delle due ruote. E se da una parte, per gli sportivi - soprattutto per i calciatori -&nbsp;esistono diverse restrizioni, anche contrattuali,&nbsp;all&rsquo;uso della moto, possono invece sbizzarrirsi tutti gli altri. Scopriamo, in questa carrellata di &quot;Very Important Person&quot;, chi sono i pi&ugrave; accaniti motociclisti nel firmamento delle star, iniziando proprio dai campioni del calcio&hellip; come&nbsp;Francesco Totti, nella foto in alto, che&nbsp;non resiste alla tentazione di saltare in sella alla Ducati MotoGP di Andrea Dovizioso.

Campioni del calcio e stelle del cinema: che gioia sulla moto!

Tanta strada per Francesco Loreti e la sua BMW K 1200 S; che abbiamo spedito direttamente al banco, per scoprire, dopo mezzo milione di km, se ha ancora CV da vendere

500.000 km con una BMW K 1200 S - FOTO

        Innamorarsi di un mezzo al punto tale, da ritenerlo insostituibile. Capita! Soprattutto quando smetti di considerare la meccanica come un freddo agglomerato di acciaio, metallo, tubi e componentistica varia, e inizi a cercare l&rsquo;anima tra le pieghe di un cilindro; a percepire la tua moto come qualcosa di vivo. Se poi il nome che hai dato al tuo destriero &egrave; quello del leggendario cavallo di Alessandro Magno, Bucefalo, ecco che una carriera motociclistica come tante pu&ograve; trasformarsi in un&rsquo;incredibile avventura. Una memorabile corsa a tappe, alla conquista di mete dal fascino immortale, lunga ben 500.000 chilometri. Questa la distanza percorsa da Francesco Loreti con la sua BMW K 1200 S dal 2005 a oggi. Una storia di moto e passione, che richiama le suggestioni letterarie del miglior Pirsig (indimenticato autore de &ldquo;Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta&rdquo;), e che Loreti ha voluto raccontare in un libro di prossima uscita: &ldquo;Omo Nero &amp; Bucefalo - Mezzo milione&rdquo;. Abbiamo deciso di incontrarlo per un&rsquo;interessante chiacchierata. Bucefalo, invece, l&rsquo;abbiamo spedita direttamente al banco per scoprire, 500.000 chilometri dopo, se ha ancora CV da vendere. BMW K 1200 S. Perch&eacute; hai scelto lei? Raccontaci quando e com&rsquo;&egrave; nata questa storia d&rsquo;amore&hellip; "Sono un appassionato di viaggi. Quindi per me la caratteristica pi&ugrave; importante che deve avere una moto &egrave; un ottimo fattore comfort; ma deve anche essere capace di una buona velocit&agrave; di punta. Questo mi ha portato a scegliere la serie K della BMW, a partire dalla mia prima K 100 1000 con motore quadricilindrico longitudinale. Subito dopo ho avuto una K 1200 RS - con la quale mi sono anche sposato - per poi approdare, nel 2005, alla K 1200 S. Esteticamente la trovavo pazzesca, e poi per BMW rappresentava una grande innovazione, per l&rsquo;arrivo del 4 cilindri fronte marcia. Andai appositamente all&rsquo;Intermot di Monaco per vederla. Poi quando la provai me ne innamorai follemente. Il nuovo motore abbassava il baricentro e rendeva tutto pi&ugrave; comodo e facile da gestire. Anche la tenuta di strada era notevole per via del passo lungo. Ricordo che BMW la proponeva in colori, diciamo cos&igrave;, un po&rsquo; &ldquo;teutonici&rdquo;. La mia, una volta che la ebbi tra le mani, la feci verniciare subito di nero, un colore che ho sempre adorato. Dopodich&eacute;, come per tutte le altre che la hanno preceduta, ho iniziato a usarla per i miei viaggi, che puntano prevalentemente su paesi con qualcosa da raccontare, vista la mia enorme passione per la storia". Hai mai vacillato? Ci sono state altre moto che avresti voluto avere, magari di altri brand?&nbsp; "Io, in pratica, ho sempre avuto BMW. In passato, parliamo degli anni &lsquo;90, ho viaggiato anche con R 80 G/S Paris Dakar, ma devo riconoscerlo: ogni volta che mi sono interrogato sul modello migliore, per quanto riguarda il mio modo di usare la moto, alla fine sono sempre ricaduto sulla serie K. Pensa che dopo la 1200 S ho acquistato anche una K 1300 S, con cui ho percorso circa 75.000 km prima di venderlo. Le ho avute entrambe contemporaneamente, ma tra le due preferii tenere il 1200.Una volta ammetto di aver provato, incuriosito, una Honda VFR1200F, ma non &egrave; scattato il feeling. Poi, certo, da amante della velocit&agrave;, oltre che dei viaggi, ti confesso di aver avuto anche una Suzuki Hayabusa, con cui amavo andare a girare al Nurburgring, tragitto dall&rsquo;Italia compreso". &nbsp; E invece il boxer non ti ha mai attratto? La RT, ad esempio, mi sembra particolarmente in linea con quel che cerchi... "No, assolutamente. Di sicuro rispetto alla RT sar&agrave; meno agile, ma per me l&rsquo;impostazione di guida della serie K, col suo passo lungo, che la rende stabile e rigorosa sui curvoni veloci, non si batte".&nbsp;&nbsp; Generalizzando, spesso la tendenza &egrave; quella di acquistare una moto, farci 20.000 km e poi cambiarla. Cosa spinge, invece, a sceglierne una e tenerla per 500.000 km? "Avendo la possibilit&agrave; economica di cambiare, di mio cerco sempre di assicurarmi il modello migliore per le mie esigenze. Ora, ti sembrer&agrave; strano, ma negli anni, non sono riuscito a trovare nessuna degna sostituta di questa K 1200 S. Per me rimane un riferimento attualmente insuperato. Senza parlare, poi, dell&rsquo;affidabilit&agrave; fuori dalla norma. Con la manutenzione ordinaria effettuata presso la rete ufficiale BMW, e l&rsquo;ovvia sostituzione di componentistica che andava usurandosi, non ho mai avuto problemi importanti. Non c&rsquo;&egrave; mai stato un viaggio, in questi lunghi anni, in cui - al netto di qualche piccolo inconveniente risolto nel mentre - non sia potuto ripartire. Poi che ti devo dire, sono stato a Capo Nord 4 volte. Con un GS, non so se l'avrei fatto, con la K 1200 S, invece, &egrave; stato un gioco da ragazzi; e oggi ripartirei esattamente con lei, anche se ha 500.000 km".&nbsp; &nbsp; Ci racconti da dove viene il nome Bucefalo con cui chiami la tua moto? "Come ti dicevo sono un appassionato di storia. Bucefalo &egrave; il nome del cavallo di Alessandro Magno, che vidi per la prima volta, da bambino, durante una visita al museo di Napoli. Ricordo che mio padre me lo descrisse come un cavallo quasi magico. Una cosa che colp&igrave; talmente tanto la mia fantasia, che poi, da adulto, ho voluto associare quel nome all&rsquo;idea di cavallo che abbiamo oggi, la moto; che in fondo rappresenta per un moderno cavaliere, quello che rappresentava il cavallo una volta. Moto che ho sempre trattato come un essere vivente".&nbsp; Insieme avete vissuto tante avventure&hellip; raccontami la pi&ugrave; bella e la pi&ugrave; brutta.&nbsp; "La pi&ugrave; bella &egrave; stata il viaggio a Dakar. Senza spedire la moto, non l&rsquo;ho mai fatto. Quindi con partenza e arrivo nel mio garage di Perugia. Un viaggio in solitario, non privo di qualche problemino tecnico. Come ad esempio in Mauritania. Mi ero fermato per qualche scatto nel deserto e all&rsquo;improvviso la moto sembrava non voler ripartire pi&ugrave;. Poi, dopo una mezz&rsquo;ora di relativo panico - non &egrave; quello il posto dove uno si augura di rimanere bloccato per la notte - improvvisamente ripart&igrave;. Pi&ugrave; avanti appurai che si era trattato di un piccolo problema al motorino di avviamento. Tolto ci&ograve;, &egrave; stata un&rsquo;avventura incredibile. Ricordo ancora l&rsquo;emozione mentre attraversavo quei territori: la vegetazione, i baobab, la popolazione indigena; e poi, soprattutto tra il Sahara Occidentale e la Mauritania. Attraversare alcuni tratti di pista sabbiosa con una K 1200 S, una stradale, &egrave; stata una grande soddisfazione. Ma a lasciarmi senza fiato &egrave; stato in assoluto il lago Retba, uno specchio d&rsquo;acqua salata dall&rsquo;incredibile colorazione rosa, che era anche il punto di arrivo della Dakar degli anni &lsquo;80. Per me, pura mitologia". E invece la pi&ugrave; brutta? Insomma, ti sei mai detto, ma chi me lo ha fatto fare? "Si, in effetti &egrave; successo durante un viaggio in Armenia e in Georgia, con un gruppo di amici che avevo raggiunto a Lubiana, dove, per&ograve;, mi ritrovai con un problema all&rsquo;occhio molto fastidioso. Fui costretto ad andare in ospedale per sottopormi ad una piccola operazione. Ripartii con l&rsquo;occhio bendato e sotto antibiotici. Caso volle, per&ograve;, che anche Bucefalo si ammalasse: tutt&rsquo;a un tratto sembrava andare a 3 cilindri, non faceva pi&ugrave; di 100 km/h e dallo scarico usciva fumo bianco. Non mi persi d&rsquo;animo. Lasciai che gli altri proseguissero il viaggio e con un occhio solo e la moto in quelle condizioni, guidai da Lubiana alla BMW di Monaco di Baviera. Solo l&igrave;, mi era stato detto, avrebbero potuto risolvere il problema velocemente. E in effetti, cos&igrave; fu. Sistemata la moto, a quel punto, avevo gi&agrave; avvisato mia moglie che sarei tornato a casa, ma mentre guidavo verso l&rsquo;Italia - la bella giornata, la moto che andava bene, l&rsquo;occhio che non mi dava pi&ugrave; fastidio, e un pizzico di pazzia - cambiai idea e raggiunsi i miei amici in Georgia; ma le disgrazie non erano finite: nel prosieguo del viaggio, a causa di una brutta buca, spaccai, in pratica, la sospensione anteriore. Per fortuna, in qualche modo, Bucefalo riusc&igrave; a riportarmi a casa".  Nel corso degli anni, hai sentito la moto cambiare molto meccanicamente?&nbsp; "Nel 2015, di ritorno dai BMW Motorrad Days a Garmisch-Partenkirchen - avevo gi&agrave; superato i 300.000 km - mi accorsi che la moto iniziava a consumare olio in maniera anomala. Inoltre, notavo anche problemi di calo della potenza e difficolt&agrave; a raggiungere una certa velocit&agrave;. In vista di un imminente viaggio a Capo Nord, Alberto Palma, che si &egrave; sempre preso cura di Bucefalo, me la sistem&ograve; temporaneamente, raccomandandosi di non strapazzarla troppo. Poi, al rientro, fece un lavoro di intervento pazzesco: smont&ograve; totalmente il motore e lo rimise a nuovo. Quando mi riconsegn&ograve; la moto, al momento di partire insieme, io e lui, per un viaggio in Marocco, Bucefalo era di nuovo capace di fare i 270 km/h. Con un po&rsquo; di fatica, ma ce la faceva. La moto era rinata". E adesso cosa farai? La terrai? La cambierai?&nbsp; "Ti racconto un aneddoto. Era il 2004, ero ai Motorrad Days di Garmisch. Feci la foto al contachilometri della moto di un tedesco, un GS che segnava 178.000 km. Ricordo che provai sincera ammirazione per lui. Ora, con la mia, ne ho fatti 500.000. E di lei mi fido pi&ugrave; di una moto nuova. Torno a ripetermi: ad oggi, non saprei proprio come sostituirla". Nella pagina seguente i risultati della prova al banco dopo 500.000 km&nbsp;  &nbsp; CONFRONTO RISULTATI CON PROVA AL BANCO In che modo incide una percorrenza di 500.000 chilometri su una moto in termini di perdita di potenza e prestazioni? Sicuramente, molto dipende dalle cure che ha ricevuto nel tempo, ma anche la bont&agrave; complessiva del progetto ha un valore determinante. Per scoprirlo abbiamo deciso, con Francesco Loreti, di portare la sua BMW K 1200 S al banco con lo scopo di confrontare i risultati ottenuti, con i nostri rilevamenti effettuati nel lontano 2005. Il responso lascia di stucco.  Potenza rilevata da In Moto nel 2005: 148.79 CV a 8.950 giri/min; potenza rilevata dopo 500.000 km: 142.29 CV a 9.631 giri/min.&nbsp; Coppia massima rilevata da In Moto nel 2005: 127 Nm a 7.800 giri/min; coppia massima rilevata dopo 500.000 km: 117,48 Nm a 7.838 giri/min. PERCORSO MANUTENZIONE MOTO Per quanto riguarda l&rsquo;iter di officina seguito dalla moto, lasciamo la parola ad Alberto Palma, lo &ldquo;specialista&rdquo; che se n&rsquo;&egrave; preso cura in questi anni. &ldquo;Il percorso per la manutenzione ordinaria e straordinaria &egrave; stato, per il raggiungimento dell'obiettivo, lungo ma minuzioso. Proprio per questo siamo riusciti, insieme a Francesco e Bucefalo, a tagliare il traguardo dei 500.000 km. Premetto che sulla moto sono stati eseguiti tutti i tagliandi di manutenzione prescritti dalla casa madre ogni 10.000 km; invece, per la manutenzione straordinaria, ci siamo basati, sia sulle indicazioni specifiche di&nbsp; BMW, che sulle nostre competenze meccaniche. Di seguito, la lista di componenti meccanici sostituiti durante i chilometri percorsi, dividendoli in prima e dopo l'importante intervento al motore effettuato a 316.000 km: Al km 44.000 sono stati rimpiazzati gli ammortizzatori originali con una coppia di sospensioni Ohlins. Al km 92.000 &egrave; stato sostituito il cuscinetto principale della coppia conica. Al km 120.000 &egrave; stato sostituito il pacco delle lamelle della frizione e la catena della distribuzione. Al km 174.000 &egrave; stata sostituita la ruota libera del motorino di avviamento Al km 192.000 sostituzione della girante della pompa acqua. Al km 205.000 sono stati sostituiti due cuscinetti dell'albero del cambio e l'albero di trasmissione. Al km 218.000 sono state sostituite le 4 bobine e &egrave; stato fatto un intervento di riparazione all'impianto elettrico. Al km 224.000 e 234.000 sono state sostituite le pompe del freno e della frizione al manubrio. Al km 250.000 a seguito dell'azione di richiamo &egrave; stata sostituita la flangia di supporto della ruota posteriore. Al km 271.000 &egrave; stata fatta la revisione della coppia di sospensioni Ohlins. Al km 276.000 &egrave; stato sostituito l'attuatore idraulico della frizione. Al km 316.000, sono stati sostituiti i seguenti particolari: radiatore,catena della distribuzione con pattini,campana completa della frizione,bronzine di banco e di biella,cuscinetti del cambio,set completo di guarnizioni. Al km 402.000 &egrave; stata sostituita la centralina ZFE. Al km 408.000 &egrave; stato sostituito l'albero di trasmissione. Al km 431.000 &egrave; stato sostituito il braccio anteriore della forcella e i due snodi sferici Al km 441.000 sono state sostituite le sospensioni Ohlins con le due nuove sospensioni originali. Al km 478.000 &egrave; stata sostituita la campana della frizione con tutti i dischi&rdquo;.       

Tanta strada per Francesco Loreti e la sua BMW K 1200 S; che abbiamo spedito direttamente al banco, per scoprire, dopo mezzo milione di km, se ha ancora CV da vendere

500.000 km con una BMW K 1200 S: i risultati della prova al banco!

Il motociclismo italiano&nbsp;perde un altro tassello della sua storia sportiva ed industriale. E&#39; morto ieri,domenica 5 aprile,&nbsp;Riccardo Pierobon o,&nbsp;come&nbsp;era soprannominato, Ricky One.&nbsp; Lo vogliamo ricordare in una intervista fatta da Riccardo Piergentili nel 2016 sulle pagine di In Moto.   Lo chiamano Ricky One (soprannome assegnatogli da Ben Bostrom) anche se all&rsquo;anagrafe, nel 1934, fu registrato col nome di Riccardo. Fisico asciutto, una vita dedicata alle moto e allo sport. Occhi chiari, sguardo sempre vigile, cuore e spirito da ragazzino. Parlare con Riccardo Pierobon, il fondatore dell&rsquo;engineering a conduzione familiare che collabora con diverse grandi Case motociclistiche, &egrave; innanzitutto una meravigliosa esperienza di vita. Ricky One &egrave; una persona genuina, uno di quelli che, con una semplicit&agrave; disarmante, &egrave; in grado di farti capire quanto sono importanti la seriet&agrave;, la professionalit&agrave;, la voglia di fare e i sacrifici. &Egrave; in grado di farti capire perch&eacute;, partendo da zero, &egrave; riuscito a costruire un&rsquo;azienda, che ora viene gestita dal figlio, Massimo. Nessuna agevolazione; solo lavoro, lavoro e lavoro. E voglia di faticare e di superare gli ostacoli. Questa &egrave; la ricetta per emergere e restare a galla.&nbsp;Ricky One non ha solo visto nascere il motociclismo moderno: lui ha addirittura contribuito a farlo crescere.  NON SERVE LA LAUREA  Ricky One non &egrave; un ingegnere ma ha realizzato i telai di numerose moto di serie e di altrettante moto da corsa. Ha vissuto da protagonista gli anni in cui, come lui sostiene, &quot;A Bologna c&rsquo;era una fabbrica di moto ogni cento metri&raquo;. Ricky One &egrave; sempre stato un tecnico, un appassionato di quel fantastico mondo a due ruote che ha fatto sognare diverse generazioni. &quot;Quando lavoravo in Verlicchi e andavo in Ducati con i miei capi, io mi dirigevo da Farn&egrave;, Bordi e Martini, per parlare di tecnica. I dirigenti, invece, si chiudevano negli uffici, per discutere di contratti e di soldi. Io dovevo risolvere i problemi tecnici. Non ero bravo a fare il politico. Ho sempre preferito lo sport alla politica. A volte mi arrabbio con mia moglie. Lei vorrebbe seguire le trasmissioni in cui quei signori in giacca e cravatta parlano dei problemi del Paese, mentre io preferisco gustarmi una gara di moto, di auto, una partita di calcio, un incontro di boxe, un meeting di atletica. Neppure i ministri sanno cosa devono fare... Figuriamoci cosa possiamo saperne noi!&quot;.    LEZIONI DI VITA  Entrando nella engineering di Pierobon pensavamo di parlare solo di progettazione, telai, forcelloni, eccetera. E lo abbiamo fatto. Ma le lezioni di tecnica sono passate in secondo piano rispetto a quelle di vita. A volte ci si chiede perch&eacute; alcune aziende funzionano ed altre no. Le risposte le abbiamo trovate parlando con Ricky One... &quot;Ho lavorato in Verlicchi per oltre 30 anni, sia nel reparto produzione sia in quello corse, che considero un po&rsquo; mio. Tanti anni fa c&rsquo;era l&rsquo;esigenza di realizzare componenti racing, che spesso erano costruiti con la sega e la lima! Ad esempio, quando arrivarono i primi bicilindrici, c&rsquo;era l&rsquo;esigenza di sincronizzare i carburatori. Io inventai un comando gas abbinato a un bilanciere, che permetteva ai carburatori di funzionare correttamente. Un sistema semplicissimo, per&ograve; all&rsquo;epoca nessuno ci aveva pensato&quot;.  &nbsp;  &nbsp;  LE ORIGINI IN VERLICCHI  Di fatto, quindi, l&rsquo;azienda Pierobon nacque all&rsquo;interno della Verlicchi, per poi diventare la realt&agrave; indipendente che tutti conosciamo. All&rsquo;inizio l&rsquo;engineering venne gestita solo da Ricky One, che and&ograve; in pensione nel 1987. In seguito, Massimo raccolse l&rsquo;eredit&agrave; del padre per portare avanti l&rsquo;azienda di famiglia. Ricky One ormai si considera un pensionato con la voglia di pensare e disegnare qualcosa di nuovo nel tempo libero, perch&eacute; &quot;Invecchiando bisogna smettere di fare fatica fisica, ma non bisogna mai smettere di pensare&quot;. Anche se ha amato tanto le moto, il suo lavoro non gli manca, perch&eacute; ha visto l&rsquo;involuzione del mondo, della societ&agrave;, dell&rsquo;Italia. Ricky One ha vissuto gli anni del boom economico e gli anni in cui tutti volevano diventare costruttori di moto. &quot;A Bologna, partendo dalla vecchia funivia (oggi non esiste pi&ugrave;, ndr) che portava a San Luca, in un tratto di due, massimo tre chilometri, c&rsquo;erano ben diciotto aziende di moto! La Comet, la Berneg, l&rsquo;SCM, tanto per citarne tre. Dal 1955 al 1970 tutti costruivano moto!&quot;.    LA GAVETTA SERVE  Ora sta osservando la recessione, secondo lui inevitabile, sia per colpa di chi ci governa, sia per colpa di chi vorrebbe lavorare senza fare la gavetta. &quot;Purtroppo il mondo &egrave; cambiato, in peggio. E io posso dirlo perch&eacute; sono nato presto... Quando lavoravo in Verlicchi tutti avevano un forte attaccamento all&rsquo;azienda, che sapeva valorizzare il personale. Serviva uno strumento per terminare un lavoro? Si acquistava, senza dover fare troppa burocrazia. Non &egrave; mai mancato uno strumento di lavoro, perch&eacute; la dirigenza sapeva che dietro una richiesta tecnica c&rsquo;era una reale necessit&agrave;. E tutti i dipendenti trattavano questi strumenti come fossero loro. C&rsquo;era uno spirito di gruppo e si lavorava bene. Oggi, purtroppo, non &egrave; pi&ugrave; cos&igrave;, anche perch&eacute; mi sono accorto che &egrave; venuto meno il concetto di team. Spesso molti ingegneri non sono a conoscenza di ci&ograve; che avviene nell&rsquo;ufficio accanto... &quot;.  COMPUTER AL POSTO DEL TECNIGRAFO  Ricky One ha spiegato come &egrave; cambiato il lavoro di progettazione, che non ha portato solo vantaggi&hellip; &quot;Il tecnigrafo &egrave; stato sostituito dai computer, la carta e la matita dai programmi di calcolo e dal mouse. I vantaggi sono molteplici, ma il rischio di perdere di vista l&rsquo;obiettivo &egrave; elevato. Oggi non si pu&ograve; lavorare senza computer ma secondo me c&rsquo;&egrave; il rischio di perdere inventiva. L&rsquo;uomo e le sue idee restano alla base di ogni progetto e nessun programma pu&ograve; trovare le soluzioni ai problemi. Lavorando a compartimenti stagni e si &egrave; persa la visione d&rsquo;insieme, che a mio avviso &egrave; fondamentale, soprattutto per realizzare una moto, un veicolo molto pi&ugrave; complesso di quanto sembri. Insomma, non si pu&ograve; pretendere che una persona pensi per quattro ma neppure che quattro persone ragionino senza confrontarsi. Inoltre, quando lavoravo in Verlicchi mi ricordo che, sistematicamente, si facevano delle riunioni dove tutti venivano a conoscenza delle problematiche di tutti i reparti, se erano state risolte e come erano state risolte. Oggi, i programmi effettuano dei calcoli ma i dati vengono immessi dalle persone. I programmi stessi sono realizzati dalle persone. Insomma, i software eseguono degli ordini. &Egrave; cambiato il sistema ma &egrave; sempre l&rsquo;uomo il valore aggiunto. In Italia, purtroppo, non sempre questo concetto &egrave; chiaro. All&rsquo;estero, in alcuni Paesi, s&igrave;. &Egrave; per questo motivo che c&rsquo;&egrave; una fuga di cervelli dall&rsquo;Italia. Perch&eacute; gli italiani, quelli bravi, quelli che sono capaci di lavorare bene e di risolvere problemi vanno dove vengono valorizzati&quot;.  &nbsp;  &nbsp;  DA RICCARDO A MASSIMO  L&rsquo;engineering Pierobon &egrave; associata al marchio Ducati ed &egrave; facile spiegare il perch&eacute;, secondo Massimo. &quot;All&rsquo;inizio degli anni &rsquo;90 Ducati era un&rsquo;azienda ben strutturata, nel settore produzione, mentre il reparto corse non era evoluto come oggi, anzi, diciamo che era piuttosto piccolo e formato da un gruppo di ingegneri appassionati delle competizioni. Io ero giovanissimo, un bambino, ma percepivo la voglia di correre. Bisognava correre, c&rsquo;era la voglia di confrontarsi con gli altri. Mio padre collaborava con quegli ingegneri, che lo ascoltavano. In quegli capii il valore di Ricky One e iniziai ad appassionarmi davvero alle moto e soprattutto alle corse&quot;. In quegli inizi&ograve; la svolta positiva di Ducati nelle corse e anche l&rsquo;engineering di Pierobon cambi&ograve; passo. &quot;La moto che ricordiamo con maggiore affetto &egrave; la Ducati 851, perch&eacute; fu il modello che ci diede la possibilit&agrave; di entrare davvero nel settore racing che contava. La nostra avventura, ma anche quella di Ducati, inizi&ograve; davvero da quella moto. Sono stati anni bellissimi, in cui noi andavamo spesso in Ducati e gli ingegneri della Ducati venivano spesso da noi. Si collaborava, c&rsquo;era voglia di fare e in poco tempo le moto Ducati divennero il riferimento nel mondiale delle derivate dalla serie&quot;.    IL TELAIO A TRALICCIO IN TUBI D&#39;ACCIAIO  Per Pierobon il telaio a traliccio in tubi &egrave; un credo, pi&ugrave; che una soluzione tecnica. E per anni &egrave; risultato vincente. &quot;Mio padre mi ha insegnato i segreti del telaio a traliccio, una soluzione funzionale e versatile. Lui mi diceva sempre di osservare i tralicci dell&rsquo;alta tensione; sono costruiti utilizzando un traliccio composto da triangoli; una struttura semplice ma allo stesso tempo rigida. Ci sarebbero tanti dettagli di cui parlare... per&ograve;, sintetizzando, posso dire che l&rsquo;esperienza, soprattutto quella acquisita nelle corse, &egrave; fondamentale. Quando sai cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato e perch&eacute;, puoi decidere cosa fare, puoi risolvere pi&ugrave; in fretta i problemi ed &egrave; pi&ugrave; difficile sbagliare strada quando parti da zero. Oggi lo chiamano know how&quot;.  Al figlio Massimo ed alla famiglia Pierobon le condoglianze da parte di tutta la&nbsp;redazione di In Moto e Motosprint.  &nbsp; 

Si &egrave; spento a 86 anni Ricky One l&#39;uomo che insieme al figlio Massimo non ha solo visto nascere il motociclismo moderno: ha contribuito a farlo crescere

Ciao Riccardo Pierobon: appassionato che ha fatto sognare

L'imprenditore che nel 1969 ha fondato l'azienda di Pedrosa si è spento all'età di 75 anni

Luigi Termignoni, una vita per le moto: FOTO

Uno di quei nomi, Termignoni, che nel mondo delle due ruote &egrave; da sempre sinonimo di passione, prestazioni e qualit&agrave;. Pi&ugrave; esattamente, lo &egrave; dal lontano 1969, quando Luigi Termignoni fonda a Predosa, nell&rsquo;alessandrino, l&rsquo;omonima azienda. Dapprima un&rsquo;officina, poi concessionaria moto, fino all&rsquo;intuizione geniale - quella di produrre sistemi di scarico e silenziatori ad alte performance - che proietta la Termignoni nel gotha del motociclismo internazionale, con l&rsquo;approdo alle pi&ugrave; importanti competizioni motociclistiche a livello mondiale e a numerose partnership nella produzione di serie.    SUPERBIKE, MotoGP, ma anche gare estreme come la Paris Dakar. Il palmares Termignoni &egrave; davvero ampio: tante le moto &ldquo;mondiali&rdquo; la cui voce ha ruggito forte attraverso i tubi dell&rsquo;azienda di Pedrosa. Una storia che, dagli anni &lsquo;80, si lega a doppio anello (sport e produzione) a quella della Ducati, dando inizio ad una collaborazione lunga e proficua.&nbsp;  DOPO AVER CEDUTO L&rsquo;AZIENDA NEL 2009, Luigi Termignoni ha continuato a seguirne le sorti da vicino, ricoprendo il ruolo di presidente fino al 2015. Un grande protagonista del motociclismo che purtroppo ci lascia. Da tutti noi, le pi&ugrave; sentite condoglianze alla famiglia. 

Il noto imprenditore, patron dell&rsquo;azienda di Predosa fondata nel 1969, si &egrave; spento all&rsquo;et&agrave; di 75 anni

Lutto nel mondo moto: addio a Luigi Termignoni

E&#39; uno dei cantautori italiani pi&ugrave; famosi ma sono in pochi a conoscere la sua passione per la moto. Abbiamo intervistato Max Gazz&egrave;&nbsp;in occasione dei Motodays romani, dove, allo stand di InMoto e Motosprint, ha svelato la sua nuova special, realizzata dal preparatore Brus Industry. E nell&#39;occasione ci ha raccontato com&#39;&egrave; nato questo amore e cosa cerca in una moto: senso di libert&agrave;, esclusivit&agrave; del progetto ma... soprattutto piacere di guida. Buona visione.

Intervista: Max Gazzè e la passione per le moto - VIDEO

Vivere su due ruote, si sa, &egrave; un potente elisir di lunga vita. Un&#39;iniezione continua di energia positiva. Si chiama Luisa Zappitelli, &egrave; nata nel 1911 e all&#39;et&agrave; di 106 anni &egrave; la pi&ugrave; longeva portabandiera della sicurezza stradale in Italia. Sempre pronta, in sella alla sua Vespa, a diffondere messaggi di sensibilizzazione sull&rsquo;uso del casco e sul rispetto delle regole. Una missione, quella di nonna Luisa - una vera celebrit&agrave; tra gli abitanti di Citt&agrave; di Castello -, che un paio di mesi fa gli &egrave; valsa anche un prestigioso riconoscimento da parte dell&rsquo;Associazione Familiari e Vittime della Strada &ldquo;Basta Sangue sulle Strade Onlus&rdquo;. La cerimonia si &egrave; svolta a novembre in collaborazione con Polizia di Stato, Confindustria Ancma ed Eicma.  UNA DONNA DAVVERO FUORI DAL COMUNE (pensate, &egrave; anche l&rsquo;allevatrice di canarini pi&ugrave; longeva d&rsquo;Italia), mascotte del Vespa Club della sua citt&agrave; e ancora oggi sempre pronta a partecipare ad un evento &ldquo;a tema&rdquo;. Come la sua ultima uscita pubblica, il raduno nazionale del Vespa Club Citt&agrave; di Castello, quando al momento di uno scatto ricordo col presidente dell&rsquo;Associazione, Lazzaro Guadenzi Fuorucci, esclam&ograve;: &ldquo;senza il casco non faccio le foto&rdquo;. Vicino a lei, l&rsquo;inseparabile vespa.  DI SEGUITO LA LETTERA inviata da Luisa Zappitelli ai responsabili dell&rsquo;associazione Familiari e Vittime della Strada in occasione del recente riconoscimento: &ldquo;Spero che questo riconoscimento ed altri importanti che avete attribuito a grandi personalit&agrave; contribuisca a sensibilizzare genitori, insegnanti e adulti in genere a far capire ai giovani che utilizzano per la prima volta ciclomotori o macchine al rispetto delle regole evitando di far cadere nel dolore e nella disperazione intere famiglie&rdquo;. 

Come dire, su due ruote non si invecchia mai...

A 106 anni in sella ad una Vespa

Costruire una buona Moto3 con un budget limitatissimo e senza ricorrere a fornitori esterni. Non si tratta di un film. &Egrave; la storia di Ordeo Vitali e della sua passione per le corse  &nbsp;  &nbsp;  Ipotizzate di avere un lavoro che vi impegna tutti giorni, sabati e domeniche incluse, una moglie e tanti problemi da risolvere, perch&eacute; l&rsquo;azienda per cui lavorate &egrave; la vostra. Quindi, siete voi i responsabili: ordini, pagamenti, arrivo e smistamento del materiale, e chi pi&ugrave; ne ha pi&ugrave; ne metta. Una persona che conduce questa vita, normalmente non vede l&rsquo;ora che arrivi la sera, per cenare, staccare un po&rsquo; la spina e far riposare il corpo e la mente. Per&ograve; c&rsquo;&egrave; anche chi non conosce la parola riposo. Chi vive di passione per le due ruote, senza le quali non pu&ograve; proprio resistere. Cos&igrave;, Ordeo Vitali, che per mestiere si occupa di commercializzare pneumatici Dunlop, soprattutto sui campi di gara, come hobby ha deciso di fare il costruttore. Con l&rsquo;arrivo della Moto3, Vitali, ha pensato che era finalmente giunto il momento di trasformare il suo sogno in realt&agrave;, diventando un vero garagista. Per&ograve;, per raggiungere la meta, ad Ordeo mancavano diversi strumenti. Il tempo, trovato sfruttando ogni istante libero e trascorrendo le sue serate in officina anzich&eacute; sul divano di casa. Lo spazio e l&rsquo;attrezzatura, che &egrave; stata da lui pensata, progettata e costruita per essere sistemata in una piccola officina di circa 45 metri quadrati, che funge anche da deposito di materiale vario. E da ufficio tecnico, che di fatto esiste e funziona solo quando Vitali si toglie gli indumenti da operaio per &ldquo;trasformarsi&rdquo; in ingegnere...  Quando Ordeo ci ha spiegato il suo progetto per la prima volta, al telefono, pensavamo che stesse scherzando. Ma lui non scherza mai. E infatti, quando siamo andati a trovarlo, non solo ci siamo resi conto che era passato dalle parole ai fatti, ma aveva addirittura realizzato il suo primo prototipo, equipaggiato con un monocilindrico Suzuki da cross! La moto non era molto potente, vibrava un po&rsquo; pi&ugrave; del normale e non era particolarmente rifinita, per&ograve; Ordeo guardava quella piccola due ruote come una figlia, orgoglioso (giustamente) del risultato finale.  L&rsquo;avventura inizia Per molti, quello sarebbe stato un punto di arrivo. Per lui invece era solo l&rsquo;inizio dell&rsquo;avventura. Ma per capire perch&eacute; quella di Vitali va considerata un&rsquo;impresa miracolosa, che ci ha fatto riassaporare il modo di sognare, pensare e di lavorare dei garagisti (quei fantastici artigiani che negli anni &lsquo;80 e &lsquo;90 hanno costruito o contribuito a realizzare moto da corsa schierate nel mondiale), bisogna spiegare come tutto ha avuto inizio. Ordeo non aveva nulla, motore escluso, ovviamente. &Egrave; dovuto partire dal foglio bianco, anzi, per prima cosa ha dovuto reperire le materie prime, ovvero l&rsquo;alluminio! Cos&igrave;, prima ha pensato la sua moto, poi si &egrave; dovuto costruire i componenti per realizzarla. Ci sono voluti mesi per prendere in mano il primo telaio, perch&eacute; &egrave; stato innanzitutto necessario costruire la dima per assemblarlo e saldarlo... Un&rsquo;impresa che avrebbe dato numerosi grattacapi anche ad un esperto ingegnere! Alla SNAI avrebbero quotato la sua impresa 100:1 e noi qualche euro lo avremmo anche scommesso (sulla mancata riuscita, ovviamente). E lo avremmo perso. Perch&eacute; il risultato finale ha dell&rsquo;incredibile. Vitali non ha solo costruito una dima semplice e funzionale, ma l&rsquo;ha fatta basculante. Nella sua officina c&rsquo;&egrave; poco spazio e per effettuare velocemente le saldature da entrambi i lati del telaio, si &egrave; dovuto inventare un macchinario che gli permettese di ruotare il pezzo in lavorazione, perch&eacute; c&rsquo;&egrave; una sola zona dove &egrave; possibile saldare... l&rsquo;altra &egrave; occupata da una vetrina espositiva che non pu&ograve; essere spostata! Su questa dima multifunzionale, Ordeo assembla anche il forcellone, altro componente non certo facile da realizzare. Quando abbiamo visto per la prima volta Vitali all&rsquo;opera, abbiamo pensato che lui si limitasse ad acquistare i vari pezzi d&rsquo;alluminio, gi&agrave; piegati e sagomati. Niente di pi&ugrave; sbagliato. Ogni singolo componente della Vitali Moto3 nasce all&rsquo;interno della piccola officina di Ordeo, che compra i fogli di alluminio di vari spessori, che poi sagoma e piega con degli strumenti da lui realizzati. In realt&agrave; sono sufficienti una pressa, degli stampi, una vecchia piegatubi, un bel po&rsquo; di fantasia ed il gioco &egrave; fatto. Sembra tutto facile, in teoria. In realt&agrave;, quando bisogna costruire un pezzo con precisione chirurgica, di semplice non c&rsquo;&egrave; nulla.  Quello che ci ha stupiti &egrave; che Ordeo &egrave; riuscito a pensare un sistema che gli consente di sfornare pi&ugrave; componenti dello stesso tipo, praticamente identici l&rsquo;uno all&rsquo;altro. E su una moto da corsa, dove bisogna lavorare con delle tolleranze infinitesimali, la precisione diventa importante quanto una buona idea. Potremmo a lungo disquisire sulla realizzazione delle pedane, delle piastre di sterzo, dei semimanubri e di moltissimi componenti che definire ben fatti &egrave; riduttivo. Tutti pezzi realizzati dal pieno, attraverso l&rsquo;uso di tornio e fresa, che non sfigurerebbero neppure in un museo di arte moderna. Ma il vero lavoro che rende la piccola officina di Ordeo Vitali molto simile a un grosso reparto di R&amp;D riguarda l&rsquo;impianto di scarico, un gioiellino realizzato dopo mesi di test al banco. Un lavoro faticoso da ascoltare e raccontare... Figuriamoci cosa ha voluto dire farlo! Tutti i prototipi sono stati realizzati in acciaio inox (non in titanio), per ovvi motivi di contenimento dei costi. Per prima cosa Ordeo ha realizzato delle fustelle di varie conicit&agrave;, sulle quali, a seconda delle esigenze, ha piazzato dei componenti cilindrici (pi&ugrave; o meno lunghi) in acciaio. Poi, attraverso l&rsquo;uso di una pressa idraulica, ha deformato il tubo in acciaio (allargandolo), ottenendo la conicit&agrave; desiderata. Un sistema semplice e funzionale, che consente di realizzare i numerosi pezzi che, una volta saldati danno forma all&rsquo;impianto di scarico della Moto3 di Vitali.  Dopo aver realizzato diversi prototipi c&rsquo;era la tanto attesa prova al banco, fondamentale per capire qual era la configurazione (e quindi l&rsquo;idea) migliore. Un lavoro infinito, come la quantit&agrave; di prototipi realizzati da Ordeo, che, pur avendo trascorso anni e anni sui campi di gara, ha capito l&rsquo;importanza dell&rsquo;impianto di scarico su un motore a quattro tempi solo dopo questa esperienza. Giocando con le conicit&agrave;, Ordeo &egrave; riuscito a far lievitare la potenza del motore Honda Moto3 da circa 46 CV ad oltre 51 CV! Un risultato sorprendente, soprattutto considerando che l&rsquo;impianto di iniezione elettronica (centraline escluse, ovviamente) non &egrave; quello fornito nel kit ma &egrave; stato realizzato da Vitali. Il kit con doppio iniettore, quello pi&ugrave; performante che viene utilizzato nel campionato del mondo, non era infatti disponibile e dopo un&rsquo;attesa durata mesi, Ordeo ha deciso di acquistare due kit mono iniettori, che ha sapientemente &ldquo;miscelato&rdquo;, realizzando un sistema che consente di variare millimetricamente la posizione di ciascun iniettore (una sua idea). Anche in questo caso, &egrave; difficile calcolare la mole di lavoro al banco che &egrave; stata fatta per capire come far funzionare al meglio il motore, ma dato che il risultato finale &egrave; stato ottimo, Ordeo ha sicuramente lavorato bene. Se a livello di potenza massima Ordeo riteneva di aver raggiunto un valore soddisfacente, a livello di coppia ai bassi e medi regimi, il lavoro da fare c&rsquo;era, eccome, perch&eacute; le moto &ldquo;buone&rdquo; erano pi&ugrave; performanti. Ma la coperta era corta: per migliorare l&rsquo;erogazione bisognava accettare di perdere qualche cavallo in alto, che su una Moto3 &egrave; sinonimo di preziosi decimi di secondo. L&rsquo;uscita dal labirinto sembrava irraggiungibile, fino a quando Ordeo non ha avuto modo di studiare la testata di un motore Honda F.1 anni &lsquo;90, in possesso di un facoltoso collezionista, che per fortuna &egrave; un suo amico ed &egrave; anche un appassionato di vini... Dopo qualche bicchiere, Ordeo era gi&agrave; con gli attrezzi in mano, pronto a smontare il collettori del mitico V10 Honda! Vitali si accorse che i condotti di scarico non erano molto grossi e che, addirittura, man mano che si avvicinavano al punto di collegamento con l&rsquo;impianto di scarico (caratterizzato da numerosi cambi di conicit&agrave; nella prima parte) diventavano pi&ugrave; stretti, cambiando anche forma (quasi rettangolare anzich&eacute; rotonda).  Imitando s&rsquo;impara Ordeo, con proporzioni diverse, ha cercato di imitare il lavoro fatto dai tecnici giapponesi e... ha trovato l&rsquo;uscita dal tunnel! Il banco ha poi sentenziato che Ordeo era riuscito ad incrementare la potenza massima di circa 0,5 CV ma soprattutto che aveva aumentato notevolmente il picco di coppia, disponibile su un arco di utilizzo maggiore. &Egrave; proprio vero che il diavolo si nasconde nei dettagli. Ordeo non avrebbe mai pensato di trovare la soluzione ai suoi problemi smontando la macchina di un collezionista! Telaio, forcellone, impianto di scarico... Non sono state solo queste le difficolt&agrave; che Ordeo ha dovuto superare. Ad esempio, in molti sanno che saldare &egrave; un&rsquo;arte e saldatori non ci si improvvisa. Vitali ha fatto un corso accelerato, da autodidatta e a sue spese (nel vero senso della parola...) ha capito che dietro una buona saldatura non c&rsquo;&egrave; solo un buon macchinario e una mano da artista; bisogna anche trovare il gas giusto e soprattutto essere certi di usare sempre la stessa miscela. Per mesi, Ordeo non &egrave; riuscito a capire perch&eacute; non riusciva a saldare come avrebbe voluto. Poi, ha trovato la miscela di gas che faceva al caso suo e da quel momento tutto &egrave; cambiato. &Egrave; pazzesco pensare che, pur avendo gli strumenti i materiali e le capacit&agrave;, basti una miscela non adatta a rovinare il lavoro! Anche questa &egrave; esperienza.  Fino ad oggi la Vitali Moto3 &egrave; stato un meraviglioso giocattolo con cui Ordeo si &egrave; divertito a fare impazzire gli smanettoni in sella alle stock 600 nelle piste con tante curve e pochi rettilinei. Poi, per&ograve;, qualcuno ha notato la moto di Ordeo, che &egrave; stata testata con successo in pista da piloti giovani ed esperti. Ora la Vitali Moto3 gareggia nel campionato italiano e potrebbe anche debuttare nel mondiale, come wild card. Un progetto molto complesso che, indipendentemente dal risultato finale, rappresenterebbe la realizzazione di un sogno. Quello di Ordeo, che nel tempo libero, con un budget limitatissimo, in una piccola officina di 45 m2, ha trasformato un&rsquo;idea in una moto da corsa. Poco importa se non avr&agrave; le prestazioni di una KTM o di una FTR. Vitali il suo mondiale l&rsquo;ha gi&agrave; vinto. Perch&eacute; ha gettato il cuore oltre l&rsquo;ostacolo.  

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