Lo staff di KTM, supportato da Roberto Ungaro, ha fatto da guida per due giorni, su percorsi stradali e fuoristrada, alle cinquanta moto che hanno partecipato alla prima edizione di KTM Orange Juice.  Salice Terme, Rivanazzano Terme e le colline dell&#39;Oltrep&ograve; pavese hanno fatto da cornice&nbsp; all&rsquo;evento, che lo scorso 21 e 22 luglio ha visto la partecipazione delle moto della famiglia Adventure.  VOGLIA DI AVVENTURA - L&#39;obiettivo di Orange Juice &egrave; stato quello di offrire ai partecipanti un&#39;esperienza completa, certamente focalizzata sulla guida, ma con l&#39;aggiunta di una buona dose di coinvolgimento dei rider presenti.  Sono stati infatti numerosi gli interventi e i racconti che hanno accompagnato gli ospiti durante i pranzi e le cene, con aneddoti raccontati dallo stesso Ungaro e da Arnaldo Nicoli, responsabile per l&#39;Italia del Customer Service KTM. Presente anche il &quot;globetrotter&quot; Giampiero Pagliochini, che ha raccontato divertenti storie legate ai suoi numerosi viaggi nei 5 continenti. Durante il weekend i rider hanno potuto sfogare il proprio desiderio di avventura con una chiave di lettura pi&ugrave; soft rispetto ai classici appuntamenti dedicati alle enduro di grossa cilindrata, per lo pi&ugrave; focalizzati sulla guida in fuoristrada.&nbsp; In KTM fanno sapere che si sta lavorando per la prossima edizione. 

<p>Oltre 50 Adventure hanno risposto all&#39;appello della Casa Orange, che ha organizzato due giorni fra le colline dell&#39;Oltrep&ograve; pavese</p> 

KTM Orange Juice: buona la prima

La puntata conclusiva di Asian Runways, la nuova avventura di Pagliochini, dal Giappone alla Corea del Sud e dalla Mongolia alla Russia su una KTM 1190 R

Viaggi in moto: Asian Runways, 4&deg; parte

Dopo aver girato l&rsquo;intera isola del Giappone, Pagliochini, in traghetto, si &egrave; spostato in Corea del Sud per circa 3 settimane. Da l&igrave;, sempre in traghetto, arriva a Vladivostock in Russia. Dall&rsquo;ultimo avamposto russo, inizier&agrave; a percorrere la mitica Transiberiana che lo condurr&agrave; in Mongolia. Nel Paese di Gengis Khan, visiter&agrave; la capitale Ulan Bator e il deserto del Gobi, per poi rientrare &nbsp;in Russia costeggiando il lago Bajkal. Attraverser&agrave; il Kazakistan e, rientrando in Russia decider&agrave; se proseguire verso il Caucaso, puntando poi verso la Turchia e la Grecia, oppure, attraversare i paesi Baltici per tornare in Italia.  &ldquo;La moto &egrave; nel DNA di famiglia&rdquo; dice Giampiero Pagliochini. &ldquo;Mio nonno andava in moto, mio padre negli anni &lsquo;50 faceva le gincane e, ad essere sincero, le vinceva.&nbsp;Io non potevo che ereditare questa passione.  &ldquo;Per una generazione come la mia che sognava spazi e frontiere lontane non resta che mettersi in viaggio&rdquo;, continua Pagliochini, che &egrave; partito nel 1983 e non si &egrave; pi&ugrave; fermato. &ldquo;Dopo 30 anni di viaggi in moto ho battuto le strade ed i sentieri di gran parte del mondo, ma ogni volta che approdo in una nuova terra lontana, il mondo, con le sue meraviglie, mi lascia ancora a bocca aperta&hellip;&rdquo; continua Pagliochini.    Diario di viaggio  9 AGOSTO - All&rsquo;hotel dove risiedo c&rsquo;&egrave; la hospitality dell`organizzazione del Mongolia Rally. Mi raggiunge Enkthur, un personaggio molto conosciuto nell&rsquo;ambito motociclistico da queste parti: oltre ad aver partecipato a questo Rally, &egrave; stato segretario della Federazione Motociclistica della Mongolia. Il via &egrave; simbolico, infatti la partenza vera &egrave; a 40 km da Ulan Bator, cos&igrave; ci trasferiamo l&agrave;. Man mano che passa il tempo arrivano tutti i concorrenti; sia tra le moto che tra le auto ci sono mezzi che partecipano alla Paris-Dakar ed io mi diletto a scattare foto e fare interviste.  Rientrati ad Ulan Bator, Enkthur mi porta a visitare una mega statua di Gengis Khan, costruita su una piana circondata dalle montagne: svetta per grandezza ma anche per l`effetto luce riflessa, infatti al statua &egrave; costruita in acciaio inox. Non lontano c&rsquo;&egrave; una pista per deltaplani gestita da un amico di Ekthur; non esito un attimo per fare un giro. Dall&rsquo;alto la terra popolata da gher &egrave; meravigliosa, con le montagne che creano un gioco di colori straordinari.  Sono cotto, rientro in albergo e vado a letto.  10 AGOSTO - Giornata di riflessione: vorrei scendere a sud, nel deserto del Gobi, e da l&igrave; risalire fino agli Altai, per poi proseguire per la Russia; per fare questo, per&ograve;, occorre una jeep al seguito che carichi i bagagli e porti benzina. Il costo dell&rsquo;operazione &egrave; alto e non posso permettermi di osare con il portafoglio, cos&igrave; decido di scendere a Dalanzadgad scarico, mentre Enkthur spedir&agrave; le due gomme TKC 80 via aereo ad un suo amico.  Preparo tutto lo stretto necessario, il resto rester&agrave; ad UB. Il pomeriggio faccio il turista, visto che devo attendere per ritirare le mie gomme giunte dall`Italia; la sera vado a cena con Enkthur, un suo amico e la figlia che studia in Italia.  11 AGOSTO - Ritiro le gomme che vanno spedite, poi faccio un salto alla concessionaria KTM di Ulan Bator, dove trovo pure un 450 Rally Replica, oltre a quelli gi&agrave; visti alla partenza del Mongolia Rally.  12 AGOSTO - Si parte con pioggia e freddo. Enkthur mi accompagna con il suo amico fuori da Ulan Bator; ci andrei anche da solo, ma non posso contraddire la sua disponibilit&agrave;. 40 km dopo la capitale ci salutiamo: mi aspetta una lunga distesa d&rsquo;asfalto fino ad Dalanzadgad. 16 anni fa feci questa stessa strada, ma non c&rsquo;era nemmeno un cm d&rsquo;asfalto: il progresso avanza ed &egrave; giusto cos&igrave;.  Supero due passi di montagna sopra i 2000 m, il termometro della moto segna 8 gradi; fino al giorno prima erano 30. Strana, questa Mongolia.  Pi&ugrave; macino chilometri, pi&ugrave; ritrovo la Mongolia che mi ricordavo: lunghi rettilinei circondati da un habitat incontaminato, gher, mandrie di cavalli e pascoli di ovini, a cui ora si sono aggiunti anche quelli di mucche; in cielo vedo le aquile simbolo di questo paese. Ora il clima &egrave; cambiato e fa capolino il sole. A Mandalgovi faccio rifornimento: altri 300 km e sono a destinazione, non prima di aver importunato dei cammelli che sornioni erano ai bordi della strada.  Giunto a Dalanzadgad chiamo Karduian, l`amico di Enkthur, che puntualmente arriva e mi accompagna all`hotel. Le gomme sono arrivate, ma ci organizziamo per sostituirle il giorno dopo: adesso sono troppo stanco e vado a letto subito dopo mangiato.  13 AGOSTO - Alle 10 in punto mi fa visita Karduian per andare da un gommista. Sotto un sole che picchia tiro gi&ugrave; le due ruote, mentre fuori arrivano tanti curiosi: la moto non passa inosservata. Il giorno prima, durante il viaggio, ho avvertito una forte vibrazione al manubrio, e infatti scopro che il cerchio anteriore si &egrave; piegato per una botta; lo addrizzo a martellate ed equilibro le ruote come ai vecchi tempi. Ho dietro anche i pesi, che organizzazione!  Rientrati in hotel non resta che pianificare la gita al deserto del Gobi. Karduian mi presenta un signore che con una Toyota 4x4 porter&agrave; le mie cose, un po&rsquo; di viveri ed un rifornimento di benzina: infatti non riesco ad andare e ritornare con un pieno, ma soprattutto voglio viaggiare scarico per divertirmi.  Nel pomeriggio faccio un salto ad un luogo a 60 km dalla citt&agrave;, dove c&rsquo;&egrave; una bellissima gola che ospita ghiacciai permanenti. La sera si va a cena con Karduian, poi a letto: al mattino sveglia alle 6.  14 AGOSTO - Caricata la Jeep, si punta verso il Gobi. Pochi km ed &egrave; subito off-road. A tratti la pista scorre veloce, in altri i sassi rallentano la velocit&agrave;; dopo 70 km ci fermiamo ad un accampamento di gher: anni fa non c`erano, ora sono luoghi per turisti che trascorrono le notti in questi luoghi e poi al mattino ripartono. Facciamo colazione e di nuovo in pista.  Si svalica dopo 270 km e per magia appaiono le dune del Gobi. Sembrano l&igrave; davanti, ed invece dobbiamo percorrere ancora 25 km prima di piazzare la tenda sotto le dune.  Prima di tentare l&rsquo;arrampicata sulle creste, torniamo indietro ad uno di quegli accampamenti per turisti e proviamo a chiedere per un pranzo; la ragazza &egrave; scontrosa, non risponde in maniera chiara e allora decido di girare al largo. Ad un altro campground ci fanno sedere, ma poi arriva di nuovo la ragazza di prima che ci dice che non possiamo restare. Il motivo? Non hanno cibo per noi. L&rsquo;autista del 4x4 resta in silenzio, mentre io non mi trattengo pi&ugrave; e sbotto: le spiego che ho capito benissimo che non posso ricevere pasti perch&eacute; quello &egrave; un camp per turisti che acquistano un pacchetto completo, per cui le dico di non prendermi in giro e la mando chiaramente a quel paese. Cambiamo campeggio e finalmente riusciamo a mangiare qualcosa.  Sul tardo pomeriggio siamo di nuovo sotto le dune: mi guardo intorno, osservo i turisti che salgono fino in cima alle creste, dove si dice che il vento, sollevando la sabbia, crei dei suoni. Ma ci sono altri suoni, quelli del mio Kappone che scorrazza avanti e indietro; poi provo a salire e&hellip; cavolo che goduria! Parcheggio la moto a met&agrave; duna mentre i turisti mi osservano come un estraneo, ma io non rinuncio al divertimento: il parco giochi &egrave; aperto anche per me.  Il sole tramonta regalando una cornice bellissima: colori del cielo che si mischiano a quelli dei riflessi della sabbia, che diventa pi&ugrave; scura con l&rsquo;affievolirsi della luce. Poi la notte, con un cielo stellato da cartolina.  15 AGOSTO - Fa freddo e ad est si vedono nuvoloni carichi di pioggia. Speriamo bene&hellip;  Andiamo a fare colazione nel campeggio dove abbiamo pranzato il giorno prima; nello spostamento scruto le dune e sempre di pi&ugrave; si concretizza un&rsquo;idea nella mia testa.  All&rsquo;accampamento di gher rivedo dei turisti incontrati il giorno prima: provengono da Singapore, e quando gli dico che l&rsquo;anno scorso sono passato di l&agrave; con la moto si stupiscono, ancor di pi&ugrave; quando gli spiego che ero di passaggio in un viaggio dall&rsquo;Australia verso l&rsquo;Italia.  Torniamo al nostro campground, smonto la tenda e carichiamo la jeep, ma prima di tornare indietro devo fare una cosa: come 16 anni fa, voglio salire di nuovo su una duna alta oltre 200 m. L&rsquo;autista mi guarda mentre mi infilo il casco, gli do in mano la fotocamera con la speranza che riesca a scattare qualche foto.  Ingrano la prima, tolgo il controllo di trazione e si va. La moto scodinzola, come &egrave; classico sulla sabbia, poi seconda, terza, prendo velocit&agrave; ed inizio a salire con il motore a limitatore; ora vedo la duna venirmi incontro, ma la salita &egrave; cos&igrave; ripida che, nonostante i 150 cv della Kappona, sono costretto a scalare in seconda e continuare a tenere aperto a manetta. Arrivo in cima, mi fermo e giro poco prima della cresta: non so come sia di l&agrave; e non voglio rischiare d&rsquo;infognarmi, anche perch&eacute; adesso devo scendere per tornare indietro e la cosa non &egrave; propriamente facile. Solo dalla cima di una duna ci si rende conto di quanto &egrave; ripida&hellip; Prima di ripartire mi auto-intervisto, non sia mai che i maligni potrebbero pensare ad una recita.  Adesso gi&ugrave; a capofitto, con decisione ma facendo attenzione a non prendere troppa velocit&agrave;. Faccio scorrere la moto e do gas solo quando sento che sta per affondare. &Egrave; pura libidine.  Arrivo alla jeep e l&rsquo;autista mi fa vedere le foto che ha scattato dalla fotocamera. Cavolo, sono bellissime! Sono contento come un ragazzino, ora s&igrave; che possiamo ripartire.  La strada &egrave; quella del giorno prima, solo una leggera deviazione. Il sole tramonta quando arriviamo a Dalanzadgad. Il tempo di fare una doccia e si va a cena con Karduian e sua moglie.  16 AGOSTO - Non ho fretta di partire, tutto &egrave; pronto e devo solo caricare la moto; le gomme smontate ritornano a Ulan Bator con l&rsquo;aereo. Che organizzazione, grazie Enkthur!  Dopo 550 km sono di nuovo nella capitale ed il caos del traffico mi fa rimpiangere la solitudine del Gobi: per fare 4 km ci impiego un&rsquo;ora. Vado dritto in piazza Gengis Khan per fare due foto, ma vengo severamente ripreso dai militari, che mi allontanano, anche se dei locali vorrebbero fare le foto con la moto.  Chiamo Enkthur, ma &egrave; impegnato. Ci si vede domani.  17 AGOSTO - Il tempo non &egrave; bello, fa freddo. In pochi giorni il clima &egrave; cambiato, ma lo sapevo.  Mi faccio un giro turistico e passo da un centro commerciale dove vendono elettronica, telefoni in primis, anche usati; con 90 euro mi prendo un tablet Samsung nuovo, che in Italia pagherei non meno di 600 euro.  Preparo tutto quello che non mi occorre pi&ugrave; per spedirlo in Italia: c&rsquo;&egrave; Mirco che mi offre spazio nella cassa della sua moto che ritorna in Italia via aereo. In realt&agrave; lui arriver&agrave; solo dopo che io sar&ograve; partito, ma lascio tutto ad Enkthur, che provveder&agrave; alla spedizione. La sera mi incontro con Luciano Cosmo, amico di Filippo Ceccucci; una bevuta all&rsquo;Irish Pub e poi a nanna.  18 AGOSTO &ndash; Piove, tanto per cambiare. Carico la moto, mentre arrivano Enkthur, il suo amico e la figlia, che mi accompagneranno nuovamente fuori da Ulan Bator. Arriva il momento dei saluti: dopo 16 anni &egrave; stato bellissimo ritrovarsi con meno capelli, ma con lo stesso spirito. Senza dubbio uno dei momenti pi&ugrave; belli dell&rsquo;intero viaggio. Ci lasciamo con una promessa: altri 16 anni sono troppi&hellip;  Giro la chiave e vado via dritto senza voltarmi, solo alzando la mano: sono sinceramente emozionato.  Punto ad ovest, la strada &egrave; asfaltata. Alla sera sono a Kharkhorin, la vecchia capitale dell&rsquo;Impero Mongolo, dove esiste il monastero buddhista pi&ugrave; antico della Mongolia; potrei andare ma preferisco lasciare la visita al mattino seguente.  19 AGOSTO &ndash; Puntualmente, alle 9 del mattino sono davanti al monastero; ci vado senza moto, &egrave; a pochi passi dal mio albergo. Suggestivi come sempre i monasteri, con i monaci che si alternano nei luoghi di preghiera; foto e video sono possibili all&rsquo;interno, ma solo dietro corrispettivo di soldi.  Tornato in hotel non resta che caricare la moto e puntare verso Arvaikheer. Dopo 80 km inizia la pista: ora s&igrave; che &egrave; Mongolia.  Sali e scendi tra vallate dove lo spazio non &egrave; definito tanta &egrave; la distanza, la linea di confine con il cielo si perde nel nulla. Poi, quasi per magia, dopo un salitone trovo un&rsquo;allegra compagnia: &egrave; una comitiva errante che sta festeggiando un matrimonio. Dai gesti non riesco a capire dove siano diretti, ma l&rsquo;ospitalit&agrave; &egrave; genuina. La moto diventa un oggetto di culto e tutti vogliono salire per farsi una foto; per un momento la coppia di sposi passa in secondo piano.  Prima di ripartire scruto le tante tracce: so che tutte portano nella stessa direzione, ma non posso sbagliare, visto che viaggio senza GPS. Prima della citt&agrave; ritrovo l&rsquo;asfalto; faccio benzina, mangio un boccone e riparto verso Bayankhongor.  Qui finisce l&rsquo;asfalto e mi convinco che fino al confine con la Russia sar&agrave; tutto off-road. Invece incontro due tratti di asfalto lungo il percorso, ad indicare che tra qualche anno di piste sterrate da queste parti ci sar&agrave; solo il ricordo.  Arrivato a Bayankhongor non c&rsquo;&egrave; energia elettrica, quindi il pieno &egrave; rimandato all&rsquo;indomani. Cerco un albergo, mi sistemo ed alle 20 torna pure la corrente. Ci sar&agrave; luce fino a mezzanotte, poi torner&agrave; il buio.  20 AGOSTO - Devo fare un salto in banca per riprendermi la Postepay che non mi &egrave; stata restituita da un ATM. Gentilmente il personale mi asseconda ed in pochi minuti rientro in possesso della carta. Caricata la moto, prendo la pista che porta ad Altay. Seguo il mio intuito e l&rsquo;esperienza; ogni tanto mi fermo lungo la pista a chiedere al primo che incontro, e tutti mi confermano che la direzione &egrave; quella giusta. Vai, GP. Osa!  Descrivere l&rsquo;habitat non &egrave; facile, cambia di continuo. Quella che non cambia &egrave; la grandezza degli spazi che si hanno davanti, dove la moto fa da connubio perfetto per chi cerca libert&agrave;.  Nel tardo pomeriggio arrivo a Buu Tsagaan; andare oltre non &egrave; possibile, perch&eacute; non ci sono altri villaggi dove dormire. Mi viene offerto un luogo indecente, vecchio e malandato; no, ci deve essere qualcosa di meglio! Per fortuna incontro un ragazzo che parla inglese, capisce la mia richiesta e m&rsquo;invita ad una gher; accetto volentieri. La padrona mi accoglie con gentilezza, chiedo una doccia e qualcosa da mangiare e vengo accontentato. La doccia mi riporta indietro con gli anni: l&rsquo;acqua viene scaldata su una stufa alimentata da un combustibile prodotto dallo sterco di mucca essiccato e mi lavo in una conca. Non mi lamento, ma com&rsquo;&egrave; lontana Ulan Bator&hellip;  Questo secondo viaggio in Mongolia si sta rivelando un&rsquo;esperienza bellissima: il confronto con quello di 16 anni fa mette in mostra una realt&agrave; cambiata, in cui &egrave; arrivato il consumismo, ma nulla a che vedere con il nostro mondo.  Mentre faccio queste riflessioni, sprofondo esausto nel letto.  21 AGOSTO - Fatta colazione, esco dal villaggio. Ora la pista &egrave; caratterizzata dalla sabbia, a tratti si torna al duro, poi di nuovo il soft; sul terreno ci sono tante tracce e ognuno sceglie quella che meglio gli si addice. Fa caldo e la presenza dei cammelli lungo la strada ne &egrave; la testimonianza. Una jeep mi supera con impeto, per poi fermarsi in mezzo alla pista: i due occupanti vogliono vedere la moto. Scendono, la scrutano, si abbassano per capire come &egrave; fatto sto cavolo di motore, poi proviamo a colloquiare, mi chiedono la cilindrata e rimangono stupiti: certe cubature non rientrano nei loro standard. Alla fine mi offrono della vodka, di cui accetto un sorso solo per cortesia. Baci ed abbracci, alla prossima&hellip;  Giungo ad Altai (gli ultimi 120 km sono di asfalto), che rispetto a 16 anni fa &egrave; diventata una citta. Ci sono tre alberghi ed io scelgo quello pi&ugrave; economico, dove mi ritrovo alcuni partecipanti del Mongolia Rally. Nulla di competitivo, solo una passeggiata dall&rsquo;Europa alla Mongolia, dove imperativo &egrave; usare auto datate che poi, una volta ad Ulan Bator, verranno donate in beneficenza. La mia riflessione &egrave; che anni fa poteva essere una formula che funzionava, ma oggi, avendo visto con i miei occhi il parco macchine della capitale, faccio fatica a pensare a chi potr&agrave; mai volere queste auto: alcuni ragazzi italiani sono arrivati qua con una Fiat 127 di 40 anni fa, un autentico cimelio.  22 AGOSTO - La meta di oggi &egrave; Khovd. I panorami cambiano: si va verso i monti Altay, sempre innevati; l&rsquo;aria si fa pi&ugrave; fredda e punge sul viso, ma tutto &egrave; ripagato da sfondi da cartolina, che a raccontarli senza immortalarli non si riesce a rendere l&rsquo;idea di quale spettacolo si presenti davanti agli occhi. Gli insediamenti umani consistono nelle solite gher sparse qua e l&agrave;, con gli animali al pascolo nei paraggi. Foto, video, cerco di captare tutto, ma a volte ci vorrebbe un grandangolo a 360 gradi.  Prima di ritrovare l&rsquo;asfalto mi imbatto in una mandria di Yak. Mi mancavano.  Khovd la ricordavo per le tante gher lungo il fiume. Sono ancora l&igrave;, a scandire un tempo che non passa, fatto di usi e tradizioni secolari. Solito albergo, con tanto di doccia, wi-fi e garage per la moto.  23 AGOSTO - Il cielo &egrave; plumbeo. Usciti dalla citt&agrave;, la strada sale: &egrave; un pistone infinito ed io scarico molti dei cavalli della Kappona; poi mi ricordo che sono solo ed allento la presa sulla manopola del gas. A volte, quando ci si ritrova protagonisti in un contesto unico, spalancare tutto l&rsquo;acceleratore viene quasi naturale.  Il panorama &egrave; ancora pi&ugrave; suggestivo del giorno precedente: lo sfondo con i monti Altay &egrave; unico, tante foto e riprese a suggellare la consapevolezza che questo luogo &egrave; magico. L&rsquo;ultima chicca &egrave; un lago di colore turchese prima di giungere ad Ulgji, dove ho un appuntamento per riprendermi le gomme che mi occorreranno per il resto del viaggio.  Chiamo e dopo 10 minuti arriva l&rsquo;amico di Ekthur con i pneumatici; ringrazio e vado in hotel.  24 AGOSTO &ndash; Siamo all&rsquo;ultimo giorno in Mongolia. Ero consapevole che avrei vissuto una bellissima esperienza e, ora che sono alla fine, ne sono ancora pi&ugrave; convinto. Saluto la reception e punto verso il confine. A met&agrave; strada mi fermo, in strada c&rsquo;&egrave; un gruppo di bambini; li metto tutti sulla moto per una foto ricordo, poi gli regalo una confezione di biscotti e scateno il delirio&hellip;  Arrivo al confine, i ricordi mi assalgono di nuovo: 16 anni fa, per un visto sbagliato, non mi fu possibile entrare in Russia, ma questa volta non ho dubbi n&eacute; problemi. Quando varco il cancello ripenso ai giorni passati, tante immagini mi si accavallano e non le ho ancora metabolizzate tutte.  Ciao Mongolia, &egrave; stato un bellissimo ritorno.  &nbsp;

Asian Runways &egrave; la nuova avventura di Pagliochini, che parte dal Giappone per spostarsi in Corea del Sud e poi in Russia e Mongolia su una KTM 1190 R

Viaggi in moto: Asian Runways, 3&deg; parte

Dopo aver girato l&rsquo;intera isola del Giappone, Pagliochini, in traghetto, si &egrave; spostato in Corea del Sud per circa 3 settimane. Da l&igrave;, sempre in traghetto, arriva a Vladivostock in Russia. Dall&rsquo;ultimo avamposto russo, inizier&agrave; a percorrere la mitica Transiberiana che lo condurr&agrave; in Mongolia. Nel Paese di Gengis Khan, visiter&agrave; la capitale Ulan Bator e il deserto del Gobi, per poi rientrare &nbsp;in Russia costeggiando il lago Bajkal. Attraverser&agrave; il Kazakistan e, rientrando in Russia decider&agrave; se proseguire verso il Caucaso, puntando poi verso la Turchia e la Grecia, oppure, attraversare i paesi Baltici per tornare in Italia.  &ldquo;La moto &egrave; nel DNA di famiglia&rdquo; dice Giampiero Pagliochini. "Mio nonno andava in moto, mio padre negli anni &lsquo;50 faceva le gincane e, ad essere sincero, le vinceva.&nbsp;Io non potevo che ereditare questa passione.  &ldquo;Per una generazione come la mia che sognava spazi e frontiere lontane non resta che mettersi in viaggio", continua Pagliochini, che &egrave; partito nel 1983 e non si &egrave; pi&ugrave; fermato. &ldquo;Dopo 30 anni di viaggi in moto ho battuto le strade ed i sentieri di gran parte del mondo, ma ogni volta che approdo in una nuova terra lontana, il mondo, con le sue meraviglie, mi lascia ancora a bocca aperta...&rdquo; continua Pagliochini.    Diario di viaggio  26/27 LUGLIO: Dopo 40 ore di navigazione, con un scalo tecnico di 3 ore in Corea, sono a Vladivostock: una citta moderna, un tempo inaccessibile per gli stranieri ed oggi avamposto commerciale dell&rsquo;estremo est della Russia, ad oltre 9.000 km da Mosca.  Sono in compagnia di Martin e Thierry, altri due motociclisti. Abbiamo tutti e tre lo stesso problema: sdoganare. Svetlana, che doveva attenderci dopo l&rsquo;immigrazione, non c&rsquo;&egrave;, &egrave; in un&rsquo;altra uscita; consegno tutta documentazione e do appuntamento a domani, quando di sicuro le moto saranno sdoganate.  L&rsquo;hotel Aqua de Vida &egrave; situato in una buona location, ha pure il parcheggio, ed &egrave; a buon prezzo (15 euro). La giornata scorre tra l&rsquo;acquisto di una scheda SIM locale (Megafon &egrave; la compagnia che va alla grande da queste parti) ed una passeggiata, poi a cena tutti insieme e a nanna.  28 LUGLIO: Svetlana puntale di buon mattino ci recupera in albergo e si va in dogana. Gli uffici sono un continuo viavai di impiegati ed io ho qualche problemino con la moto: l&rsquo;addetta si intoppa sul fatto che la moto che guido non &egrave; di mia propriet&agrave;; io rispondo che in Giappone non mi hanno fatto storie a riguardo, ma il problema &egrave; che il carnet che avevo presentato agli uffici giapponesi in Russia vale come carta straccia. Ad ogni modo la situazione si sistema.  Si mangia un boccone a pranzo, poi ci rechiamo al parcheggio doganale per ritirare le moto. Un&rsquo;altra ora di pratiche e siamo fuori, per una spesa totale di 150 euro: 125 per importazione moto e il resto per assicurazione e deposito doganale.  All&rsquo;hotel &egrave; tutto un maneggiare coi bagagli. Domani il programma prevede rotta verso nord, a Khabarovsk, la citt&agrave; estrema da dove piegheremo di 90 gradi per Mosca. Una volta sistemato tutto, mi faccio un giro per Vladivostok: palazzi stile Liberty e l&rsquo;immancabile piazza con statue a ricordare il nazionalismo simbolo della Russia che fu, ma ancora molto in voga.  29&nbsp;LUGLIO &ndash; Si parte. Martin, che ha la moto pi&ugrave; piccola, guida il gruppo, Thierry in mezzo ed io a chiudere. Si sale verso nord, su strade ampie, popolate da veicoli sospesi tra passato e futuro; molte auto sono importate dal Giappone, perch&eacute; il costo &egrave; pi&ugrave; basso, ma c&rsquo;&egrave; un problema: in Giappone si guida a sinistra (come in Gran Bretagna, per capirsi), mentre in Russia si guida a destra (come in tutta Europa), e cos&igrave; il conducente deve spostarsi verso il centro della strada per avere visuale, rischiando continuamente di fare incidenti.  Essendo l&rsquo;ultimo del trenino, ogni tanto durante il viaggio mi fermo per scattare foto, poi accelero un po&rsquo; e recupero gli altri. Ad un certo punto foro il pneumatico anteriore e sono costretto ad aprire una vera e propria officina di attrezzi per strada: a causare la foratura &egrave; stato un gradino stradale preso a piena velocit&agrave;. Di Martin e Thierry neanche l&rsquo;ombra, sicuramente non si sono accorti del mio problema; cos&igrave; effettuo la riparazione con l&rsquo;aiuto di due camionisti, riparto e nel giro di 80 km recupero gli altri. Appena mi ricongiungo al gruppetto notiamo un hotel con ristorante e decidiamo di fermarci a dormire l&igrave;.  30&nbsp;LUGLIO &ndash; Durante la notte ha piovuto, cos&igrave; al risveglio l&rsquo;aria &egrave; fresca e questo per me &egrave; un sollievo, dato che digerisco male il caldo. La strada attraversa vegetazione a perdita d occhio e si perde su lunghi rettilinei dove viene voglia di aprire il gas a manetta, ma il fondo stradale &egrave; un&rsquo;incognita continua, quindi meglio essere cauti. Si percorrono centinaia di km senza incontrare segnali di vita, poi, immancabile, il distributore di benzina con bar per mettere qualcosa sotto i denti. Il costo del carburante qui &egrave; intorno ai 50 cents al litro: non male!  Superata Khabarovsk, ultima citt&agrave; siberiana con connotati metropolitani, la presenza umana si fa sempre pi&ugrave; rara: solo piccoli villaggi, dove spicca sempre la presenza di una segheria; d&rsquo;altronde tutte le costruzioni sono in legno, anche se molte datate. Qui si vive una vita dai ritmi pacati e fatta di poche cose, ma nonostante ci&ograve; la gente &egrave; cordiale e ospitale; sembra di fare un tuffo nel passato.  Con le moto parcheggiate nella stazione della polizia, dormiamo a Obluckye. Il supermercato di fronte all&rsquo;hotel &egrave; provvisto di tutto: come rinunciare ad una tavoletta di cioccolata Milka?  31&nbsp;LUGLIO &ndash; L&rsquo;ambientazione del viaggio &egrave; la fotocopia del giorno precedente, e lo sar&agrave; pure per quello successivo: solo qualche tratto non asfaltato interrompe i centinaia di km rettilinei immersi nella vegetazione, poi i soliti villaggi, dove ogni tanto si devia e si ha l&rsquo;opportunit&agrave; di vedere cose di altri tempi. Immancabile &egrave; il sidecar, spesso costruito in casa, utilizzato come mezzo di trasporto tutto fare.  A Mancdeghaci si dorme in un motel di recente costruzione. Qui incontro Sasha, che viaggia con una Honda Goldwing gialla, un po&rsquo; datata ma sempre affidabile. La moto mi colpisce perch&eacute; ha montate le trombe da camion.  1&deg; AGOSTO &ndash; Colazione, un abbraccio con Sasha e via, si prosegue verso ovest. Durante il viaggio mi rendo conto che questa via di comunicazione &egrave; strategica al pari della ferrovia che le corre quasi parallela, la famosa Transiberiana: la maggior parte dei convogli che s&rsquo;incontrano sono adibiti al trasporto merci, in particolare carbone e petrolio; lungo l&rsquo;arteria ferroviaria, infatti, sono dislocate numerose centrali energetiche. Col passare dei km passano anche le ore, &egrave; quasi notte ed il cielo non promette niente di buono. Il distributore con il ristorante e l&rsquo;alloggio arriva a puntino: giusto il tempo di parcheggiare che si scatena un nubifragio. Dentro c&rsquo;&egrave; anche una chicca come la sauna, e allora le riflessioni si intrecciano con il vissuto: per chilometri e chilometri il nulla, poi, all&rsquo;improvviso, ogni ben di Dio. Il bello del viaggiare fuori dal nostro mondo.  2&nbsp;AGOSTO - Ha piovuto tutta la notte senza cessare, cos&igrave;, prima di ripartire, penso bene d&rsquo;infilarmi l&rsquo;antipioggia: decisione saggia, perch&eacute; fino a Chita non ci sar&agrave; un attimo di tregua. Quando arrivo nella piazza centrale quasi rischio la multa: non si pu&ograve; passare di l&igrave; ed i poliziotti mi vengono incontro in massa, con fare minaccioso. Mi sento quasi un sovversivo, a malapena riesco a girare la moto e ripartire in fretta e furia.  Chita &egrave; una citta borderline. Praticamente per oltre 2.000 km, tolti i piccoli villaggi, si viaggia nel nulla, con distributori cos&igrave; diradati da rasentare ogni volta il limite del serbatoio; poi all&rsquo;improvviso, come per magia, ci si ritrova davanti ad una citt&agrave; di oltre 300.000 abitanti.  Qui ho un appuntamento con Pavel, un amico di Sambuu, un mio amico mongolo; si sono conosciuti grazie alla passione per la moto ed io, di conseguenza, divento amico degli amici. Pavel ha un passato motociclistico di prim&rsquo;ordine, ha partecipato anche all&rsquo;edizione 2007 della Dakar; parla cinque lingue e a volte intreccia l&rsquo;inglese con lo spagnolo, sapendo che somiglia all&rsquo;italiano.  Dopo l&rsquo;incontro, vado in albergo, che non &egrave; molto distante. Anche qui c&rsquo;&egrave; la sauna, che cul&hellip; fortuna! Mi rilasso, ceno e sprofondo nel letto stanco morto.  3&nbsp;AGOSTO &ndash; Come in Giappone, anche in Russia mi ritrovo a fare i conti con gli apparati elettronici: dopo il PC e l&rsquo;hard disk, adesso mi abbandona pure il lettore della carta Banco Posta. Fortuna che non sono sprovveduto e rimedio con altre carte, ma rifletto che forse era meglio una volta, quando tutti questi aggeggi non c&rsquo;erano e ci si arrangiava con altri espedienti. Ripenso a quando nel 2004, in Colombia, viaggiavo con un malloppo di dollari arrotolato sotto al serbatoio; mi sa tanto che al prossimo viaggio si ritorna ai vecchi metodi!  Dietro l&rsquo;hotel apro di nuovo l&rsquo;officina volante: devo cambiare l&rsquo;olio motore ed equilibrare la ruota davanti, e cos&igrave; ruota sul perno, due file di mattoni come appoggio, peso bloccato con il nastro ed il gioco &egrave; fatto. Altri motociclisti russi di passaggio in hotel mi osservano come se fossi un marziano; non sanno che una volta si faceva cos&igrave;?  Nonostante abbia gi&agrave; percorso molta strada, l&rsquo;olio, a guardarlo, sembra ancora in buone condizioni; dal momento che da queste parti non ho trovato olio sintetico che rispettasse la normativa Jaso, decido rinviare la questione a pi&ugrave; avanti.  4&nbsp;AGOSTO - Oggi la meta &egrave; Ulan-Ude, altra citt&agrave; da oltre 300.000 abitanti, capitale della Buriazia. Lungo la strada, pittoresche conformazioni rocciose sono lo sfondo ideale per scattare foto; qui i lineamenti delle persone assumono chiaramente la matrice mongola e nel percorso noto anche dei santuari buddhisti. Arrivato in citta, mi ritrovo in un hotel dove su quattro piani ci sono solo due bagni ed una doccia. Per fortuna non c&rsquo;&egrave; ressa&hellip;  5&nbsp;AGOSTO &ndash; Lascio i bagagli in albergo e parto per una visita al lago Bajkal, che dista 160 km da Ulan-Ude. Per strada mi fermo a visitare una chiesa ortodossa; chiedo il permesso di scattare foto e, una volta accordato, entro con la macchinetta. A quel punto, per&ograve;, mi becco una manata in testa dal priore, che, con fare non proprio tranquillo, mi fa capire che non posso fare foto; io rispondo di aver chiesto il permesso e allora lui si calma e si limita ad un richiamo verbale. Finito lo &ldquo;shampoo&rdquo;, incredibilmente mi fa cenno di seguirlo, apre la chiesa, mi fa scattare foto e addirittura mi benedice. Non ci capisco nulla, ma quasi quasi vorrei portargli tutti gli attrezzi elettronici che mi si sono rotti durante il viaggio&hellip; anche loro avrebbero bisogno di una bella benedizione!  Arrivato al lago Bajkal, ritrovo Martin e Thierry, con cui negli ultimi giorni mi ero tenuto in contatto telefonico, e passiamo la giornata insieme. C&rsquo;&egrave; un bel sole e ci rilassiamo alla grande. In serata rientro in albergo ad Ulan-Ude, dove preparo tutto per lo &ldquo;sconfinamento&rdquo; in Mongolia.  6&nbsp;AGOSTO &ndash; Il trasferimento verso la Mongolia procede senza problemi, anche se la strada non &egrave; il massimo. Comincio a pensare che forse i russi non hanno interesse a mantenere in ordine questa via di comunicazione, ma all&rsquo;improvviso, 5 km prima del confine, la strada si trasforma in una maestosa 4 corsie, quasi come a voler dare un senso di grandeur a chi proviene dall&rsquo;altra parte. Vai a capire&hellip;  Alla dogana il sole picchia a piombo e non c&rsquo;&egrave; riparo; passano due ore, poi i russi si decidono a farci entrare. Altra ora di attesa: &egrave; tutto ok, ma l&rsquo;addetta dell&rsquo;ufficio deve registrare l&rsquo;uscita del mezzo dal Paese e non &egrave; molto pratica col PC, cos&igrave; bisogna chiamare aiuto. Mi sposto sul lato mongolo, con obbligo di passare in un canale pieno di acqua, dicasi disinfettazione, naturalmente con pedaggio.  Dopo quattro uffici ed il timbro finale sul passaporto, finalmente sono al di l&agrave; della sbarra. Sono le 6 del pomeriggio, anzi le 7, perch&eacute; in Mongolia cambia il fuso orario e cos&igrave; mi basta attraversare una frontiera per perdere un&rsquo;ora. Decido di fermarmi subito al primo albergo, che per fortuna arriva dopo appena 1 km.  La sera sono a cena nel ristorantino di fianco all&rsquo;hotel. La ragazza del locale, che non spiccica una parola d inglese, mi viene incontro e mi passa il suo telefono: cosa vorr&agrave;? Continua a ripetermi solo &ldquo;Ulan Bator&rdquo;, impiego un attimo per realizzare e poi capisco che dall&rsquo;altra parte della cornetta c&rsquo;&egrave; Sambuu, il mio amico mongolo. Grande! Ha riconosciuto l&rsquo;hotel dalle foto che ho messo su Facebook e ha chiamato per salutarmi!  7&nbsp;AGOSTO - Ho appuntamento con Sambuu in un posto circa 20 km prima di Ulan Bator. Parto determinato ad arrivare puntuale, per&ograve; i paesaggi della Mongolia mi prendono: sosto pi&ugrave; volte, faccio foto e video a raffica e m&rsquo;intrattengo con i locali comunicando a gesti. In realt&agrave; non so cosa si dica, e credo che neanche loro capiscano granch&eacute;, per&ograve; sorridiamo tutti&hellip; Il bello della diretta.  Sono quasi le 14 quando giungo all&rsquo;appuntamento con Sambuu, che &egrave; in compagnia di un amico. 16 anni ci separano dalla mia prima visita in Mongolia: io e lui ci incontrammo per caso in moto nel centro e da quel giorno siamo rimasti in contatto. Pi&ugrave; tardi conosco la figlia del suo amico, che studia in Italia, a Ferrara; se fossi alle prime armi mi stupirei, ma oramai ne ho viste talmente tante che non mi accade pi&ugrave;.  Ulan Bator faccio fatica a riconoscerla: una citt&agrave; dai grattacieli che si alternano a centri commerciali e uffici, con un traffico infernale. Solo le ciminiere che sputano fumo sono indelebili nei miei ricordi, oggi come allora.  Parcheggio la moto da Sambuu, poi andiamo in hotel e pi&ugrave; tardi a mangiare qualcosa in compagnia del suo amico e la figlia. Due passi per la Main Square, dove pullulano affitta biciclette e auto elettriche per bambini, e rientro in hotel a mezzanotte passata.  8&nbsp;AGOSTO - Vengo raggiunto in hotel da un ragazzo che fa parte dello staff del Ministero degli Esteri e vengo trasferito all&rsquo;hotel Gengis Khan, ospite del sindaco di Ulan Bator, conosciuto a Roma qualche mese fa. Il tempo di prendere possesso della camera che ci spostiamo a 40 km dalla capitale, dove si svolge per due giorni il Naadam, una manifestazione popolare caratterizzata dalla corsa con cavalli (in questo caso i fantini non devono avere pi&ugrave; di 12 anni), la lotta ed il tiro con arco.  In auto sono insieme ad una ragazza che fa parte di una delegazione coreana ed &egrave; in Mongolia per la prima volta. Quando ci sediamo a tavola ci viene servito del latte di cavalla; lei lo guarda felice e si spara subito una bella sorsata, mentre io rido sotto i baffi. Il latte di cavalla non &egrave; proprio facile da mandare gi&ugrave;, ma lei non lo sa perch&eacute; non l&rsquo;ha mai assaggiato&hellip; e infatti cambia espressione non appena comincia a scendergli in gola&hellip;  Mi incontro con la signora Nara, responsabile delle relazioni internazionali, a cui chiedo con successo un pass per entrare nei luoghi dove si svolgono le competizioni del Naadam. Prima entro nell&rsquo;arena dei lottatori, dove il vincitore si guadagner&agrave; il titolo di di Titanico della Mongolia; poi mi sposto da un&rsquo;altra parte per vedere il tiro con l&rsquo;arco; per concludere c&rsquo;&egrave; la corsa dei cavalli, uno spettacolo sempre affascinante. I fantini vengono scortati a 30 km/h e poi, all&rsquo;improvviso, lasciati alla folle corsa; al traguardo vengono premiati i primi 5 ed il cavallo vincente diventa simbolo di fortuna, cos&igrave; si scatena una ressa infernale per toccarlo.  Quando rientro in hotel &egrave; notte. Il tempo di una doccia che Sambuu mi recupera e si va a cena alla terrazza a due passi dal centro; c&rsquo;&egrave; il menu italiano, ordino spaghetti alla carbonara.  9&nbsp;AGOSTO - La sveglia, implacabile, suona alle 7. Colazione e scendo nella hall dell&rsquo;albergo armato di fotocamera: l&igrave; davanti hanno allestito la hospitality del Mongolia Rally. Alle 8 parte il primo concorrente per il trasferimento di 45 km verso sud, da dove partir&agrave; la gare ufficiale.  Enkhtur mi fa da cicerone, lui che ha corso questo rally, poi anche noi ci trasferiamo alla partenza. Nell'attesa scatto foto e faccio interviste, in particolar modo a due ragazze che si giocano la classifica donne.  Il parco moto e auto &egrave; di prim&rsquo;ordine: KTM 450 Rally replica, due 690 Rally, poi Honda e qualche vetusta Suzuki; tra le auto a giocarsela sono Toyota e Mitsubishi.  La Mongolia &egrave; l`ideale per questa gara e, mentre sfilano i concorrenti, mi balena in mente un pensierino per il 2016&hellip;  Si torna ad Ulan Bator, faccio una doccia e via verso la localit&agrave; dove &egrave; la statua di Gengis Khan. Costruita in acciaio inox, &egrave; posta in un rialzo che sovrasta la pianura e, grazie ad Enkhtur, mi faccio un giro in delta o altro aggeggio simile sulla piana, uno spettacolo mozzafiato.  Quando rientro ad UB ho appuntamento con Luciano Cosmo, con un passato glorioso nell&rsquo;enduro ed ora libero professionista in Mongolia. Cena e poi vado a letto: che giornatina!  Giampiero Pagliochini

Viaggi in Moto: Asian Runways, 2&deg; parte

Dopo aver girato l&rsquo;intera isola del Giappone, Pagliochini, in traghetto, si sposter&agrave; in Corea del Sud per circa 3 settimane. Da l&igrave;, sempre in traghetto, arriver&agrave; a Vladivostock in Russia. Dall&rsquo;ultimo avamposto russo, inizier&agrave; a percorrere la mitica Transiberiana che lo condurr&agrave; in Mongolia. Nel paese di Gengis Khan, visiter&agrave; la capitale Ulan Bator e il deserto del Gobi, per poi rientrare &nbsp;in Russia costeggiando il lago Bajkal. Attraverser&agrave; il Kazakistan e, rientrando in Russia decider&agrave; se proseguire verso il Caucaso, puntando poi verso la Turchia e la Grecia, oppure, attraversare i paesi Baltici per tornare in Italia.  &nbsp;&ldquo;La moto &egrave; nel DNA di famiglia&rdquo; dice Giampiero Pagliochini. "Mio nonno andava in moto, mio padre negli anni &lsquo;50 faceva le gincane e, ad essere sincero, le vinceva.&nbsp;Io non potevo che ereditare questa passione.  &ldquo;Per una generazione come la mia che sognava spazi e frontiere lontane non resta che mettersi in viaggio", continua Pagliochini, che &egrave; partito nel 1983 e non si &egrave; pi&ugrave; fermato. &ldquo;Dopo 30 anni di viaggi in moto ho battuto le strade ed i sentieri di gran parte del mondo, ma ogni volta che approdo in una nuova terra lontana, il mondo, con le sue meraviglie, mi lascia ancora a bocca aperta...&rdquo;continua Pagliochini.  Giappone   &ldquo;Sono continuamente alla ricerca di qualcosa di nuovo&rdquo;, spiega Giampiero Pagliochini alla vigilia del suo viaggio in Giappone, &ldquo;e non vedo l&rsquo;ora di mettere alla prova la 1190R che la KTM mi ha fornito in un viaggio che unisce Paesi gi&agrave; visitati come la Mongolia, a zone che non ho mai esplorato come il Giappone, la Corea del Sud e la parte orientale della Russia".  Diario di viaggio   2 LUGLIO &ndash; L&rsquo;aeroporto di Narita - Tokyo mi accoglie sotto un forte temporale, che durer&agrave; ininterrottamente fino al giorno della partenza. Io nel frattempo devo ritirare la moto, che per&ograve; arriva con la bellezza di 9 ore di ritardo. In albergo di primo pomeriggio mi fa visita Moruro, un componente del club KTM 1190 del Giappone conosciuto tramite Facebook. Quest&rsquo;incontro si rivela una delle esperienze pi&ugrave; belle sotto il profilo umano di questa prima parte di viaggio: insieme al mio nuovo amico, mi metto in contatto con la compagnia e ricevo la notizia che l&rsquo;arrivo &egrave; confermato come previsto.  3 LUGLIO - Armato di tutto l&rsquo;occorrente, entro nel docks doganale di buon mattino per timbrare il carnet per l`importazione. Ma arriva subito una doccia fredda (visto che piove, siamo in tema&hellip;): il documento deve essere autenticato dalla JAF, cio&egrave; l&rsquo;equivalente giapponese della nostra ACI. Mi si dice che devo recarmi presso la loro sede luned&igrave;, ma oggi &egrave; venerd&igrave; ed io non voglio attendere tre giorni fermo. Prendo il telefono e parlo direttamente con Mr. Sato, il presidente, chiedendo la cortesia di sbrigare la mia pratica in giornata: si pu&ograve; fare, ma devo recarmi personalmente alla sede di Tokyo.  Eseguo al volo: mi faccio indicare la strada, prendo un taxi e un treno ed in tre quarti d&rsquo;ora sono alla JAF. Nulla da dire sui trasporti ferroviari, davvero precisi e velocissimi! Vengo accolto con la riverenza tipica del modo di fare giapponese; il signor Sato non c`&egrave;, ma ha lasciato disposizioni che si operi in maniera tempestiva. Consegno tutti i documenti, il gentilissimo funzionario mi dice di attendere un&rsquo;ora e cos&igrave; ne approfitto per andare a mangiare qualcosa. Al mio ritorno &egrave; tutto pronto, prendo i documenti e riparto verso l&rsquo;aeroporto, ma sbaglio qualcosa ed arrivo in ritardo di un&rsquo;ora, dopo un cambio non azzeccato.  La dogana &egrave; sempre aperta, per&ograve; stavolta l&rsquo;impiegato &egrave; molto meno solerte e si perde tra controlli in archivio e consulti con altri colleghi, facendomi aspettare ben due ore prima di mettere il fatidico timbri sul carnet. Ho idea che da queste parti il senso di sbagliare venga punito indirettamente con atteggiamenti del genere. Il culmine si raggiunge quando mi viene chiesto di far apporre un timbro per la moto anche sul passaporto; a quel punto mi inalbero e faccio presente che il passaporto serve per far circolare la persona, mentre per la moto c&rsquo;&egrave; appositamente il carnet. Nessuno obietta e cos&igrave;, alle 21, posso finalmente uscire dall&rsquo;ufficio con i documenti in regola.  Vorrei farmi un giro nel circondario, ma non ho un goccio di benzina nel serbatoio ed i distributori hanno gi&agrave; chiuso da un&rsquo;ora, cos&igrave; non mi resta che tornare in albergo.  4 LUGLIO - Alle 8:30 del sabato sono ancora all&rsquo;aeroporto. Finalmente mi viene consegnata la moto, ma la ragazza addetta al deposito comincia a creare problemi: prima vuole la patente internazionale, poi chiede il libretto della moto, poi vuole sentire la polizia per la targa; sbotto e le chiedo &ldquo;Scusa, per caso fai la poliziotta?&rdquo;.  Ma non &egrave; ancora finita! Non posso portare benzina dentro la dogana e, visto che il serbatoio della mia KTM &egrave; vuoto, sono costretto a spingere la moto fino al distributore, che per fortuna &egrave; a soli 50 mt di distanza. Faccio il pieno, sbrigo le ultime pratiche e finalmente me ne torno in albergo in santa pace. Che sospiro!  Momuro mi chiama sul tardi: &ldquo;Domani mattina alle 10 sono l&igrave;, andiamo a fare un giro con un po&rsquo; di amici.&rdquo; Nel frattempo io vado a Tokyo e mi incontro con Francesco Ristori, un ragazzo toscano che lavora qui; anche lui si presenta in moto. L&rsquo;appuntamento &egrave; davanti alla statua di Hachiko, il fedelissimo cane che per anni and&ograve; tutti i giorni alla stazione di Shibuya ad attendere il ritorno del suo padrone, in realt&agrave; morto improvvisamente sul posto di lavoro per un ictus. Fu accudito dalle persone che frequentavano la stazione, ma continu&ograve; a recarsi tutti i giorni alla stazione, sempre alla stessa ora, fino a quando non mor&igrave; anche lui. La sua storia commuove il mondo intero da generazioni, tanto che la statua in suo onore fu costruita prima ancora che morisse.  Dopo l&rsquo;appuntamento con Francesco torno in albergo: complice anche il fuso orario, sono veramente cotto.  5 LUGLIO - Maruro e i suoi amici arrivano puntuali in albergo; si parte, destinazione il grande Buddha a Ushiku Daibutsu. Piove, ma chi se ne importa!  Torniamo in albergo di sera, dopo aver trascorso una bellissima giornata. Ci salutiamo e diamo appuntamento ai prossimi giorni; io domani punto a nord, verso l&rsquo;isola di Hokkaido.  6 LUGLIO &ndash; Tanto per cambiare, piove ancora. Parto sbagliando strada, ma per fortuna mi accorgo subito e mi rimetto sulla direzione giusta. Macino chilometri, poi a Sendai lascio la statale 4 e proseguo lungo la costa della prefettura di Fukushima, su cui si abbatt&eacute; il disastroso tsunami del 2011.  La sera dormo a Kitakami. L&rsquo;hotel &egrave; a conduzione familiare, molto tranquillo. Io faccio un paio di errori: prima entro con le scarpe (qui si usa viaggiare con le pantofole messe a disposizione), poi, nell&rsquo;assaggiare una salsa &ldquo;violenta&rdquo;, faccio un colpo di tosse che mi fa riversare un po&rsquo; di soia sulla tastiera del pc. Bum! Tastiera inutilizzabile.  7 LUGLIO - Al mattino esco dalla costa e rientro per l&rsquo;arteria principale; pi&ugrave; vado a nord, pi&ugrave; la temperatura si fa piacevole. La sera dormo ad Oma, domani alle 8 si traghetta per Hokkaido.  8 LUGLIO - La puntualit&agrave; &egrave; una prerogativa ben nota dei giapponesi: alle 8 in punto si lascia il porto e dopo un&rsquo;ora e mezza di navigazione siamo ad Hokkaido. Prendo l&rsquo;autostrada che porta a Sapporo, localit&agrave; famosa per le olimpiadi invernali del 1972, contornato da una vegetazione possente. Una stranezza che noto da subito &egrave; che l&rsquo;autostrada a tratti &egrave; ad una sola corsia, ma questo non sembra pesare pi&ugrave; di tanto, vista l&rsquo;assoluta scrupolosit&agrave; con cui gli automobilisti da queste parti rispettano i limiti.  A met&agrave; del tragitto verso Sapporo esco dall&rsquo;autostrada ed imbocco una strada normale, che passa attraverso montagne e vallate rigogliose, dove l&rsquo;agricoltura &egrave; la prima attivit&agrave;; quest&rsquo;immagine contrasta un po&rsquo; con l&rsquo;idea che tutti, me compreso, abbiamo di questo popolo, visto sempre come il massimo della tecnologia. In realt&agrave; noter&ograve; pi&ugrave; avanti quanto sia veloce la connessione ad internet dal telefonino e che, oltre al telefono, nemmeno la mia SIM funziona in questo paese. Credo che siano davvero un passo avanti sotto questo punto di vista.  Arrivato a Sapporo parcheggio in centro, dove ho un appuntamento con Hidetoshi, altro componente del club KTM 1190. Passano due ore, ma lui ancora non si vede; allora chiedo ad un ragazzo la cortesia di farmi collegare ad internet, tramite cui recupero il suo numero. 10 minuti e finalmente Hidetoshi arriva, in sella alla sua moto. Ci dirigiamo subito a casa sua, poi via di corsa ad acquistare un nuovo PC, appena in tempo prima che il negozio chiuda, e poi cena a base dell&rsquo;immancabile sushi.  9 LUGLIO - Giornata di riposo con Hidetoshi, che mi programma il PC in un misto tra italiano e giapponese, che a volte mi richiede di cambiare lingua per fare alcune cose. Pomeriggio giro in moto con un tramonto notevole, poi a casa.  10 LUGLIO &ndash; Al mattino carico tutto e partiamo in direzione nord con Hideotoshi ed un suo amico. Per strada incontriamo un motociclista in sella ad un mezzo che ulula come un lupo; l&igrave; per l&igrave; non capisco, ma poi quando parcheggiamo riconosco la Honda 4 cilindri 250 cc del 1995, roba da 50 cavalli a 18.000 giri. Si pranza insieme, poi proseguo con Hideotoshi e gli ultimi 180 km li faccio da solo. Quando giungo a Wakkanai fa freddo; le scritte dei segnali sono bilingue, giapponese e russo. L&rsquo;isola di Sachalin, infatti, non &egrave; molto distante.  11 LUGLIO - Mi sveglio presto, la giornata sar&agrave; lunga ed interessante. Uscendo da Wakkanai mi becco un bello shampoo dalla polizia; andavo a 65 all&rsquo;ora e qui il limite &egrave; 50. Mi salvo facendo il tonto, parlo in italiano e faccio finta di non capire. Alla fine mi lasciano andare, ma....occhio!  Saya Misaki &egrave; la punta estrema del nord del Giappone. Battuta dal vento, &egrave; la meta di molti turisti, che vogliono immortalarsi con il monumento che ne evoca il luogo: una sorta di Capo Nord giapponese.  Scendo a sud e mi infilo tra le montagne, dove trovo paesaggi incontaminati e grande ordine. Non mi aspettavo un Giappone cosi. La sera dormo ad Abashiri, famosa per il carcere, l&rsquo;Alcatraz giapponese.  12 LUGLIO - Una giornata di sole (dopo la pioggia dei primi giorni, ci voleva) mi accompagna verso Siretoko, il parco nazionale famoso per la fauna e le sue cascate. Questo &egrave; un altro Giappone: le strade sono delle normali vie di comunicazione, lontane parenti di quelle del sud. Dormo a Shibestu.  13 LUGLIO - Costeggio il Nemuro Wan, una baia bellissima, paradiso di volatili. Tutte le persone che incontro sono munite di binocolo; credo che i giapponesi siano in assoluto il popolo pi&ugrave; rispettoso al mondo dell&rsquo;ambiente e, allo stesso tempo, amante del proprio habitat.  14 e 15 LUGLIO &ndash; Stanco, faccio tappa a met&agrave; strada, prima di tornare a Sapporo, dove Hidetoshi mi ospita di nuovo e dove lo saluto per darci appuntamento in Italia. Punto a sud per Oma, becco il traghetto giusto in tempo, ma ad Oma trovo tutti gli alberghi pieni, cos&igrave; non mi resta che proseguire; le scritte accanto agli edifici non aiutano, ma l&rsquo;esperienza s&igrave;: trovo una costruzione che ha la parvenza di un hotel, mi fermo e per fortuna non ci ho indovinato.  16 LUGLIO &ndash; Continuo a scendere a sud e visito il lago Tawada, incastonato tra le montagne; poi torna a scendere la pioggia e vado a cercarmi un hotel a Morioka. &ldquo;Do you have reservation?&rdquo; &ldquo;No,&rdquo; &ldquo;Full!&rdquo; Questa scena si ripete una, due, tre, quattro e cinque volte&hellip; Alla fine salgo in moto e riparto verso sud; prima di Sendai noto degli alberghi ad ore. Qui se non hai casa, che costa cara, vivi in famiglia, quindi normale trovare un rimedio. Entro in stanza e sprofondo nel letto.  17 LUGLIO - Quando mi sveglio sono quasi le 10, il tempo massimo per rimanere in hotel. Trasbordo tutto fuori in fretta e furia, infilo l&rsquo;antipioggia e proseguo per il sud. Supero Tokyo e mi fermo alla stazione ferroviaria di Machida, dove ho appuntamento con Momuro. Anche qui, come qualche giorno fa con Hidetoshi, sono costretto a farmi prestare il telefono (il mio non funziona in Giappone) da due ragazzi per chiamarlo; e anche stavolta, come con Hidetoshi, Momuro arriva dopo 10 minuti.  Chiedo un hotel, Momuro ci pensa su un po&rsquo; e poi mi invita a dormire a casa sua. Arriviamo e trovo una casa modesta, con la mamma di Momuro che mi accoglie come un figlio.  18 LUGLIO &ndash; Passo tutta la giornata a cercare di prenotare online il traghetto con cui lascer&ograve; il Giappone tra qualche giorno, ma non c&rsquo;&egrave; verso: ad un certo punto, infatti, la procedura di pagamento prevede l&rsquo;invio di un SMS con un codice, ma io ho il telefono bloccato e non posso fare nulla. Per fortuna risolvo chiamando direttamente la compagnia; mi risponde Tatiana, che di giapponese non ha nulla, ma parla bene inglese e mi spiega che posso anche pagare cash al porto, purch&eacute; spedisca in anticipo tutti i documenti.  Alla sera rientra Momuro, che mi mette a disposizione stampante con scanner e fax: quando si dice funzionalit&agrave;&hellip;  Espletate queste pratiche, andiamo ad una SPA dove si fa il bagno tutti insieme: uomini da una parte donne da un&rsquo;altra, con piscine riscaldate a 41 gradi. Mi mancava!  19 LUGLIO - Carichi per stare via tre giorni, saluto la mamma di Momuro con una foto ricordo e poi partiamo verso il il monte Fuji, dove abbiamo appuntamento con alcuni amici, uno dei quali l&rsquo;avevo gi&agrave; conosciuto nei primi giorni a Tokyo. Sotto al monte simbolo del Giappone, ci immortaliamo in una foto con le bandiere giapponese ed italiana.  La sera recuperiamo un altro amico di Moruro e poi proseguiamo per il monte Shiaran San, dove ci aspetta Okamoto insieme ai sui amici. Dopo cena mi invitano ad andare da un&rsquo;altra parte, ma io sono stanco e non ho molta voglia; loro, per&ograve;, sono insistenti ed alla fine non posso fare altro che accettare. Il motivo di tanto coinvolgimento si rivela essere una bellissima sorpresa: gli amici giapponesi mi hanno regalato un piccolo barbecue con serigrafato il logo del mio viaggio. Che serata! Devo stare al gioco e al sak&egrave;!  20 LUGLIO - Montagne, stradine che si inerpicano su per le montagne, per poi scendere in discesa a capo fitto. Ci fermiamo a pranzo e noto che si avvicina un gruppetto di curiosi. Fa notizia quest&rsquo;italiano in moto che ha raggiunto il Giappone per tornare in Italia: ogni volta che si parcheggia &egrave; un racconto.  Visitiamo il castello Samurai pi&ugrave; antico del Giappone, il Gujo Hachiman, e, dopo aver cenato insieme, le nostre strade si dividono. La cosa che ancora una volta noto &egrave; che tutto viene lasciato sulla moto, dal casco, al navigatore, alla giacca, tanto nessuno toccher&agrave; nulla. Al ristorante, invece, faccio una scoperta bellissima: la donna incaricata di fare il conto usa l&rsquo;abaco. Nel paese dell&rsquo;elettronica, dove anche gli ottantenni navigano con il telefonino, vedere una signora che fa i conti col pallottoliere &egrave; una finezza assoluta.  21 LUGLIO - Nara mi accoglie con i tanti cerbiatti in strada. Sono il soggetto di ogni foto, ma lo &egrave; anche il Buddha custodito nel tempio Todai Ji, meta, oltre che di turisti, anche di fedeli.  Lascio il tempio per recarmi all&rsquo;appuntamento con Tezukuri Motomo; anche stavolta devo ripetere la procedura gi&agrave; usata con Hidetoshi e Momuro, cio&egrave; farmi prestare il telefono da una persona del posto e chiamare. A casa di Motomo sono accolto con tutti gli onori, lui ha addirittura preso due giorni di ferie per dedicarsi a me. Un&rsquo;ospitalit&agrave; ed uno spirito di accoglienza che qui in Italia abbiamo perso.  22 LUGLIO - Piove forte e quindi con Motomo decidiamo di lasciare parcheggiate le moto: andiamo a Kyoto con l&rsquo;auto. Rokuon-Ji, il tempio del padiglione d&rsquo;oro, il santuario di Shimogamo, Daigo-Ji, sono tra i templi pi&ugrave; ammirati di questa citta. In citt&agrave; si celebra una festa nazionale e quindi ho la possibilit&agrave; di ammirare uomini e donne vestiti in kimono; i giapponesi sono molto attaccati alle loro tradizioni e non esitano a mostrarle.  A cena con la famiglia di Motomo si parla del pi&ugrave; e del meno. Ovviamente, il protagonista dei discorsi sono sempre io: mi fanno un sacco di domande, sono pieni di curiosit&agrave;, vogliono sapere tante cose di me, e soprattutto dei miei viaggi in moto.  23 LUGLIO - Oggi si va in moto anche se continua a piovere. La meta &egrave; il castello di Himeji, a volte conosciuto col nome di Hakuroj&#333; o Shirasagij&#333;, cio&egrave; airone bianco, a causa del suo aspetto esteriore di un colore bianco brillante. &Egrave; un castello imponente, costruito a scopo militare, dove ci sono anche alcune stanze dedicate al Harakiri.  24 LUGLIO - Mi resta circa un giorno e mezzo di permanenza in Giappone, per cui mi avvicino a Sakaiminato, da dove salper&ograve; per Vladivostock. Nel pomeriggio mi reco negli uffici del porto per capire come affrontare certi aspetti burocratici, tipo l&rsquo;ingresso della moto in Russia, dove il carnet utilizzato in Giappone non ha nessun significato. Tatiana, la ragazza che mi aveva aiutato a prenotare il biglietto per telefono, propone un&rsquo;agenzia&hellip; Ho capito, con 130 euro passa la paura, ma la moto dovr&agrave; restare in dogana per due giorni. Paese che vai, dogana che trovi!  25 LUGLIO - Lascio il Giappone con un ricordo indelebile: non immaginavo di ricevere un&rsquo;accoglienza cos&igrave; calda e di conoscere persone cos&igrave; disponibili. Al porto incontro Martin e Jeremy, due viaggiatori come me: chi torna dall&rsquo;Australia, chi da un go come back, condividiamo storie di uomini in sella alle loro moto. Ritrovarsi in un&rsquo;altra parte del mondo e scambiare esperienze &egrave; una delle cose pi&ugrave; affascinanti dei viaggi.  Un saluto dal Giappone, ci si risente da Vladivostock.  Giampiero Pagliochini    &nbsp;

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