Disegnare circuiti da zero; oppure intervenire su tracciati gi&agrave; esistenti per tirarne fuori l&rsquo;anima pi&ugrave; racing e passionale. Se pensate che ideare e ammodernare piste sia soprattutto una questione di potenti software, intuito e creativit&agrave;, in effetti avete in parte ragione. Ma solo in parte. Grazie a Jarno Zaffelli, patron di Studio Dromo e progettista di circuiti tra i pi&ugrave; importanti al mondo, abbiamo avuto la possibilit&agrave; di immergerci tra le trame di una professione complessa e affascinante dai risvolti insospettabili; persino filosofici, antropologici e artistici. Soprattutto quando si va alla ricerca dell&rsquo;eccellenza assoluta.  ELABORARE UNA PISTA COME si FA CON... I MOTORI  &ldquo;L&rsquo;attivit&agrave; di progettazione, da un lato, punta a realizzare realt&agrave; ex novo; dall&rsquo;altro a interviene su circuiti gi&agrave; esistenti. In quest&rsquo;ultimo caso &egrave; un po&rsquo; come se fossimo, nel mondo motoristico, degli elaboratori di alto livello. Come chi prende un mezzo, magari gi&agrave; bello e performante, e lo tira al massimo per renderlo ancora pi&ugrave; speciale. Ecco, noi facciamo questo con le piste&rdquo;.&nbsp;  Una&nbsp; similitudine, quella con chi elabora special - per definizione, mezzi unici, dal forte impatto emozionale - che rende piuttosto bene l&rsquo;idea di un&rsquo;attivit&agrave; in cui si riescono a ottenere risultati eccezionali andando a intervenire su una vasta gamma di fattori. Compresi alcuni che, di primo acchito, sembrerebbero marginali. Jarno ci fa subito un esempio concreto.  &ldquo;Prendi il Paul Ricard su cui siamo intervenuti di recente. Alcune testate giornalistiche hanno sottolineato come, finalmente, vi si corrano gare degne di questo nome. E questo, nonostante non sia cambiato il layout, e il tipo di asfalto non sia poi cos&igrave; diverso dal precedente. In realt&agrave;, sono stati effettuati un gran numero di affinamenti, che normalmente, e a torto, non sono neanche presi in considerazione. C&rsquo;&egrave; chi si limita a risfaltare, e chi invece cerca di andare pi&ugrave; a fondo. Capire com&rsquo;&egrave; la pista. Che cosa si pu&ograve; migliorare. Per esempio, in questo punto la frenata non mi piace tantissimo; oppure, qua l&rsquo;acqua non va via nella maniera giusta. Ecco, accompagnata da tutta una serie di valutazioni e affinamenti, anche una semplice riasfaltatura pu&ograve; fare la differenza, e rendere le gare pi&ugrave; avvincenti. Proprio come uno scultore che tira fuori l&rsquo;anima da un semplice pezzo di pietra. In genere, si d&agrave; sempre la colpa alle auto, se le corse sono noiose. Invece parte del problema &egrave; da imputare anche ai circuiti&rdquo;.&nbsp;  LE PISTE DI OGGI? IN MOLTI CASI BELLE, MA SENZA ANIMA  Un&rsquo;affermazione, quest&#39;ultima, su cui non sempre si riflette abbastanza. Molte piste, poi, sono state progettate sulla base di riferimenti motoristici oramai preistorici. Auto e moto sportive, soprattutto in tempi recenti, si sono evolute tantissimo in termini di potenzialit&agrave; meccaniche e prestazionali. Sono cambiati i regolamenti. Eppure, proprio su questi ultimi punti, Jarno ci vuole mettere subito in guardia.&nbsp;&nbsp;  &ldquo;Non siamo mai stati della filosofia di inseguire i regolamenti o le performance dei mezzi. Perch&eacute; ho sempre detto, da quando ho cominciato questo lavoro, che un circuito, se &egrave; bello, &egrave; bello. Punto. Se vogliamo dirla tutta, nel tempo, proprio con questa idea di fare gli autodromi sempre pi&ugrave; aderenti ai regolamenti, piuttosto che badare all&rsquo;emozionalit&agrave;, ci siamo ritrovati con tante piste che in realt&agrave; non consegnavano gare. Perch&eacute; - e le ho sempre definite cos&igrave; - sono delle belle senz&rsquo;anima. Piste costruite e progettate perfettamente, come progetteresti un&rsquo;autostrada. Ma che alla fine non permettono di dividere l&rsquo;uomo dal ragazzo. Di fare la differenza tra piloti. Tra mezzi diversi. Tra ingegneri. Che invece &egrave; proprio quello che bisogna cercare quando si disegna un circuito&quot;.&nbsp;  Tra le righe inizia a delinearsi uno degli aspetti di maggiore criticit&agrave; per il progettista. Perch&eacute;, se da un lato &egrave; lo stesso Zaffelli a farsi portabandiera della spettacolarit&agrave; prima di tutto, il conflitto/confronto con regolamenti e vincoli, soprattutto per quanto riguarda il tema della sicurezza, prima o poi, in un modo o nell&rsquo;altro, entra sempre in gioco. Ma intanto, &egrave; lui stesso a fornirci una prima soluzione, che in pratica ribalta i termini della questione. A dimostrazione di quanto ingegno, intuito, ma anche preparazione e autorevolezza, siano fondamentali per fare la differenza in questo contesto.&nbsp;  &ldquo;Generalmente si tende a dire: prima viene la sicurezza, poi tutto il resto. Noi abbiamo rovesciato il paradigma, inventando un nostro software proprietario, che ad esempio calcola automaticamente le vie di fuga in base ai rilievi effettuati. In questo modo ci possiamo concentrare solamente nel rendere un tracciato il pi&ugrave; difficile e avvincente possibile.&nbsp; La libert&agrave; del progettista, in questo, deve essere massima. Le piste non si disegnano in base a un regolamento. In passato, alcuni colleghi si sono uniformati a delle linee guida come se fossero dei regolamenti. Ragionando cos&igrave;, l&rsquo;attuale circuito di Zandvoort, ad esempio, non sarebbe mai stata possibile. Per ottenere ci&ograve; che volevamo, siamo dovuti andare oltre tutte le linee guida che avevamo dalla FIA in termini di pendenze laterali, di raggi di curvatura, di transizioni, di dimensioni delle vie di fuga. Alla fine, siamo riusciti a convincerli che si poteva avere una gara di Formula1 all&rsquo;interno di un circuito realizzato con criteri diversi da quelli con cui erano state progettate altre piste&rdquo;.&nbsp;  Tanto &egrave; bastato! Anche in seguito a esperienze come questa, infatti, in tempi recenti si &egrave; iniziato a ripensare la precedente filosofia imperante, che gravitava rigidamente intorno ai regolamenti. Ma qual &egrave;, nel dettaglio, il processo di progettazione? Addentrandosi nel workflow &ldquo;tipo&rdquo;, la prima fase &egrave; sempre quella della raccolta dei dati. Se si tratta di ammodernare una struttura preesistente, si inizia con una raccolta di interviste - ai piloti, o a chi ci lavora - per cercare di capire cosa funziona e cosa no. Dove si pu&ograve; intervenire per migliorare. Nel caso di un progetto ex novo, parallelamente ai necessari rilievi, si effettuano ampie ed eterogenee analisi, che prendono in considerazione la location, la storia del luogo, la tradizione locale in ambito motorsport, cosa piace di pi&ugrave;.&nbsp;  &ldquo;Se vado negli Stati Uniti, e faccio un rettilineo di 400 metri, ha senso; in Italia no. Deve essere di almeno di 1,2 chilometri, perch&eacute; da noi si cercano i 300 all&rsquo;ora. Sembra banale, ma le prime considerazioni sono sempre di tipo ambientale e socio-culturale. Dopo aver raccolto i dati, si passa a processarli per arrivare a un concept della pista. In questa fase, importantissima &egrave; l&rsquo;attivit&agrave; di simulazione: sia software, per la sicurezza e per valutare le performance dei mezzi; sia con i piloti nel simulatore, per verificare la bont&agrave; delle idee, ed eventualmente apportare modifiche.&nbsp; Lo step successivo &egrave; invece con le federazioni - le varie Aci, FIA, Federmoto - per avere dei pareri e cercare di arrivare a un punto (o trovare un compromesso, quando necessario) in termini di regolamenti e linee guida. Solo a questo punto inizia la progettazione vera e propria, insieme alla richiesta di autorizzazioni di vario genere per poter avviare la cantierizzazione. In questa fase &egrave; fondamentale saper guidare il cliente nella scelta dei contractors, quindi aziende che possano garantire uno standard dei lavori ottimale. Noi abbiamo dei metodi di controllo della qualit&agrave; molto severi: riusciamo a dire, ad esempio, a fine giornata, senza neanche provarlo, se un asfalto ha le qualit&agrave; necessarie, secondo le nostre specifiche, oppure no. Verificare che le opere vengano eseguite esattamente come le avevamo in mente, cos&igrave; come simulate nelle fasi precedenti, &egrave; di primaria importanza. La prova del nove, a lavori finiti, ce l&rsquo;hai quando la sensazione &egrave;: ok, questo l&rsquo;avevo gi&agrave; visto&hellip; ovviamente nel simulatore&rdquo;.  NON SERVE SAPERE ANDARE FORTE IN MOTO MA COME FARE ANDARE FORTE GLI ALTRI    Un processo realizzativo articolato e complesso. E in tutta evidenza, anche molto costoso. Non ci stupiamo, quindi, quando Jarno, parlando di costi di impresa, ci rivela che solo in ricerca e sviluppo si investono, ogni anno, centinaia di migliaia di euro. Ciononostante, non sono pochi quelli convinti che basti magari un buon software, creativit&agrave; e voglia di fare per lanciarsi in questo affascinante settore.&nbsp;  &ldquo;Non si pu&ograve; pensare di fare questo mestiere, in proprio, partendo da zero. Io ho impiegato vent&rsquo;anni a mettere in piedi una struttura come la mia. Non &egrave; che se ho Autocad (ndA, un potente software di progettazione) posso mettermi a disegnare un circuito, solo perch&eacute; in passato ha fatto una strada. Nel nostro settore confluiscono tante branche, ambiti e competenze: civili, militari, spaziali; colleghiamo la topografia alla geologia, all&rsquo;ingegneria civile, alla meccanica, allo studio dei materiali; persino alla filosofia, alla percezione, e all&rsquo;ottica. Talmente tanti di quegli aspetti, che la formazione dura anni, e in pratica non finisce mai&rdquo;.  Pensando a chi disegna piste, a proposito di competenze e formazione, viene spontaneo chiedersi quanto conti un background da motociclista, da automobilista sportivo, o possedere competenze in ambito motorsport. Secondo Zaffelli, meno di quanto si possa credere.  &ldquo;Certo, ci vuole passione. Ma noi non sappiamo andare forte in macchina; non sappiamo andare forte in moto; per&ograve; sappiamo esattamente come fare andare forte gli altri. Ed &egrave; questo ci&ograve; che conta&rdquo;. 

<p>Quella del progettista di circuiti &egrave; una professione complessa e affascinante cheche incide direttamente sulla spettacolarit&agrave; delle gare e sul divertimento tra i cordoli. Ne abbiamo parlato col patron di Studio Dromo</p> 

Emozioni in pista, la ricetta di Jarno Zaffelli

Una professione complessa e affascinante che incide direttamente sulla spettacolarità delle gare e sul divertimento tra i cordoli

Men At Work: il progettista di circuiti LA GALLERY

In un video divulgato da Honda i due campioni mostrano quello che &egrave; in grado di fare la nuova maxienduro Africa Twin Nord della Spagna: due amici si incontrano per scorrazzare su una pista sterrata. Solo che i due amici sono Joan Barreda (Team HRC Rally) e Marc Marquez (Team Honda MotoGP) e la moto &egrave; la nuovissima Honda CRF1000L, gi&agrave; universalmente riconosciuta come, semplicemente, Africa Twin.  La Casa giapponese continua a puntare forte sul lato fuoristradistico di questa moto che, ricordiamo, vedremo a breve e che &egrave; stata sviluppata anche con l'esperienza maturata sui campi di gara con le enduro e cross della gamma CRF dalle quali la nuova "Africa" ha ereditato anche alcune soluzioni motoristiche.  Cosa &egrave; in grado di fare la nuova maxienduro giapponese? Ce lo dimostrano i due campioni alla guida della versione tradizionale e di quella dotata di cambio a doppia frizione DCT.  https://www.youtube.com/watch?v=dmJbVgFJJbo  &nbsp;  https://www.youtube.com/watch?v=-Hl-iJI2HwM  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp; https://www.youtube.com/watch?v=14GYynBjS_I [gallery ids="25730,25731,25732,25733"]  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;

Marquez e Barreda ci mostrano in alcuni video le potenzialit&agrave; della nuova Africa Twin

Marquez e Barreda in sella alla nuova Africa Twin

La nuova Honda Africa Twin sta per arrivare... E se questo significasse il ritorno delle maxienduro vere? &nbsp;La diffusione del video dell'ultima nata in Casa Honda, l'attesissima Africa Twin, ha nuovamente puntato i riflettori su una categoria di moto che potrebbe vivere una seconda giovinezza: le maxienduro vere, figlie di quelle moto che hanno vissuto un'epoca d'oro a cavallo degli anni ottanta e novanta. Allora erano un punto di arrivo: si partiva dai monocilindrici, con nomi e serbatoi da vere avventuriere, per arrivare a queste vere e proprie navi del deserto. Africa Twin e Yamaha SuperT&eacute;n&eacute;r&eacute;, e in misura minore l'indimenticata Cagiva Elefant, si contendevano lo scettro di &ldquo;pi&ugrave; desiderate&rdquo;.  L'evoluzione del segmento ha portato a moto sempre pi&ugrave; performanti, tecnologiche, stradali. Stradali al punto che la stessa definizione di maxienduro non funzionava pi&ugrave;. Qualcuno si &egrave; &ldquo;inventato&rdquo; la parola &ldquo;crossover&rdquo;, che si porta con tutte le misure di cerchi e con tutte le potenze.  Non sono per&ograve; passate inosservate alcune proposte coraggiose da parte delle Case che con gli anni sono riuscite a guadagnarsi un meritato successo: parliamo della BMW F800GS e della Triumph Tiger XC che con i loro 800 cm3 sono riuscite a mettere d'accordo viaggiatori, avventurieri e utilizzatori quotidiani.  La nuova Africa Twin va ad inserirsi proprio fra queste due moto, anche se la cilindrata suggerisce altre concorrenti: la Suzuki V-Strom e la neonata KTM 1050 Adventure, ad esempio. Honda &egrave; stata per&ograve; capace, anche solo con un semplice video, di far ri-scoccare nel cuore degli appassionati quella scintilla che non si era mai sopita: la voglia di avventura, terra, sabbia, viaggi.  Il calore con cui &egrave; stata accolta suggerisce che potr&agrave; essere un grande successo; le Case concorrenti dovranno correre ai ripari, probabilmente guardandosi un po' indietro.  D'altronde chi non vorrebbe una Multistrada pi&ugrave; piccola e pi&ugrave; avventurosa? O una SuperT&eacute;n&eacute;r&eacute; da 100 cavalli e 200 kg? O una 1050 Adventure con i cerchi a raggi?  E poi chiss&agrave;... magari un giorno torneranno in voga le monocilindriche. 40 cavalli, 140 kg, e un bel serbatoio per fare strada. O non &egrave; pi&ugrave; quel tempo quell'et&agrave;?  [gallery ids="24646,24649,24647,24648,24652,24653"]  &nbsp;Federico Garbin

Hanno vissuto la loro epoca d'oro a cavallo degli anni ottanta e novanta... Sono le maxienduro. E se il lancio dell'Africa Twin segnasse il ritorno, vero, di questa categoria?

Honda Africa Twin: segner&agrave; il ritorno delle maxienduro?

Nell'ultimo video dedicato alla nuova Africa Twin, Honda ne svela il volto e il profilo. Bicilindrico parallelo, attitudine al fuoristrada e logo magico. Eccola Il debutto ufficiale &egrave; atteso per il prossimo Novermbre, ad Eicma, ma finalmente la nuova Honda Africa Twin ha un volto e un profilo definitivi. Eccola, appare nell'ultimo video dedicato a questa moto, intitolato "The Meeting".&nbsp;  Nei fotogrammi estrapolati si vedono chiaramente le forme di quella che &egrave; una delle moto pi&ugrave; attese degli ultimi anni. La linea richiama quella del prototipo "True Adventure" presentato allo scorso Eicma, le finiture &nbsp;l'assemblaggio denotano come la moto sia, in effetti, in dirittura d'arrivo.  L'Africa Twin 2016 monta un motore bicilindrico parallelo da circa 1.000 cm3 e 94 cavalli e una ciclistica tradizionale ma raffinata: forcella a steli rovesciati, regolabile, telaio in alluminio, forcellone a doppio braccio dello stesso materiale e cerchi a raggi, con l'anteriore da 21". Sar&agrave; disponibile con e senza DCT .  Le forme della carrozzeria richiamano quelle della amatissima capostipite: proiettore sdoppiato , cupolino alto e snello e convogliatori morbidi ed integrati che vanno a coprire il radiatore. La linea del frontale &nbsp;vi ricorda qualche altra maxienduro? Si, &egrave; vero ma la somiglianza fra Africa Twin e SuperT&eacute;n&eacute;r&eacute; e l'acerrima battaglia fra le due ha radici lontanissime, e continuer&agrave;.  Gli appassionati enduristi possono stare tranquilli, la propensione all'off-road della moto &egrave; chiara gi&agrave; dal video. Honda ha cercato di limare il peso pi&ugrave; possibile (voci di corridoio parlano di un peso vicino ai 220 kg in ordine di marcia) e il voluminoso paracoppa in alluminio, perfettamente visibile, rendono bene l'idea dell'indole della moto.&nbsp;  Prezzi? E' ancora presto per parlarne ma verosimilmente la Africa Twin andr&agrave; a posizionarsi fra le maxi da 1.200 cm3 e le "piccole" 800, sia in termini di&nbsp;prestazioni che di esborso richiesto.&nbsp;  Non vediamo l'ora di provarla, e accarezzare quel nome magico tanto fieramente portato sul serbatoio.  Federico Garbin  [gallery ids="24567,24566,24565,24564,24563,24562"]

La nuova Honda Africa Twin &egrave; finalmente realt&agrave;: ecco le forme definitive e le caratteristiche salienti della moto pi&ugrave; attesa degli ultimi anni

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Emozioni in pista, la ricetta di Jarno Zaffelli

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Honda Africa Twin 2016: eccola!