Passione per le moto. Una qualit&agrave; della quale Andrea Buzzoni, CEO di Triumph Motorcycles Italia, non difetta certo. Motociclista ed appssionato di moto fin da ragazzo ricopre un ruolo di primo piano nel panorama delle due ruote oggi in Italia. Nato Milano e laureato in Scienze Politiche, &egrave; stato uomo di corse, con l&#39;esperienza in SBK con il compianto Andrea Merloni e Pierfrancesco Chili, ma anche giovane, ma anche di Marketing con le esperienze in Benelli, Ducati e BMW ed oggi &egrave; al timone di Triumph.&nbsp; Lo abbiamo voluto conoscere meglio, cercandone il lato di vero apassionato di moto. Ecco cosa ne &egrave; venuto fuori dalle nostre sette domande:  PASSIONE PER LE MOTO  1. Da dove nasce la tua passione? &Egrave; innata o &egrave; stato il destino a farti conoscere le due ruote?  &quot;La passione per la moto nasce in scia a quell&#39;indimenticabile (per chi l&#39;ha vissuta) offerta di moto 125 degli Anni &#39;80. A dire il vero in quegli anni i ragazzi di 16-18 anni andavano quasi tutti in moto. Fu una definitiva svolta nel mio stile di vita che avrebbe in seguito impattato anche la mia vita professionale&quot;.  2. La tua prima moto o quella che ha segnato la tua giovinezza?  &quot;A 17 anni. Fu una vera conquista visto che dovetti lavorare duramente un&#39;estate intera come operaio in fabbrica nella pausa scolastica estiva. Si tratt&ograve; di una bellissima Gilera KZ 125, bianca. La sua velocit&agrave; massima effettiva era di 152 km/h... e guai ad arrotondarla: in quel periodo nei confronti con gli amici ogni singolo km orario era cruciale!&quot;.  3. La moto che possiedi e/o quella che sogni di avere in garage.  &quot;Grazie alla immediata passione che sviluppai per le corse in moto entrai in contatto con Andrea Merloni (che ci ha purtroppo recentemente lasciato) che in quel periodo gestiva un team privato in SBK con Ducati e Frankie Chili come pilota. Entrai come membro dello staff non tecnico del team per pura passione. In seguito, Andrea mi offr&igrave; l&#39;opportunit&agrave; di entrare nel ruolo di export manager nella Benelli. Poco dopo, verso i 30 anni, passai al ruolo di amministratore delegato delle Ducati Motor Deutschland. Da quel momento in poi in realt&agrave; non ho pi&ugrave; avuto bisogno di possedere una moto di propriet&agrave; in quanto avrei avuto il privilegio di poter usare le moto del parco stampa e marketing delle aziende in cui lavoravo anche a beneficio della mia competenza sulla gamma prodotto che promuovevo nel mio ruolo lavorativo. Posseggo tuttavia due moto d&#39;epoca&quot;.  4. Cosa significa guidare una moto?  &quot;Difficile rispondere perch&eacute; la moto regala emozioni tanto intense quanto diversificate. Nel traffico migliorano i tempi di spostamento. Se fai turismo godi della sensazione fisica della libert&agrave;. In pista (tutt&#39;ora l&#39;uso che pi&ugrave; mi appaga di sensazioni ed emozioni) la moto regala un&#39;esperienza affascinante che mixa un grado elevatissimo e credo unico di concentrazione fisica e psicologica che produce un&#39;appagante sensazione di performance. L&#39;off-road &egrave; avventura. C&#39;&egrave; forse, tuttavia un aspetto che &egrave; comune: quel grado di pericolosit&agrave; intrinseca del mezzo. Il focus continuo che si deve avere sull&#39;equilibrio mentale/emotivo che ti permette di provare emozioni gratificanti ma al tempo stesso di gestire la sfida di stare sempre quel centimetro sotto la soglia di rischio. Non ho trovato nient&#39;altro di paragonabile alle emozioni che dona la moto&quot;.  IL FUTURO: &quot;ELETTRICO? QUANDO AVREMO LA TECNOLOGIA NON COMPROMETTER&agrave; IL FASCINO DELLE MOTO&quot;  5. Il futuro delle due ruote. Cosa accadr&agrave; e cosa vorresti che accadesse nel nostro mondo...    &quot;Il settore della moto &egrave; un mondo autentico e genuino grazie alla presenza intrinseca della passione e della bellezza. Questo a patto che la professionalit&agrave; sia sempre dominante rispetto alla pura passione. Quindi per il futuro auspico che rimanga questa bella energia che io sento da 25 anni. Circa le evoluzioni tecnologiche non si pu&ograve; non menzionare l&#39;elettrico. Ad oggi la tecnologia delle batterie non &egrave; ancora in grado di consentire ai costruttori di immettere sul mercato motociclette performanti a 360 gradi e al tempo stesso commercialmente competitive. Quando questa tecnologia arriver&agrave; sono sicuro che non comprometter&agrave; il fascino della moto, comprometter&agrave; forse il fascino acustico del motore, ma aggiunger&agrave; anche un&#39;erogazione entusiasmante della potenza&quot;.  6. Un&#39;esperienza legata al mondo delle moto da fare almeno una volta nella vita.  &quot;La pista e l&#39;off-road&quot;.  7. Quella volta che... ti &egrave; andata bene!  &quot;Ero in pista a Brno ed ebbi la pessima idea di &quot;ingarellarmi&quot; con un mio collega ex pilota, lui stava dietro ma io ero al 110% e lui probabilmente al 70%... la moto era una vera supersportiva potente e ancora priva di controlli di trazione. Il risultato fu uno spettacolare highside nella &quot;esse&quot; che precede il rettilineo. Atterrai non so da quale altezza e dopo quanti attimi sul serbatoio della moto che procedeva ormai fuori pista. Il prezzo del dolore fisico &#39;specifico&#39; fu ampiamente ripagato dal crash evitato&hellip;&quot;.  TRIUMPH SPEED TWIN BREITLING EDITION, ISPIRATA ALLA THUNDERBIRD 6T 

<p>General Manager, nato a Milano, laureato in scienze politiche, ha operato nel mercato tedesco per Ducati ed &egrave; stato a capo di BMW Italia. Uomo di strategia ma anche appassionato (e motociclista) vero!</p> 

Triumph, 7 domande ad Andrea Buzzoni: tra pista, moto elettriche e la Gilera da 152 Km/h

        Due o quattro ruote non ha importanza: quando le menti dei designer di un marchio sono in fermento, spesse volte si bada poco alla tradizione di quella stessa Casa e si sconfina pericolosamente in campi poco esplorati. Fu il caso di Lamborghini, che nel 1986 present&ograve; la sua Design 90, moto su base Kawasaki 1000 a cui venne affidato l&rsquo;arduo compito di incarnare sulle due ruote lo spirito di Sant&rsquo;Agata e lo &egrave; stato per Porsche, che nel 1980 present&ograve; al pubblico la sua stravagante AMK (Alternative Motorrad Konzept). Ed &egrave; proprio su quest&rsquo;ultima che vogliamo concentrarci, perch&eacute;, a distanza di 40 anni, la strana moto pensata dal Porsche Design Studio ancora oggi sembra arrivare dal futuro tanto da suscitare tuttora un po&rsquo; di stupore. Kawasaki: i veicoli del futuro pensati dagli studenti dello IAAD Design avveniristico e carena avvolgente Ogni modello Porsche ha lo stesso luogo di nascita: il Weissach Development Center, centro di sviluppo che ha iniziato ad operare nel 1971 e dove anche la AMK venne accuratamente progettata. Costruita attorno alla monocilindrica Yamaha SR500, la Porsche AMK si presenta ancora oggi &ndash; nel suo unico esemplare prodotto &ndash; come una moto monoposto insolita, tutta carenata, anche le ruote, con un grande faro anteriore integrato nella scocca, un parabrezza con indicatori di direzione incorporati e un design talmente avveniristico che oggi, nel 2021, sembra ancora in anticipo sui tempi. Custodita al Porsche Museum Tralasciando il suo design futuristico, sotto la scocca la AMK di Porsche presenta dettagli tecnici che dovevano renderla all&rsquo;epoca il pi&ugrave; facile possibile da guidare. Insieme al suo stile minimal infatti, la moto tedesca si presenta con un cambio automatico senza frizione, variatore CVT, un&rsquo;unica leva freno, trasmissione finale a cardano e sospensione posteriore di tipo Cantilever. Dettagli che di certo non le hanno fatto lasciare il segno in termini di prestazioni, tanto che ad oggi in pochi la ricordano, anche se in Germania resta ancora gelosamente custodita all&rsquo;interno del Museo Porsche. Yamaha Morpho: nel segno di un cambiamento mai arrivato        

<p>Costruita attorno alla Yamaha SR500, la &ldquo;Alternative Motorrad Konzept&rdquo; si presenta ancora oggi come una moto monoposto insolita, tutta carenata, con un grande faro anteriore integrato nella scocca</p>

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Yamaha prende la VMax e la trasforma in una, anzi tre nuove creature Yard Built. &ldquo;Yamaha VMAX &egrave; stato un&rsquo;icona senza rivali dalla sua prima apparizione sulle strade nel 1985, con il suo stile da dragster estrema&rdquo;, ha commentato&nbsp;Shun Miyazawa, Product Manager Yamaha. &ldquo;&Egrave; stato un colpo di fulmine immediato per i motociclisti di tutto il mondo, non solo nella versione di serie, ma anche come base per le personalizzazioni. Come forma di rispetto per la cultura che &egrave; cresciuta intorno a questa moto leggendaria, abbiamo scelto di celebrare i suoi 30 anni lavorando con 3 talentuosi preparatori, per creare altrettante Special VMAX che diventassero fonte d&rsquo;ispirazione non solo per Yamaha stessa, ma anche per i clienti e per i potenziali acquirenti. Abbiamo iniziato questo anno cos&igrave; importante con la creazione Yard Built del mitico elaboratore tedesco JvB-moto. Il suo lavoro ci ha appassionato e pensiamo che il suo stile minimalista sia perfetto per VMAX. Il risultato &egrave; sotto gli occhi di tutti: Yard Built &ldquo;Infrared&rdquo; &egrave; un omaggio alle origini di VMAX e allo stesso tempo anche un&rsquo;anticipazione delle prestazioni di domani&rdquo;. Il primo progetto presentato si chiama "Infrared" e celebra i mirabolanti Eighties', anni in cui la muscle bike vede per la prima volta la luce.  L'autore dell'opera &egrave; Jess vom Brauck, il creativo preparatore tedesco pi&ugrave; noto come JvB-Moto; il risultato, una moto ridotta ai minimi termini e dal forte spirito&nbsp;custom.  Un tributo al trentesimo anno della VMax, nata nel 1985, che combina materiali evoluti ad uno stile dragster contaminato di caf&eacute; racer: Jess vom Braum si &egrave; ispirato a qualcosa che ha sempre avuto nella testa, quando da ragazzino era gi&agrave; fan della moto. Componenti handmade e assoluta&nbsp;ricerca della qualit&agrave; e del carattere contraddistinguono&nbsp;il lavoro dell'abile customizer tedesco.  Sul davanti il "marchio di fabbrica" di JvB, il gruppo del faro anteriore integra forcella e frecce e appena sotto si fa notare un parafango realizzato in alluminio. Semimanubri modificati da caf&eacute; racer incorniciano il contagiri dragster di Autometer. Ai lati del serbatoio, &nbsp;in alluminio e ricoperto da una cover celebrativa,&nbsp;svettano due speciali&nbsp;prese d'aria ricavate da elementi, anche loro in alluminio, presi in prestito dalla prima VMax.  Sempre da componenti&nbsp;originali &egrave; ricavato il&nbsp;telaietto in alluminio fatto a mano. L'accuratissimo e incredibile lavoro&nbsp;artigianale riprende anche al retrotreno che termina con un codone in carbonio realizzato da Jens.  A completare l'opera non poteva mancare la giusta nota: neanche l'udito verr&agrave; infatti deluso grazie allo scarico che adotta un sistema 4&nbsp;in 1&nbsp;e termina in una grintosa marmitta Termignoni.  E una belva del genere non poteva che avere uno stile da regina: la verniciatura &egrave; ispirata alle mitiche Yamaha che correvano nel 1985 nella top class.  Giulia Cassinelli     &nbsp;

VMax ritorna alle origini con tanto carattere in pi&ugrave;: ecco la bellissima Infrared

3 risultati per 'anni-80'

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