Ricordiamo che il carburatore a depressione presenta lungo il condotto due valvole, una &egrave; la farfalla azionata direttamente dal pilota, l&rsquo;altra &egrave; una saracinesca azionata dalla depressione che si realizza a monte della farfalla e causata dal risucchio del pistone in fase di aspirazione. In certe condizioni il pilota ruota completamente la manopola e di conseguenza la valvola a farfalla nel carburatore &egrave; completamente a aperta, ma il passaggio dell&#39;aria di aspirazione risulta strozzato dalla saracinesca che pu&ograve; risultare solo parzialmente aperta. Perch&eacute; i tecnici si sono inventati questo trucco? Perch&eacute; il pilota chiede massima potenza, ma il motore non &egrave; nelle condizioni di fornirla, il risucchio del motore non &egrave; sufficiente ad aspirare benzina e farla vaporizzare nel condotto. Se non ci fosse il depressore ci otterrebbe un grande flusso d&rsquo;aria ma poca benzina e mal nebulizzata col risultato di ottenere una risposta a strattoni del motore. Meglio quindi parzializzare l&rsquo;entrata d&rsquo;aria al motore per fare in modo di fare vaporizzare la giusta quantit&agrave; di benzina, il motore accelera pi&ugrave; lentamente di quanto vorrebbe il pilota, ma in maniera molto pi&ugrave; armoniosa. Il depressore quindi, con la funzione di imporre la migliore sezione di passaggio per miscelare aria benzina, &egrave; chiaramente un sistema di controllo che &egrave; diventato indiretto e non reversibile. Ecco l&#39;elettronica si &egrave; ispirata a questo funzionamento meccanico, ma permette anche molto altro.&nbsp;    MAPPE INFINITE - Ad esempio si possono realizzare diverse &ldquo;mappe&rdquo; ovvero diverse velocit&agrave; di apertura delle farfalle indipendenti da quanto &egrave; brutale il pilota sull&#39;acceleratore, in modo da avere una risposta pi&ugrave; diretta o pi&ugrave; morbida del motore in funzione delle condizioni del fondo stradale. Ma addirittura si possono fare mappa a potenza limitata, in modo che indipendentemente da quanto il pilota chiede con la manopola, la farfalla non si aprir&agrave; mai completamente. Diventa in questo modo anche molto semplice realizzare versioni depotenziate per le patenti A2, non sar&agrave; un fermo meccanico ma elettronico a limitare l&rsquo;apertura della farfalla. &nbsp;Allo stesso modo funzionano i controlli di trazione pi&ugrave; avanzati che lavorano in maniera predittiva: a una determinata velocit&agrave;, con una determinata marcia inserita e con un determinato angolo di piega, la centralina sa che indipendentemente da cosa chiede il pilota, non &egrave; possibile accelerare pi&ugrave; di tanto e quindi impone una apertura limitata della farfalla, appena superiore a quella massima teoricamente ammissibile, e poi compir&agrave; regolazioni di fino con anticipo ed iniezione. Altro aspetto molto spinoso: le emissioni acustiche. La legislazione vieta di adottare strategie che riconoscano e si attivino solo durante la prova di omologazione (avete presente il diesel gate?) ma si possono scrivere strategie che intervengano sempre quando il veicolo si trova in determinate condizioni di velocit&agrave;. Si deve rinunciare ad un poco di spunto, perch&eacute; quando il pilota chiama potenza la centralina limita l&#39;erogazione, ma si riesce ad ottenere comunque un motore silenzioso quando si va piano, condizione tipica dei centri abitati, e comunque potente nella marcia extraurbana. A questo risultato collaborano ovviamente le valvole allo scarico, ma anche le farfalle motorizzate.&nbsp;    GRANDE POTENZIALE - Ma non abbiamo ancora scoperto tutte le potenzialit&agrave; del RBW. A questi risultati infatti si pu&ograve; arrivare anche con un sistema che possiamo definire &ldquo;ibrido&rdquo; molto usato ad esempio da Suzuki, il noto SDTV (Suzuki Dual Throttle Valve) impiega un doppio livello di valvole a farfalla, quelle basse azionate dal pilota, quelle alte dalla centralina. Con questa configurazione &egrave; il pilota a decidere il massimo grado di apertura, oltre alla quale la centralina non pu&ograve; andare, ma le farfalle superiori possono essere ancora pi&ugrave; chiuse, quindi di sicuro la potenza non sar&agrave; mai superiore a quelal richiesta dal pilota, &egrave; vero invece che potr&agrave; essere inferiore. Ma solo con un RBW completo si pi&ograve; andare oltre, verso quelle funzionalit&agrave; che infatti sono presenti solo sulle moto di ultimissima generazione. Ad esempio il cruise control: il pilota impone una velocit&agrave; di crociera e la centralina gestisce il motore, che si vada in salita o in discesa il pilota non deve fare niente, sar&agrave; lei ad aprire pi&ugrave; o meno la farfalla. Altro esempio: tradizionalmente i motori ad alte prestazioni hanno un carburatore o un corpo farfallato per ogni cilindro, in modo da ottenere la migliore carburazione, con il RBW non solo si pu&ograve; iniettare quantit&agrave; di benzina leggermente diverse per ogni cilindro, e a quello ci pensa l&#39;iniezione elettronica, ma nei parzializzati e nelle riaperture si possono anche avere diverse aperture di ogni singola farfalla per ottimizzare l&#39;erogazione ed anche i consumi. In pi&ugrave; c&#39;&egrave; il discorso engine brake, ovvero il controllo del freno motore nelle frenate pi&ugrave; estreme. In queste condizioni il motore pu&ograve; arrivare a fare slittare la ruota posteriore perch&eacute; letteralmente la frena troppo, ma se la centralina si accorge di questo fenomeno, interviene aprendo leggermente le valvole. Beninteso cos&igrave; facendo non sta dando coppia motrice, sta limitando la coppia retrograda, riducendola al massimo livello permesso dalle condizioni di aderenza, ottenendo cos&igrave; il massimo effetto decelerante. Su alcune moto vedi Ducati Panigale, questo freno motore pu&ograve; addirittura essere regolato per avere una moto pi&ugrave; o meno scorrevole quando si percorre la curva con il motore in rilascio.  Insomma il futuro &egrave; il ride by wire, un sistema che semplifica l&#39;esperienza di guida senza togliere il piacere della moto, agli scettici ed ai timorosi che temono che la moto possa impazzire e magari &ldquo;accelerare da sola&rdquo;, diciamo di stare tranquilli, queste cose sulle moto di serie semplicemente non succedono. I rarissimi casi di cui si viene a conoscenza capitati nelle corse, prototipi o derivate di serie, dista veramente anni luce dalla produzione, che oggi giorno viaggi su livelli di sicurezza che sono letteralmente a prova di bomba.&nbsp; 

Nella precedente puntata vi abbiamo anticipato che il ride by wire serve anche, anzi soprattuto per azionare la valvola a farfalla in modo non proporzionale alle richieste del pilota. Vediamo adesso perch&eacute;. Vogliamo fornire qualche indizio tirando fuori il mitico carburatore a depressione

Pillole di tecnologia: il ride by wire (seconda parte)

I moderni motori sportivi hanno raggiunto potenze specifiche estremamente alte. Con questo termine si intende la potenza rapportata alla cilindrata. &Egrave; un valore importante da tenere in considerazione perch&eacute; con la potenza specifica &egrave; possibile rapportare fra loro motori di cilindrata diversa ma con lo stesso frazionamento, ma cosa succede quando cambia anche il numero dei cilindri? Come si fa a capire quale dei due &egrave; il pi&ugrave; spinto? I nostri lettori pi&ugrave; tecnici poi potranno essere interessati anche ad un altro aspetto: le prestazioni dei motori si possono &nbsp;grossolanamente attribuire a due differenti aspetti. Si pu&ograve; parlare del rendimento della &ldquo;parte alta&rdquo; e della &ldquo;parte bassa&rdquo;, oppure, con altri termini, di rendimento fluidodinamico o della termica cio&egrave; della testata, e rendimento meccanico o dell&rsquo;imbiellaggio. In tutti i casi il primo aspetto &egrave; legato alla coppia che il motore &egrave; capace di esprimere, il secondo aspetto descrive invece la velocit&agrave; con cui il motore gira. Sapendo che la potenza &egrave; il prodotto della coppia per il numero dei giri, se un motore esprime la stessa coppia di un altro ma a regimi superiori allora la potenza espressa &egrave; superiore.&nbsp;    VALORI DI RIFERIMENTO - I tecnici cercano di esprimere le prestazioni dei motori in modo da tenere conto solo delle prestazioni pure indipendentemente dal numero dei cilindri e dalla cilindrata. E per farlo introducono due termini che funzionano molto bene per paragonare motori anche molto diversi fra loro: la pressione media effettiva e la velocit&agrave; media del pistone. La PME &egrave; il rapporto fra lavoro utile per ciclo e cilindrata un rapporto fra una energia ed un volume, l&rsquo;unit&agrave; di misura &egrave; [N/m2], quindi una pressione, ma attenzione non ha niente a che vedere con le effettive pressioni che si sviluppano in camera di scoppio, &egrave; solo un numero &ldquo;comodo&rdquo; per valutare le performance di un motore. Quali sono i valori di riferimento della PME? Un due tempi pu&ograve; arrivare al massimo a 10 bar (di fatti si &egrave; sempre detto che sono motori &ldquo;poco efficaci&rdquo;, un diesel arriva a 12 se aspirato, ma fino a 24 se sovralimentato (non a caso oggi giorno ci sono solo turbodiesel), un quattro tempi aspirato pu&ograve; vedere 14bar, un sovralimentato di produzione arriva a 22. Curiosit&agrave;: i vecchi 1500 turbo di F1 di primi anni ottanta in configurazione da qualifica con pressione di alimentazione libera (si parlava di oltre 6 bar) sprigionavano qualcosa come 1300 CV con abominevoli PME da 50bar, peccato che durassero un centinaio di chilometri prima di&hellip; esplodere!    ACCELERAZIONI SPAVENTOSE - La velocit&agrave; media del pistone VM invece rappresenta le sollecitazioni dovute alle forze d&#39;inerzia del manovellismo, si calcola considerando il tempo che impiega il pistone a compiere la sua corsa secondo la semplice formuletta velocit&agrave;=spazio/tempo. Anche in questo caso non &egrave; il valore di per s&eacute; ad essere importante, ma i fattori che lo determinano. Si parla di velocit&agrave; media, ma &egrave; chiaro che un pistone non si muove a velocit&agrave; costante, anzi la sua velocit&agrave; varia continuamente fra zero ed un valore massimo. Quello che &egrave; realmente importante sono le accelerazioni, ovvero quanto in fretta il pistone passa da zero alla velocit&agrave; massima, &egrave; ovvio che minore &egrave; il tempo per fare la corsa maggiore &egrave; la velocit&agrave; media e maggiori sono le accelerazioni che si sprigionano e di conseguenza le forze che stressano gli organi meccanici. Difatti a queste accelerazioni sono sottoposte delle masse, le masse alterne, in primis pistone e spinotto. Parliamo di accelerazioni spaventose: che determinano forze enormi che si scaricano su bielle ed albero motore ad ogni inversione della corsa del pistone. Valori di 23m/s fino agli anni ottanta erano tab&ugrave; anche nelle corse, adesso sono alla portata di motori di serie, mentre in F1 sono arrivati ad oltre 26, con la Moto GP poco distante. Significano accelerazioni e decelerazioni di qualcosa come 8000 g, e forze che, considerando un paio di etti scarsi di peso per il complesso pistone spinotto, valgono una quindicina di quintali istantaneamente scaricati sulle bronzine di testa.&nbsp;  GESTIRE LA VELOCITA&rsquo; - Ma come fare a limitare la velocit&agrave; media del pistone? Bisogna realizzare un motore con grande alesaggio e corsa ridotta, in questo modo a parit&agrave; di numero di giri raggiunto la velocit&agrave; media del pistone &egrave; pi&ugrave; bassa, semplicemente perch&eacute; il pistone deve fare meno strada. Anticamente i motori avevano valori di corsa superiori a quelli di alesaggio, motori molto spinti venivano definiti &ldquo;quadrati&rdquo; o &ldquo;quadri&rdquo;, erano quelli con alesaggio e corsa dello stesso valore, poi man mano che la tecnologia si &egrave; evoluta &egrave; stato possibile arrivare a motori con alesaggi sempre maggiori, in gergo chiamati &ldquo;superquadri&rdquo; con l&rsquo;apice sempre in F1 con rapporti C/A di 0.4 contro i 0.5 0.6 delle moto e gli oltre 0.8 dei motori automobilistici stradali. Ma quanto &egrave; difficile realizzare pistone superquadri? Difficilissimo, perch&eacute; al contempo devono essere leggerissimi, se infatti si aumenta il diametro ma i pesi finiscono fuori controllo, alla fine le forze di inerzia sono le stesse se non superiori. Quindi devono essere di grande diametro e ridotta altezza, il mantello, la parte che &egrave; a contatto col cilindro e che guida il pistone nella sua corsa deve essere ridotto, ma poca guida significa che il pistone pu&ograve; oscillare, in gergo si dice che &ldquo;scampana&rdquo;, con tutte le conseguenze del caso. Contenere i pesi significa anche poco supporto allo spinotto di biella e grandi deformazioni che devono essere contenute realizzando nervature di irrigidimento sotto testa. I pistoni pi&ugrave; semplici sono fusi in lega di alluminio, quelli pi&ugrave; performanti sono forgiati per realizzare nervature pi&ugrave; sottili fidando sulla maggiore resistenza del materiale di base, ma in alcuni casi dopo la forgiatura sono in pratica completamente rilavorati di macchina utensile per asportare tutto il materiale inutile. Addirittura si sta osservando in talune applicazioni l&rsquo;adozione di pistoni non pi&ugrave; in alluminio, ma addirittura realizzati per sinterizzazione di polveri di acciaio. Insomma servono competenze approfondite sui materiali, sulle tolleranze di accoppiamento e sul controllo delle deformazioni al cambiare delle temperature di funzionamento. Una lunga rincorsa all&rsquo;optimum che dura da parecchi decenni e che evidentemente non &egrave; ancora finita. &nbsp;&nbsp; 

In questa prima parte introduciamo alcuni concetti che sono molto importanti per definire le caratteristiche di un motore a combustione interna. Nella prossima pillola analizzeremo alcuni esempi di moto attualmente in produzione per dare un&rsquo;idea sia di quanto raffinate siano certe realizzazioni, sia di quali difficolt&agrave; incontrano i progettisti nel realizzare questa o quella diversa architettura

Pillole di tecnologia: quanto &egrave; &ldquo;spinto&rdquo; un motore 1

Ancora nel mondo dei motori per parlare di alimentazione e dei cambiamenti che ci aspettiamo per i prossimi anni &nbsp;

Pillole di tecnologia: l’iniezione diretta

C&rsquo;&egrave; una tecnologia che nel mondo auto sta prendendo sempre pi&ugrave; piede. Le moto come al solito sono in ritardo, in questo caso per vari motivi, ma immaginiamo che prima o poi anche noi saremo interessati dall&rsquo;arrivo dell&rsquo;iniezione diretta. Ma perch&eacute; nelle auto l&rsquo;iniezione diretta si sta imponendo sempre di pi&ugrave; e invece nelle moto ancora latita? I motivi come detto sono molteplici, innanzitutto il sistema &egrave; pi&ugrave; costoso e richiede notevoli investimenti per la messa punto. L&rsquo;impianto di alimentazione benzina non pu&ograve; pi&ugrave; essere a 4 bar (in Moto GP in realt&agrave; passa i 10 bar), ma deve essere ad almeno 120 bar (meglio se 200) sia perch&eacute; deve vaporizzare istantaneamente la benzina che non ha tempo di miscelarsi con l&rsquo;aria nel percorso lungo i condotti di aspirazione, sia perch&eacute; la benzina deve essere iniettata all&rsquo;interno della camera di scoppio dove gi&agrave; ci sono ben oltre 10 bar di pressione realizzati dal lavoro di compressione del pistone. Questa tecnologia non &egrave; giustificata dalla necessit&agrave; di rispettare le normative antinquinamento Euro4 ed anche le prossime Euro5 entro i cui limiti si pu&ograve; rientrare anche con l&rsquo;iniezione indiretta. il vero vantaggio del sistema &egrave; la riduzione dei consumi, un aspetto ancora poco sentito sulle moto che non hanno ancora limiti stringenti sull&rsquo;emissione in atmosfera di quello che &egrave; considerato il grande satana del XXI secolo, ovvero l&rsquo;anidride carbonica. L&rsquo;iniezione diretta regala anche vantaggi in termini prestazionali, ma non ci si pu&ograve; aspettare che un impulso all&rsquo;introduzione di questa tecnologia arrivi dalle competizioni perch&eacute; esiste un regolamento abbastanza miope, che vieta l&rsquo;iniezione diretta anche in MotoGP, la categoria che dovrebbe essere l&rsquo;avanguardia tecnologica del settore. La motivazione &egrave; il contenimento dei costi, poco credibile quando ad esempio viene lasciata libert&agrave; di utilizzo dei costosissimi freni in carbonio la cui diffusione sulla produzione di serie &egrave; (e rimarr&agrave;) pari a zero.&nbsp;    ESEMPIO F1 - In Formula 1 invece &egrave; vero il contrario, l&rsquo;iniezione diretta &egrave; proprio imposta dal regolamento, con il chiaro intento di sviluppare una tecnologia capace di abbattere i consumi di carburante oltre che di aumentare le prestazioni. Basta pensare una cosa: la lotta per migliorare rendimenti ed efficienze ha fatto si che ad oggi i moderni powertrain ibridi capaci di circa 1000CV hanno rendimenti che arrivano al 48% che garantiscono consumi che sono meno della met&agrave; dei mitici turbo anni 80 che erogavano in configurazione gara circa la stessa potenza. Certo la tecnologia ha un suo costo, anche i semplici iniettori sono concentrati di tecnologia, con nozzle fino a 30 fori e pressione di alimentazione che sugli impianti Marelli arriva a 500 bar (contro i 100 bar utilizzati sugli ultimi V8 aspirati a iniezione indiretta). Qualcuno potrebbe obiettare che tutto sommato non &egrave; niente di che, se si pensa che gli iniettori per i moderni diesel superano i 2000 bar, ma il problema &egrave; che il gasolio &egrave; per sua natura un liquido &ldquo;unto&rdquo; cio&egrave; autolubrificante, mentre la benzina &egrave; &ldquo;secca&rdquo; il che pone grossi problemi di attrito sul movimento delle parti mobili che aprono e chiudono i passaggi della benzina, insomma un odierno iniettore di Formula 1 &egrave; un vero capolavoro di micro meccanica. Per vedere qualcosa di simile sulle moto immaginiamo che sia solo questione di tempo, ma dovranno esserci spinte esterne come una stretta ai consumi di carburante, un evento che da appassionati ci auguriamo si registri il pi&ugrave; tardi possibile. &nbsp; &nbsp;&nbsp;    COME FUNZIONA - Ma come funziona e cosa garantisce l&rsquo;iniezione diretta rispetto a quella indiretta? Concettualmente la differenza &egrave; semplice: la benzina deve essere miscelata all&rsquo;aria, un processo che tradizionalmente avveniva nel condotto di Venturi del carburatore. L&rsquo;aria viene aspirata dal pistone in discesa provocando una depressione che viene moltiplicata nella zona cilindrica fra i due coni (convergente e divergente) del Venturi. In quella zona di passa pressione ed alta velocit&agrave; del fluido, ci sono i getti del carburatore da cui fuoriesce lo spray di benzina che si miscela all&rsquo;aria. Quando &egrave; stata introdotta l&rsquo;iniezione elettronica, molto semplicemente il carburatore viene rimpiazzato dal corpo farfallato, il condotto di Venturi scompare e la benzina viene immessa tramite uno o pi&ugrave; iniettori posizionati sopra o sotto la farfalla a seconda di una serie di parametri che esulano da questa trattazione. Il sistema di per se funziona molto bene, anzi benissimo quando il motore &egrave; a regime stazionario e pu&ograve; essere settato a dovere per le fasi di accelerazione a piena apertura, ma ha alcuni limiti in fase di prima accensione e nei momenti in cui varia l&rsquo;angolo di farfalla, quando cio&egrave; il guidatore modula la potenza da erogare. Semplificando al massimo possiamo tentare una spiegazione: l&rsquo;iniettore spruzza benzina finemente vaporizzata ma ancora allo stato liquido, nelle partenze a freddo parte della benzina si deposita sulle pareti a temperatura ambiente dei condotti e dello stelo valvola, di conseguenza bisogna iniettare pi&ugrave; benzina di quanto servirebbe in realt&agrave;, ingrassando la miscela a tutto svantaggio dei consumi e delle emissioni. A caldo la gran parte della benzina evapora per effetto delle alte temperature dei condotti, ma comunque sia, una parte finisce sempre sulle pareti dei condotti, quando il regime &egrave; costante questo non &egrave; un problema e nemmeno in piena accelerazione perch&eacute; in pochi giri di albero motore la centralina, tramite i dati della sonda lambda, ricalibra la quantit&agrave; di benzina iniettata. Pi&ugrave; complicato quello che succede in rilascio e in riapertura. A farfalla chiusa il pistone continua ad aspirare ma il passaggio d&rsquo;aria &egrave; minimo, il &ldquo;risucchio&rdquo; &egrave; fortissimo e viene aspirata la benzina presente sulle pareti dei condotti col risultato di trovarsi con pochissima aria in camera e tanta benzina che viene letteralmente sprecata e provoca poi anche i ben noti borbottii in rilascio. Nel momento poi in cui si riapre il gas, parte della benzina iniettata torna a depositarsi sui condotti asciugati e quindi la centralina ancora una volta deve prevedere un extra iniezione.&nbsp;    NESSUN PROBLEMA - Queste problematiche vengono ovviate dall&rsquo;iniezione diretta: la benzina viene vaporizzata in camera di combustione, iniettata all&rsquo;ultimo istante utile ed esattamente nella quantit&agrave; che serve per miscelarsi in rapporto stechiometrico con l&rsquo;aria aspirata, insomma le condizioni di miscela grassa si riducono enormemente. Se ne avvantaggiano le prestazioni (un buon 5%) perch&eacute; una miscela troppo grassa comunque brucia male e migliorano tanto sia i consumi (anche un 15%) che le emissioni, riducendo gli incombusti che devono poi essere post bruciati nel catalizzatore. In pi&ugrave; si riesce ad ottenere un ulteriore vantaggio che si rivela particolarmente utile ai bassi carichi, quelli a cui sono spesso sottoposti i potenti motori motociclistici quando girano erogando solo una piccola frazione della potenza disponibile. Quando &egrave; richiesta poca potenza viene spontaneo chiedersi: &ldquo;perch&eacute; non utilizzare una miscela molto magra cos&igrave; si consuma meno?&rdquo; I problemi sono due: una miscela magra brucia male (come capita ad una miscela troppo grassa) si possono provocare anche i cosiddetti missfire o mancate accensioni, col motore che singhiozza e suona male e incombusti allo scarico in quantit&agrave;, inoltre miscele magre provocano una impennata delle temperature col risultato di creare ossidi di azoto a dismisura, un inquinante che il catalizzatore solo in parte riesce a ridurre. Con l&rsquo;iniezione diretta si crea quella condizione detta &ldquo;carica stratificata&rdquo;, ovvero lo spray di benzina viene iniettato in modo da diffondersi solo in prossimit&agrave; della candela, creando uno strato di miscela stechiometrica, nelle zone pi&ugrave; lontane invece c&rsquo;&egrave; solo aria. La miscela quindi &egrave; globalmente magra, ma la candela trova attorno a s&eacute; uno strato di miscela stechiometrica condizione ideale per innescare la corretta combustione, si creano ovviamente ossidi di azoto, ma almeno il motore lavora bene. Per ridurre gli NOx si adotta poi un secondo artificio che si chiama EGR ovvero Exhaust Gas Ricirculation, uno stratagemma preso a prestito dai motori diesel che consiste nell&rsquo;iniettare (solo ai bassi carichi) gas di scarico poveri di ossigeno in camera di combustione, in questo modo l&rsquo;azoto non trova reagente con cui combinarsi e le emissioni nocive vengono ridotte sul nascere. &nbsp; 

Ancora nel mondo dei motori per parlare di alimentazione e dei cambiamenti che ci aspettiamo per i prossimi anni

Pillole di tecnologia: l&rsquo;iniezione diretta

Per qualche puntata parleremo di motori, in particolare della parte alta, la testata dove si racchiudono tanti accorgimenti che permettono di ottimizzare il rendimento fluidodinamico

Pillole di tecnologia: la distribuzione a dito

In questa nuova &ldquo;puntata&rdquo; tiriamo in causa una tecnologia non particolarmente nuova, ma che sui motori ad alta potenza specifica ultimamente fa capolino: parliamo della distribuzione a dito. Il termine &ldquo;dito&rdquo;, in inglese &egrave; simile. Si parla di &ldquo;finger follower&rdquo;, indica un elemento rotante che viene interposto fra la camma e la valvola andando a sostituire il classico bicchierino.&nbsp;    IMPOSSIBILE &ldquo;SALIRE&rdquo; - Ma perch&eacute; &egrave; stato introdotto questo oggetto, dopo che per tanti anni ci &egrave; stato raccontato che il non plus ultra per i motori sportivi fosse il doppio albero a camme in testa? Procediamo con calma. Per capirlo serve un rapido excursus nell&#39;evoluzione della tecnica. Agli albori della storia motoristica (ma per alcuni marchi molto legati alla tradizione &egrave; ancora cos&igrave;) indipendentemente dal numero dei cilindri c&#39;era un solo albero camme nel basamento, una soluzione comoda ed economica che semplificava l&#39;architettura del motore e risolveva tanti grattacapi in termini di lubrificazione. Questo albero azionava tramite sistemi ad aste e bilancieri le valvole sulla testata. Potete immaginare la quantit&agrave; di masse in movimento alterno e le forze di inerzia che si sviluppavano. Da qui la chiara impossibilit&agrave; di salire troppo con i regimi di rotazione. Il passo logico era quello di spostare l&#39;albero a cammes in testata ed eliminare almeno le pesanti aste: nasce cos&igrave; la distribuzione SOHC (single overhead camshaft).&nbsp;  VALVOLE A TETTO - Allo stesso tempo si sapeva che per fare prestazione, le valvole dovevano essere posizionate &ldquo;a tetto&rdquo; e non con assi paralleli, solo cos&igrave; si poteva ottenere una forma di camera di scoppio ridotta e salire con il rapporto di compressione. Ma adottando un solo albero in testa servivano ancora una volta dei bilancieri di rinvio per raggiungere le valvole, un bilanciere per ogni valvola, oppure, studiando una posizione &ldquo;furba&rdquo; dell&#39;albero si poteva comandare direttamente una valvola e tramite bilanciere quella dall&#39;altro lato (sistema Honda Unicam).&nbsp;  DOHC - Ulteriore evoluzione &egrave; il sistema con due alberi a camme in testa. Cos&igrave; facendo si eliminano i bilancieri e si ottiene anche la possibilit&agrave; di rendere indipendente la fasatura della distribuzione in aspirazione da quella di scarico, un aspetto importante di cui ci occuperemo in un&#39;altra puntata. Questa soluzione per gli anglofoni prende il nome di DOHC (Double overhead camshaft) di cui abbiamo parlato all&#39;inizio e che ha prosperato e tuttora prospera sia nel campo auto che moto, perch&eacute; si &egrave; rivelata imbattibile anche passando da due a quattro valvole per cilindro. Ma dopo tutta questa guerra per contenere le masse alterne, ecco riapparirei bilancieri, o almeno qualcosa di molto simile. Sembra un controsenso, ma ci sono in realt&agrave; valide e giustificate ragioni. I motori moderni, sia per esigenze legate alle maggiori richieste di potenza, sia per contenere le emissioni inquinanti, necessitano di valvole che si aprano tanto e tanto in fretta. Questo vuol dire che i profili delle cammes devono essere come si dice in gergo molto &ldquo;spinti&rdquo; la camma insomma deve essere molto allungata ed avere le pareti laterali molto ripide.&nbsp;  LIMITI GEOMETRICI - Ma c&#39;&egrave; un limite oltre al quale non si pu&ograve; andare con il profilo della camma, si tratta di un limite geometrico: se la camma &egrave; troppo allungata il suo profilo invece di strisciare sulla superficie superiore del bicchierino spingendolo in basso, inizia a psingere contro il suo bordo una condizione assolutamente da evitare. Certo si pu&ograve; aumentare la dimensione del bicchierino, ma entro certi limiti perch&eacute; gli ingombri di una testata sono un vincolo importante. La soluzione a questo problema arriva negli anni 90, l&#39;era in cui in Formula 1 i motori aspirati pluri frazionati per fare potenza richiedevano regimi di rotazione sempre pi&ugrave; alti. Gli ingegneri capiscono che il problema di accoppiare camma e bicchierino poteva essere aggirato interponendo un terzo elemento capace di ruotare su un asse esterno (proprio come fa un dito aattorno alla sua articolazione) e dotato di due diverse superfici di accoppiamento, una adatta alla camma una alla valvola.&nbsp;  PROFILI SPINTI - Nascono cos&igrave; i finger follower: si elimina il bicchierino (una massa in meno in moto alterno ed anche la sua pastiglia di registro), si uniformano le pressioni di contatto e si riducono al minimo le spinte laterali sullo stelo, oltre ad avere ovviamente pi&ugrave; libert&agrave; nella scelta del profilo della camma. Un sistema che &egrave; diventato un must sui motori ad altissime prestazioni (aprire la testata di una BMW S1000RR per esempio), con la distribuzione a dito si possono adottare profili di camme estremamente spinti, addirittura si utilizzano le cosiddette camme concave, che permettono rampe di apertura ancor pi&ugrave; violente a tutto vantaggio della capacit&agrave; di riempimento della camera di combustione.  TIPO DESMO - E la distribuzione desmodromica tanto cara a a Ducati? Esatto! Per quanto riguarda le leggi di alzata pu&ograve; essere assimilata alla distribuzione a dito, pur avendo un sistema pi&ugrave; pesante e con pi&ugrave; inerzia visto che non si usa un dito, ma un bilanciere a due braccia, l&#39;azione imposta alle valvole &egrave; la stessa: con il &ldquo;desmo&rdquo; si pu&ograve; imprimere grandi accelerazioni alle valvole, con in pi&ugrave; l&#39;ulteriore vantaggio di poter anche richiamare le valvole in chiusura con maggiore accelerazione di quanto pu&ograve; un sistema a molla. Difatti la distribuzione desmodromica &egrave; l&#39;unica alternativa praticabile alle molle pneumatiche che vengono adottate ad esempio sui motori da MotoGP che superano abbondantemente la soglia critica dei 16.000 giri/minuto oltre alla quale le classiche molle a spirale non riescono pi&ugrave; a &ldquo;tenere il ritmo&rdquo; e a spingere indietro le valvole senza evitare sfarfallii.&nbsp; 

La sovralimentazione nel mondo delle quattro ruote ormai &egrave; una prassi sia per quanto riguarda i motori diesel che quelli a benzina. Nelle moto invece, a parte alcune eccezioni, questa tecnologia non prende piede.&nbsp;Perch&eacute; si sovralimenta un motore? Semplice: per ottenere pi&ugrave; cavalli. &Egrave; una risposta corretta ma incompleta, una volta in effetti le cose stavano cos&igrave;, soprattutto nell&rsquo;epoca d&rsquo;oro dei turbo, i mitici anni ottanta, ma al giorno d&rsquo;oggi ci sono motivi pi&ugrave; complessi, motivi che spiegano anche perch&eacute; questa tecnologia trova terreno fertile nell&rsquo;automotive e non prende (ancora) piede sui motocicli.  MAGGIORE POTENZA - Abbiamo detto che con la sovralimentazione si ottiene pi&ugrave; potenza, una verit&agrave; innegabile, una potenza che deriva dalla possibilit&agrave; di ovviare al principale collo di bottiglia che limita le prestazioni di un motore a combustione interna. Per creare potenza si deve realizzare una combustione, l&rsquo;energia chimica contenuta nel combustibile che si trasforma in calore e pressione e poi in energia meccanica tramite il meccanismo pistone, biella, manovella. L&rsquo;entit&agrave; delle combustione e quindi la potenza ottenibile sono sicuramente proporzionali&nbsp;alla quantit&agrave; di combustibile iniettato (la benzina), ma il combustibile per bruciare a dovere ha bisogno di una precisa quantit&agrave; di comburente, l&rsquo;ossigeno, se questo non &egrave; sufficiente parte del combustibile non brucia e viene sprecato.  SERVE OSSIGENO -&nbsp;Nei motori il problema non &egrave; iniettare in camera di scoppio tanto combustibile; per farlo&nbsp;basta mettere una pompa e degli iniettori pi&ugrave; grandi.&nbsp;Il problema &egrave; fare entrare pi&ugrave; ossigeno. Un tema che ha appassionato generazioni di progettisti e che nel corso degli anni &egrave; stato affrontato con le soluzioni pi&ugrave; disparate. Il modo pi&ugrave; semplice &egrave; quello di aumentare la cilindrata dei motori, &ldquo;the bigger the better&rdquo; dicono gli americani, una soluzione invece tanto amata dagli appassionati di tuning &egrave; sostituire l&rsquo;aria con un comburente contenente pi&ugrave; ossigeno, il protossido d&rsquo;azoto ad esempio con l&rsquo;ossigeno che passa dal 21% in massa fino al 36% con un teorico aumento di potenza del motore che pu&ograve; arrivare ad oltre il 50%, si tratta di un intervento alla portata anche di un semplice amatore esperto di meccanica, ma in ottica di produzione assolutamente antieconomico visto che cos&igrave; facendo oltre alla benzina si deve pagare anche il comburente. Un&rsquo;altra strada percorribile &egrave; quella di fare entrare pi&ugrave; ossigeno nel motore senza aumentarne la cilindrata aumentando la pressione dell&rsquo;aria in camera di combustione: &egrave; la cosiddetta sovralimentazione di cui ci vogliamo occupare.  ARIA COMPRESSA - L&rsquo;aria in aspirazione viene compressa tramite appunto un compressore che pu&ograve; essere di svariati tipi e che pu&ograve; essere azionato o sottraendo energia al motore stesso oppure sfruttando l&rsquo;energia dei gas di scarico che escono dal motore ad alta velocit&agrave; e ad alta temperatura. In questo caso una turbina raccoglie i gas di scarico e ne assorbe parte dell&rsquo;energia rallentandoli e raffreddandoli. Entrambi i sistemi sono ben conosciuti, e molto sfruttati perch&eacute; permettono di aumentare la potenza di motori gi&agrave; esistenti con modifiche ed investimenti tutto sommato limitati a patto ovviamente che la meccanica di base sia sufficientemente robusta per resistere alle maggiori solelcitazioni&hellip;  COMPRESSORE CENTRIFUGO E TURBOCOMPRESSORE -&nbsp;Un compressore centrifugo azionato dall&rsquo;albero motore &egrave; alla base della Kawasaki H2;&nbsp;il turbocompressore &egrave; invece il cuore del prototipo Recursion di Suzuki, non un veicolo di produzione, ma che potenzialmente lo diventer&agrave;&nbsp;anche perch&eacute; i vantaggi che questa soluzione comporta non sono affatto di secondo conto.&nbsp;Nelle prossime puntate analizzeremo queste due soluzioni cercando di capire cosa c&rsquo;&egrave; dietro e quali sono gli sviluppi che possiamo attenderci nei prossimi anni. 

Nelle moto i&nbsp;motori aspirati hanno sempre garantito un&#39;erogazione pi&ugrave; progressiva di quelli sovralimentati ma con la tecnologia di oggi qualcosa sta cambiando...

Sovralimentazione: perch&eacute; nelle moto &egrave; un&#39;eccezione - Parte 1

&nbsp;  In questa pillola vogliamo parlarvi della prototipazione rapida o stampa 3D, una tecnologia che dal giorno della sua &ldquo;invenzione&rdquo; ad oggi ha letteralmente rivoluzionato il mondo della progettazione e della industrializzazione e nei prossimi anni avr&agrave; ricadute tangibili anche nel mondo dell&rsquo;after market e della personalizzazione.  Un noto comico anni fa nei suoi spettacoli recitava pi&ugrave; o meno: &ldquo;Si fa il modello al computer, si prende una stampante 3D, polvere di metallo, raggio laser e il tuo pezzo &egrave; gi&agrave; pronto!&rdquo; In realt&agrave; le cose sono un tantino pi&ugrave; complesse, ma un fondo di verit&agrave; in questa boutade in effetti c&rsquo;&egrave;. Per costruire un oggetto al giorno d&rsquo;oggi si seguono due strade: per esemplari singoli o piccolissime serie in gergo si dice che lo si fa &ldquo;dal pieno&rdquo; ovvero si parte da un solido regolare, di metallo, di plastica, di legno e poi si ottiene la forma desiderata per asportazione di materiale, un processo lento che richiede macchinari costosi ma con pochi investimenti per attrezzature dedicate. Quando invece si pensa alla produzione di serie si realizzano i cosiddetti stampi: ovvero dei negativi della forma che si vuole ottenere, poi per deformazione plastica o per colata (o processi intermedi) si arriva al semilavorato. Servono pesanti investimenti in attrezzature dedicate, che vengono ammortizzati sui grandi numeri di produzione di particolari dal costo unitario ridotto.  Alcuni esempi nel nostro settore per chiarire meglio.&nbsp;Immaginiamo una piastra di sterzo: su una moto da corsa viene fatta per asportazione di truciolo partendo da un blocco di alluminio di alta qualit&agrave;, per una moto di produzione invece ci sar&agrave; uno stampo di fusione o di forgiatura e poi le lavorazioni meccaniche saranno ridotte al minimo (accoppiamento con gli steli forcella e cannotto di sterzo filetti delle viti di serraggio ecc). Altro esempio: una carena. Per un prototipo da corsa si realizza una forma in negativo su cui si stendono le pelli in vetroresina o fibra di carbonio, si lascia asciugare, si distacca il manufatto, lo si rifila e si operano le forature. Una moto di serie invece ha le carene in materiale plastico (ABS, polipropilene, Terblend, chi pi&ugrave; ne ha pi&ugrave; ne metta) che viene fuso e iniettato in stampi con finiture superficiali tirate a specchio che restituiscono il particolare finito, il processo dura pochi secondi, ma la realizzazione e la messa a punto richiede soldi e tempo.  Questo per fare capire che quando si deve realizzare uno stampo (di qualsiasi tipo si tratti) bisogna avere le idee chiare, una modifica in corso d&rsquo;opera richieder&agrave; tanti soldi e potenzialmente ritardi nell&rsquo;avvio di produzione, ecco quindi che la fase di progettazione deve essere a prova di bomba e richiede degli step di verifica intermedi, per non incorrere in costosi errori. Una volta si verificava la bont&agrave; del progetto realizzando modelli con tecnologie pi&ugrave; o meno artigianali, ma adesso c&rsquo;&egrave; la prototipazione rapida. Questi prototipi rapidi anni fa oltre ad essere costosi, erano delicatissimi e senza nessuna valenza funzionale, la finitura superficiale era molto grezza, le tolleranze dimensionali approssimate, servivano unicamente all&rsquo;occhio esperto degli addetti ai lavori, che potevano &ldquo;toccare con mano&rdquo; il progetto, valutare le forme, la resa estetica, la capacit&agrave; di accoppiarsi con altri particolari, insomma potevano decidere se dare il benestare al progetto e partire con gli investimenti. Niente di particolarmente interessante per l&rsquo;utente finale. Ma la tecnologia avanza, e avanza ad un ritmo impressionante, adesso ci sono macchine per la prototipazione sempre pi&ugrave; complesse, si sono evoluti i materiali ed i risultati che si possono ottenere lasciano veramente senza fiato.  Fatto salvo il concetto di base, ovvero una stampante molto simile ad una comune a getto di inchiostro che passata dopo passata deposita un sottilissimo strato di materiale che poi un raggio laser sinterizza, oggi un prototipo rapido pu&ograve; arrivare ad una consistenza pari a quella di un manufatto ottenuto da stampo e questo vale sia per oggetti in plastica che per oggetti metallici. Si perch&eacute; la prototipazione &egrave; in grado di lavorare anche sulle polveri di metallo e si possono ottenere oggetti capaci di resistere ad altissime temperature e a forti sollecitazioni meccaniche, insomma funzionali al cento per cento. In F1 ad esempio ci sono addirittura particolari dei collettori del sistema turbocompressore realizzate in 3D printing con polveri di titanio sinterizzate, ma senza andare in campi cos&igrave; estremi basti pensare alla CRP un azienda emiliana che produce una gamma di moto elettriche (la &ldquo;Energica&rdquo;) con le carene realizzate in prototipazione rapida e a prezzi ormai abbordabili. Negli USA poi &egrave; stata presentata &quot;Strati&quot; un automobile basata su meccanica Renault Twizy con tutta la carrozzeria realizzata con la tecnologia Direct Digital Manufacturing (DDM).  Questo vuol dire che &egrave; solo questione di tempo prima che questa tecnologia diventi veramente disponibile per tutti, anche per i semplici appassionati di personalizzazione che potranno modificarsi profondamente i propri veicoli, con soluzioni uniche, fatte sui propri gusti. Forse un giorno invece di comprarci una carena da pista o le pedane regolabili acquisteremo solo un modello 3D che poi potremo modificarci sul nostro PC per poi inviarlo al nostro stampista 3D di fiducia per avere un prodotto veramente unico. Ancora una volta il futuro si annuncia ricco di sorprese! 

La prototipazione rapida, o stampa 3D, ha stravolto il modo di progettare e di industrializzare. E siamo solo all&#39;inizio...

Prototipazione rapida... l&#39;inizio della rivoluzione

Come detto la lotta all&rsquo;abbattimento delle emissioni inquinanti &egrave; un tema caldo, ma lo &egrave; ormai da trent&rsquo;anni, da quando a met&agrave; degli anni ottanta si inizi&ograve; seriamente a contingentare l&rsquo;utilizzo di additivi tossici prima liberamente presenti nella benzina. Il principale di questi era il piombo tetraetile, per decine di anni utilizzato come antidetonante nonostante la sua conclamata tossicit&agrave;. Per lungo tempo la sua sostituzione si rivel&ograve; tecnicamente problematica, perch&eacute; oltre ad innalzare il numero di ottano (anche di 10-15 punti) aveva ottime doti di lubrificante, a cui si riusc&igrave; a sopperire solo con l&rsquo;avvento di materiali di nuova concezione. Una spinta a eliminare il piombo venne anche dalla necessit&agrave; di adottare dispositivi antinquinamento per limitare l&rsquo;emissione dei composti inquinanti di cui abbiamo parlato nella precedente puntata. Al posto del piombo per breve tempo venne utilizzato il benzene, una soluzione tampone e una cura peggiore del male (&egrave; cancerogeno), in pochi anni sostituito dal Metil-t-butil etere, un antidetonante tutt&rsquo;oggi impiegato con percentuali attorno al 10%, si tratta della soluzione a pi&ugrave; basso impatto ambientale che la ricerca chimica &egrave; riuscita a fornire.  Abbiamo accennato ai dispositivi antinquinamento, vediamo a cosa servono e come funzionano. La benzina brucia, o meglio viene ossidata e si trasforma in anidride carbonica e vapore acqueo ed in misura minore nei composti inquinanti che abbiamo gi&agrave; identificato: idrocarburi incombusti, monossido di carbonio ed ossidi di azoto. Questi inquinanti sono stati oggetto di una lotta serrata per abbatterne i livelli seguendo varie strade. Il primo passo &egrave; stato quello di realizzare una miscela il pi&ugrave; possibile stechiometrica, per questo serve sapere esattamente quanta aria entra nel motore, quindi ci sono sensori di pressione e temperatura in aspirazione e sensori di posizione per capire quanto le farfalle di aspirazione sono aperte, dopo di che bisogna iniettare esattamente il quantitativo di benzina necessario, non di pi&ugrave; e non di meno. Questa esigenza ha decretato la graduale sostituzione dei carburatori con l&rsquo;iniezione elettronica, che si avvale anche di un dispositivo inserito allo scarico, la sonda lambda, che indica se la combustione che si sta realizzando &egrave; &ldquo;grassa&rdquo; o &ldquo;magra&rdquo;.   Ci&ograve; nonostante sensibili quantit&agrave; di inquinanti continuano ad essere prodotte, e per abbatterle ulteriormente serve installare nello scarico un dispositivo chiamato convertitore catalitico. Quello che si vuole ottenere &egrave; forzare il monossido di carbonio e gli idrocarburi incombusti a ricombinarsi con l&rsquo;ossigeno rimasto nei gas di scarico e con gli ossidi di azoto che si sono formati, in pratica si vuole rimediare a quanto di sbagliato &egrave; avvenuto in camera di scoppio. In questo modo non si otterr&agrave; un vantaggio prestazionale ma almeno si inquiner&agrave; di meno. Il catalizzatore non cede composti alla reazione chimica, la sua struttura rimane la stessa prima e dopo il processo, ma rende le condizioni &ldquo;ambientali&rdquo; pi&ugrave; idonee al processo che si vuole ottenere, facendo innescare e velocizzando le reazioni di ossido riduzione &ldquo;purificatrici&rdquo;.  I gas di scarico passano attraverso questo oggetto che pu&ograve; essere immaginato come l&rsquo;unione di tantissimi e sottilissimi canali che mettono i gas a contatto con una superficie catalizzante il pi&ugrave; possibile estesa. L&rsquo;ideale sarebbe che ogni singola molecola arrivasse a contatto con gli elementi catalizzatori: il rodio che riduce gli ossidi di azoto in ossigeno e azoto, il platino e il palladio che ossidano il monossido di carbonio e gli idrocarburi incombusti. Il catalizzatore quindi fa bene all&rsquo;ambiente, un po&rsquo; meno alle nostre tasche, difatti dal punto di vista fluidodinamico &egrave; un filtro, un ostacolo all&rsquo;uscita dei gas, quindi a parit&agrave; di potenza erogata aumenteranno leggermente i consumi, ma questo &egrave; un concetto importante: inquinare meno non vuol dire necessariamente consumare meno.  Tutto semplice? Allora complichiamo un pochino la cosa: come detto nella puntata precedente in certe condizioni non &egrave; proprio possibile bruciare una miscela stechiometrica, al minimo ad esempio, oppure a motore freddo, oppure per ammorbidire la risposta del motore nelle riaperture e nelle chiusure di acceleratore si deve ingrassare il titolo della miscela, il risultato &egrave; quello di ottenere incombusti allo scarico, che non &egrave; possibile ossidare nel catalizzatore proprio perch&eacute; la miscela &egrave; grassa e manca ossigeno. I tecnici allora si sono inventati un sistema comunemente chiamato &ldquo;aria secondaria&rdquo;, che prevede l&rsquo;immissione di aria fresca prelevata dall&rsquo;airbox nei condotti di scarico, in questo modo viene fornito l&rsquo;ossigeno necessario a ripulire i gas. Una soluzione furba che non inficia le prestazioni del motore, poco costosa e che al massimo regala qualche piacevole scoppiettio in pi&ugrave; allo scarico.  Da ultimo riprendiamo il punto accennato nella puntata precedente riguardante le emissioni di anidride carbonica, un problema che gi&agrave; adesso &egrave; importante e nei prossimi anni diventer&agrave; centrale. Per calare le emissioni di CO2 ci sono pi&ugrave; strade, ma il concetto che deve passare &egrave; questo: contrariamente a quanto avviene per gli inquinanti, in questo caso emettere meno CO2 implica consumare meno. Prima soluzione: aumentare l&rsquo;efficienza dei motori aumentando i rendimenti meccanici, fluidodinamici e termodinamici, quindi ridurre le perdite per attrito, migliorare i riempimenti delle camere di combustione e sfruttare al meglio l&rsquo;energia sviluppata dalla combustione, sottraendo quanto pi&ugrave; possibile energia ai gas di scarico.  Oltre all&rsquo;utilizzo di materiali sempre migliori, nel settore auto si sono ottenuti buoni risultati ricorrendo al downsizing, ovvero all&rsquo;adozione di motori di cubatura inferiore capaci delle stesse prestazioni grazie alla sovralimentazione tramite turbocompressore, una strada che sulle moto incontra non pochi ostacoli. Il secondo passo &egrave; utilizzare come combustibile degli idrocarburi con minore percentuale di carbonio, quindi a parit&agrave; di potere calorifico si produrr&agrave; pi&ugrave; vapore acqueo e meno anidride carbonica, ad esempio la benzina ha indicativamente un atomo di carbonio ogni due atomi di idrogeno, l&rsquo;etanolo ha un atomo di carbonio ogni tre atomi di idrogeno; le benzine E10 vanno in questa direzione. Ovviamente non si pu&ograve; non accennare alla trazione elettrica, che vediamo come una alternativa possibile soprattutto per i veicoli destinati alla mobilit&agrave; urbana, ammesso e non concesso che l&rsquo;energia elettrica provenga da centri di produzione &ldquo;virtuosi&rdquo; che non sfruttino a loro volta idrocarburi.  In generale per&ograve; il concetto &egrave; chiaro: meno CO2 vuol dire meno prestazioni, cosa ci riserver&agrave; il futuro molto dipende dalle scelte dei legislatori, se anche alle moto si inizier&agrave; a chiedere di contenere le emissioni di gas serra, temiamo che la corsa alle potenze ed alle prestazioni sar&agrave; sempre pi&ugrave; ostacolata.  Qui potete leggere la prima parte dell&#39;articolo. 

La riduzione del CO2 &egrave; sinonimo di riduzione prestazionale.&nbsp;Se alle moto si inizier&agrave; a chiedere di contenere le emissioni di gas serra, la corsa alle potenze sar&agrave;&nbsp;ostacolata.

Inquinare... Cosa vuol dire esattamente? (Seconda parte)

I richiami alla normativa Euro 4 in questo periodo sono costanti, una normativa che tocca diversi punti, uno dei pi&ugrave; importanti &egrave; quello relativo alle prescrizioni antinquinamento. In questa pillola vogliamo appunto cercare di chiarire cosa vuol dire inquinare, nella prossima cercheremo di capire come fanno i costruttori per limitare l&rsquo;inquinamento.&nbsp;Un motore a scoppio serve per trasformare una fonte energetica in energia meccanica, in coppia e potenza. La nostra fonte energetica &egrave; il carburante, la benzina.&nbsp;La quantit&agrave; di energia che racchiude&nbsp;&egrave; chiamata potere calorifico, si misura in Joule (o calorie) per unit&agrave; di massa. Per convertire l&rsquo;energia del combustibile si deve verificare un processo chimico chiamato combustione ad opera di un altro elemento chiamato comburente. Chimicamente si assiste ad una&nbsp;combinazione fra gli elementi costituivi del combustibile e del comburente che vanno a formare nuovi composti.&nbsp;In questo processo si sviluppa energia sotto forma di calore e di pressione.&nbsp;Questo calore viene trasformato dal motore in energia meccanica.  SENZA L&#39;OSSIGENO NON SI FA NULLA - Ovviamente il nostro combustibile &egrave; la benzina e il comburente &egrave; l&rsquo;aria, o per meglio dire quel 20% abbondante dell&rsquo;aria costituito da ossigeno, un elemento molto reattivo, l&rsquo;agente ossidante per eccellenza. La benzina tecnicamente &egrave; un idrocarburo, letteralmente un composto di idrogeno e carbonio uniti fra loro secondo tante diverse strutture nel quale cambiano le percentuali e la forza dei legami atomici. Quando queste macromolecole si trovano a contatto con l&rsquo;ossigeno basta un piccolo aiuto esterno perch&eacute; parta il processo di ossidazione, questo aiuto &egrave; chiamato innesco, nel caso dei motori a benzina &egrave; provocato dalla scintilla della candela. In condizioni ideali succede che le molecole dell&rsquo;idrocarburo si &ldquo;aprono&rdquo; e i singoli atomi di idrogeno e carbonio si uniscono con l&rsquo;ossigeno a formare anidride carbonica e vapore acqueo. Ebbene s&igrave;! Contrariamente a quanto si possa immaginare, in condizioni ideali bruciando benzina non si emettono sostanze dannose per l&rsquo;ambiente! Il problema &egrave; che le condizioni ideali non sono quelle reali e per tanti motivi durante la combustione si formano altri sotto prodotti che invece a vario titolo sono inquinanti.  LE CONDIZIONI IDEALI SONO UTOPIA -&nbsp;Prima di tutto dobbiamo vedere quali sono le condizioni ideali: semplificando al massimo sono quelle in cui si hanno valori di temperatura e pressione ben determinati, la benzina completamente allo stato di gas e perfettamente miscelata all&rsquo;aria secondo un rapporto che in massa deve essere di 1 a 14.7, quello che i chimici definiscono stechiometrico. In un motore che aspira aria a temperature che vanno da -30 &deg;C a +50 &deg;C, che compie un ciclo di aspirazione in un tempo che pu&ograve; andare da 3 centesimi di secondo a meno di tre millesimi (provate a immaginare cosa vuol dire 3 millesimi di secondo: &egrave; il tempo che impiega il pistone a scendere dal punto morto superiore a quello inferiore a 10.000 giri minuto) potete ben capire che mantenere condizioni di combustione ideali sia ben difficile, in pi&ugrave; per tanti buoni motivi sarebbe meglio avere una miscela leggermente ricca: l&rsquo;erogazione diventa pi&ugrave; morbida, le temperature di utilizzo sono pi&ugrave; basse e si ha una ragionevole certezza di utilizzare tutto l&rsquo;ossigeno che viene aspirato in modo da ottenere la massima potenza.  CONTROINDICAZIONI - Di contro ovviamente aumentano i consumi, ma soprattutto aumentano le emissioni inquinanti. Succede infatti che con una miscelazione grassa non c&rsquo;&egrave; abbastanza ossigeno per bruciare al meglio tutti gli idrocarburi iniettati e la parte non bruciata viene emessa in atmosfera (sono gli idrocarburi incombusti identificati con la sigla HC) che oltre ad essere tossici in alcuni casi sono anche cancerogeni. Peggio ancora parte del carbonio invece che legarsi a due atomi di ossigeno a formare anidride carbonica CO2, forma il monossido di carbonio CO che &egrave; addirittura velenoso. Si potrebbe pensare allora, anche a costo di penalizzare le prestazioni e l&rsquo;affidabilit&agrave;, di girare magri, purtroppo per&ograve; si avrebbero problemi anche in questo caso, perch&eacute; le temperatura di combustione immediatamente si alzerebbero col risultato di rendere reattivo un gas tipicamente inerte come l&rsquo;azoto (che costituisce il 78% dell&rsquo;aria aspirata). L&rsquo;azoto trova dell&rsquo;ossigeno non legato e assieme vanno a formare gli NOx ossidi di azoto responsabili della formazione di ozono a bassa quota, e combinandosi successivamente con il vapore acqueo creano ossidi nitrosi responsabili delle cosiddette piogge acide.  ALLA RICERCA DELLA COMBUSTIONE PERFETTA - Insomma non c&rsquo;&egrave; niente da fare, la combustione deve avvenire in modo il pi&ugrave; possibile perfetto, nella prossima puntata vedremo come si cerca di ottenere questo obiettivo, per il momento possiamo dire, che ogni step delle Normative Euro hanno pesantemente limitato l&rsquo;emissione di questi composti,&nbsp;in pratica dimezzando di volta in volta i limiti precedenti, col risultato che un veicolo Euro 4 a parit&agrave; di prestazione &egrave; enormemente pi&ugrave; rispettoso dell&rsquo;ambiente rispetto ad un veicolo dei primi anni &lsquo;90. Per inciso, la normativa auto &egrave; gi&agrave; arrivata ad Euro 6, ma in effetti i limiti ancor pi&ugrave; restrittivi coinvolgono principalmente i motori diesel, per i benzina ormai sono le e missioni inquinanti sono veramente bassissime.  UN PROBLEMA CHIAMATO CO2 - Ma se tutto questo non fosse abbastanza, esiste un ulteriore problema: l&rsquo;anidride carbonica. La CO2 non &egrave; un gas velenoso o inquinante, ma crea indirettamente grandi problemi. Negli ultimi anni si fa un gran parlare di effetto serra e riscaldamento globale, l&rsquo;innalzamento delle temperature &egrave; dovuto anche a certi gas fra cui l&rsquo;anidride carbonica che miscelati nell&rsquo;atmosfera in percentuali troppo elevate lasciano passare i raggi del sole ma non fanno uscire verso lo spazio i raggi infrarossi che hanno maggiore lunghezza d&rsquo;onda, col risultato che il calore non viene disperso. Ecco quindi che normative locali o direttive internazionali spingono sempre pi&ugrave; alla riduzione delle emissioni di CO2, un prodotto primario dei motori a combustione, un problema non da poco che &egrave; destinato a rivoluzionare la mobilit&agrave; del prossimo futuro.&nbsp; 

Nella normativa Euro 4 i richiami alla prescrizioni anti inquinamento sono molteplici. Inquinare &egrave; sinonimo di combustione, perfetta solo in teoria. Nella pratica, invece...

Inquinare... Cosa vuol dire esattamente? (Prima parte)

Con l&#39;arrivo dell&#39;Euro 4, anche nelle moto, come avvenuto nelle auto con l&#39;introduzione dell&#39;Euro 3 (anni &#39;00), si sentir&agrave; parlare di autodiagnosi e di OBD ma solo nel 2020, con l&#39;Euro 5, la rivoluzione sar&agrave; completa, nel senso che si passer&agrave; al sistema OBD-II, attualmente utilizzato nelle auto.

L'autodiagnosi con l'Euro 4, aspettando l'Euro 5

Continuiamo a parlare di Euro 4, e non sar&agrave; l&rsquo;ultima volta, per accennare ad una alle tante novit&agrave; che questa normativa obbliga ad introdurre. Questa volta parliamo di elettronica ed in particolare dell&rsquo;obbligo di installare a bordo un sistema di auto diagnosi, capace di comunicare con l&#39;esterno tramite un protocollo standardizzato. Insomma i &ldquo;malanni&rdquo; delle nuove moto potranno essere capiti non solo dai tecnici di una officina autorizzata, ma anche da un meccanico generico dotato dell&#39;opportuna attrezzatura, nonch&eacute; dalle autorit&agrave; addette al controllo delle emissioni.&nbsp;  DALLE AUTO ALLE MOTO - Il sistema comunemente &egrave; chiamato OBD, ovvero On Board Diagnostics, un&rsquo;idea che nelle auto &egrave; stata introdotta negli anni &#39;80 con l&#39;avvento delle prime centraline elettroniche. La sua nascita non &egrave; dovuta a una disposizione di legge ma a vera necessit&agrave;: gli impianti elettrici diventavano sempre pi&ugrave; complessi, con letteralmente chilometri di cavi elettrici lungo tutta l&rsquo;automobile e ricercare un guasto &ldquo;alla cieca&rdquo; significava, anche per le officine specializzate, tempistiche enormi senza nemmeno la certezza di riuscire a trovare un guasto fantasma.  AUTODIAGNOSI SEGRETA - Ogni casa in un primo tempo ha iniziato a sviluppare un proprio sistema di autodiagnosi, ognuno con le sue modalit&agrave;, anzi l&rsquo;idea era proprio quella di tenere segreto quanto pi&ugrave; possibile il tutto, sia per proteggere il proprio &ldquo;know how&rdquo; sia per realizzare una sorta di monopolio delle proprie autofficine, le uniche capaci di intervenire sull&rsquo;elettronica di bordo. Un sistema del genere, ovviamente, non poteva durare. Le autorit&agrave; sono intervenute ed hanno iniziato a imporre certe scelte, per permettere una sana concorrenza ma soprattutto per permettere in sede di revisione di monitorare lo status di quei componenti &quot;emission relevant&quot;, cio&egrave; quelli che, se in avaria, non permettono il rispetto dei limiti delle emissioni inquinanti, ad esempio il catalizzatore, i sensori di temperatura e di apertura farfalla, o le sonde lambda.  OBD-II - Il passo successivo &egrave; stato l&rsquo;introduzione del pi&ugrave; evoluto OBD-II, (nasce in California negli anni &#39;90), in grado di monitorare anche parametri legati alla dinamica del veicolo. Questa normativa &egrave; stata recepita in Europa con l&rsquo;avvento della normativa auto Euro3 (primi anni &#39;00) con il nome di EOBD (European On Board Diagnostics). Onestamente ci si aspettava un simile provvedimento anche sulle moto, invece l&rsquo;Euro 4 prevede una uniformazione un po&rsquo; all&rsquo;acqua di rose. Il sistema che deve essere installato non &egrave; completo ma permette comunque di accedere a parecchie informazioni, utili per monitorare i sistemi antinquinamento, ma anche per semplificare la vita al meccanico chiamato ad intervenire in caso di guasto.  RIVOLUZIONE PARZIALE - Un officina generica, ma anche un semplice appassionato, trover&agrave; in commercio uno strumento compatibile con qualsiasi moto; serviranno solo degli adattatori perch&eacute; le spine non sono state unificate. Il software, per&ograve;, sar&agrave; comune a tutte le marche ed i modelli, comunque un bel passo in avanti. Nel 2020 si andr&agrave; ancora oltre: arriver&agrave; la normativa Euro 5 per tutti i veicoli a due o tre ruote e sar&agrave; la volta dell&#39;introduzione del vero e proprio OBD-II.   &nbsp; 

Proprio come avvenuto con la normativa Euro 3 delle auto, con l&#39;Euro 4 delle moto, tramite un apposito&nbsp;strumento, sar&agrave; possibile effettuare l&#39;autodiagnosi.

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